Opinioni in francese

Corsus oeconomicus

          Quant’è difficile sfatare luoghi comuni e pregiudizi ! Un altro esempio c’è stato fornito dal libro or ora pubblicato da uno dei protagonisti del nazionalismo còrso, Jean-Guy Talamoni.1 Appena avuto il volume in mano sono andato a vedere ciò che riguardava il problema della lingua. Ovviamente non aspettavo novità sconvolgenti, la natura stessa dell’opera lo vietava. Però avrei gradito di non ritrovare gli stessi triti argomenti o piuttosto sofismi che sento da anni. Infatti Talamoni, non essendo uno specialista, si affida ad altri, nella fattispecie a Jean-Marie Comiti e al suo libro « Da una sponda à l’altra »,2 dal quale a p.45 e 46, per dimostrare la distanza tra le due lingue, cita due frasi in còrso e in italiano: « Luisa pichjò forte chí Lianora era cioncarella », la traduzione italiana sarebbe : « Luisa bussò con energia alla porta di Leonarda (?) perché la vecchia sentiva poco ».3 Certo con questo modo di (s)ragionare si può dimostrare quel che si vuole. Cerchiamo, una volta tanto, di entrare nei particolari. Perché contrapporre « bussare » e « picchiare », l’italiano avrebbe potuto dire « picchiare »,4 e, soprattutto, « con energia » e « forte », lì si rasenta la malafede, e l’italiano « la vecchia sentiva poco » al còrso « cioncarella », quando si può benissimo dire in còrso « a vecchja sentìa pocu « ? Poi il « chí » causale, ignorando che in italiano « ché » svolge la stessa funzione. E il suffisso -arella-, che apparentemente alcuni credono « tipico » del còrso e a questi dedichiamo questi famosissimi versi del Leopardi che tutti gli italiani conoscono :

Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchiarella,
Incontro là dove si perde il giorno …
O l’inizio di una famosissima canzone napoletana :

E ogge stesso, vicchiarella mia,
Stu figlio malamente saie che fa ?
Lassa ‘a cantina e ‘a mala cumpagnia
E torna onestamente a ffaticà.

 

          Rimane -cioncu- di cui si possono dire due cose : che in italiano ha un significato un po’ diverso e che non è diffuso in tutto la Corsica. Io, personalemente ho sempre detto e dirò –sordu-, ma accetto benissimo che chi lo ha ricevuto in eredità dica –cioncu- a due condizioni però : che non mi si costringa ad usarlo e non lo si gabelli per l’unica forma còrsa legittima (e che non si faccia leva sulla poca cultura linguistica dei còrsi per far credere che si tratta di una parola di un’originalità sconvolgente, prelatina, “ ibera ” magari). Insomma in base alla frase scelta l’originalità del còrso si riduce a ben poca cosa. La stessa frase tradotta in vari dialetti italiani darebbe risultati ben più convincenti in fatti di « diversità ».
 

          D’altronde l’operazioncina di cui abbiamo parlato sopra potrebbe ripetersi al livello del còrso. Si potrebbe notare, per esempio , che in alcuni posti si dice : « quandu a so’ figliola è stata mursicata da u cane, s’è messa a gridà », e in altri « quandu a so’ fiddola è stata murzicata da u jacaru, s’è missa a briunà ». Uno concluderebbe che esistono due còrsi, e che il primo è più vicino all’italiano che non al secondo. E sbaglierebbe, perché volendo, con altri spezzoni di frasi, si potrebbe anche dimostrare il contrario e sappiamo bene che mediante un lievissimo sforzo còrsi del nord e del sud si capiscono benissimo e hanno l’impressione di parlare due varianti della stessa parlata. Tuttavia lo stesso Talamoni sente la necessità di affermare l’unità, almeno psicologica , del còrso e a p.45 cita la professoressa Dalbera-Stefanaggi : « une langue n’existe qu’au travers de ses variations, elle est à découvrir, -à reconstruire- au-delà de la diversité et d’ailleurs à partir de la diversité. La langue corse, ce ne peut-être que le système qui sous-tend et à partir duquel s’expliquent les variations dialectales ».5 E secondo noi è validissima la frase della Dalbera. Solo che si potrebbe fare altrettanto a un livello superiore. Si potrebbe parlare di un sistema italiano del quale il còrso formerebbe una variante. E se si possono nutrire dei dubbi sulla presenza di un sistema unico che comprenda il piemontese, il bergamasco, il napoletano, il calabrese e il siciliano, per quanto riguarda il còrso a nessuno verrà in mente di negare che, anche nelle sue varianti meridionali, esso appartenga ad un sistema italiano centro-meridionale e allo stesso sistema della lingua italiana. Ora perché fermarci ad un livello chiaramente insostenibile e non accettare il legato della storia e i suggerimenti del buon senso?6
 

« Comunità di destino? »
 

          D’altronde le conseguenze di questa scelta insieme restrittiva e suicidaria sono evidenti. Sul numero 10262 del Journal de la Corse,7 tale Pierre Corsi le trae, non si sa quanto consapevolmente, fino in fondo. Spiega il Corsi che la nuova rivendicazione indipendentista (egli sembra porsi in questa prospettiva) non può più poggiare sulla lingua, che considera ormai in punto di morte, né su un’identità culturale forte che si sta dileguando.8 Quindi egli ripiega sulla famosa « comunità di destino » di cui non si capisce bene che cosa sia. Perché bisogna pur dirlo una buona volta, la nozione di « comunità di destino » non meglio precisata non ha senso. Il concetto è stato inventato per non dare una visione troppo ristretta della « nazionalità » 9 còrsa, per spiegare che i còrsi erano disposti ad accettare tra di loro i nuovi venuti. Fin qui tutto bene. Abbiamo fatto così per secoli e non c’è motivo di cambiare il nostro modo di fare. Ma una comunità di destino deve pure poggiare su qualcosa. Gli uomini si raggruppano per vari motivi : parentela, religione, affinità linguistiche o culturali, retaggio storico, ma un collante ci deve pur essere. Un uomo e una donna possono sposarsi perché si amano, vogliono dei figli, per trovare una compagnia, per interesse magari, ma a nessuno salta in mente di sposare il primo (o la prima) venuto (a) così, tanto per ingannare il tempo. E’ certo che per i còrsi il collante sta nella storia, nella lingua e nella cultura, e questo collante li pone all’interno della storia e della comunità culturale e linguistica italiane, però in una posizione particolare per aver seguito un percorso originale durante gli ultimi due secoli. All’infuori di questi dati di fatto non esiste niente di saldo, non esistono fondamenti sui quali costruire un’identità insieme legata al passato e proiettata verso il futuro. Ovviamente ciò non toglie che ci sia una specifica identità còrsa. Ogni regione, italiana o francese, ha la sua storia particolare, la sua specificità. Anche qui si tratta di rintracciare una unità sotto una diversità. Comunque esistono varie concezioni della “nazionalità” o dell’identità, ognuno tende a crearne una che gli convenga,.10 Noi dobbiamo creare la nostra.
 

          Quindi Pierre Corsi, in mancanza di una salda base culturale sulla quale stabilire l’identità còrsa, si spinge al punto di proporre un comunitarismo basato sugli interessi. Ma qui si tratta di un’associazione commerciale, non di una nazione e come tutte le associazioni commerciali si potrà sciogliere quando verrà meno l’interesse comune.11 Sembra una cosa enorme, eppure una sua logica questo punto di vista ce l’ha. Infatti si arriva così al penultimo stadio di una nazionalità che si sta cancellando. I còrsi, avendo rinnegato la loro storia, la loro comunità linguistica, avendo rinunciato a dare del loro essere una definizione propria per adottare il punto di vista degli altri, come il pugile più debole che subisce il gioco dell’avversario, si sono lasciati costringere in un angolo del quadrato e sono ormai indifesi. Quando non c’è più tradizione, non c’è più lingua, non c’è più cultura, resta soltanto l’economia. Spogliatosi di tutto il còrso si è ridotto a mero homo œconomicus.12
 

Identità mediterranea ?
 

          Dunque ci siamo lasciati intrappolare dagli avversari ma anche dal nostro orgoglio in una posizione indifendibile accettando il giochetto che consiste nel magnificare le differenze quando si tratta del rapporto italiano-còrso e nel minimizzarle quando si tratta delle differenze tra i vari tipi interni all’isola. Il secondo atteggiamento è comprensibile, tende ad affermare l’esistenza di una personalità còrsa unitaria e poggia su una realtà. Il primo, invece, è un caso particolare di una vecchia tattica, destinato a diluirci all’interno di una latinità e di una mediterraneità dai confini indistinti. Ciò non è destinato ad arricchirci con i contributi di civiltà prestigiose, perché si rimane sempre ad un livello elementare, ma a sviarci dalle nostre vere affinità che potrebbero salvarci. Ultimamente ho sentito parlare di nuovo dell’influenza spagnola e addirittura dell’islamizzazione della Corsica. A proposito della prima si dà un’importanza esagerata all’episodio aragonese dimenticando la sua brevità e il suo aspetto meramente politico.13 A proposito, gli aragonesi parlano un tipo di catalano e non castigliano. Comunque non riesco a capire cosa ci sia d’aragonese o di spagnolo in Corsica. Siamo ben lontano dalla Sardegna o dalla Sicilia. Passiamo allora ai saraceni. Ultimamente un capo ameno si è spinto fino a spiegare che la Corsica è stata profondamente islamizzata, la prova ne sarebbe la presenza di cognomi come Pagani o Turchi nei paesi di montagna! Ovviamente questo divertente personaggio non ha idea di quanti Pagani o Turchi ci siano in Italia, e non sa, questo specialista della Corsica autentica, che un bambino non battezzato veniva chiamato « turcu » e insomma che ci sono tanti motivi per dare del « pagano » o del « turco » a qualcuno per non risalire al Medioevo e a una Corsica sarecena che non c’è stata.
 

          Questa della Corsica mediterranea (e sotto questo vocabolo si mette quel che si vuole) è l’ultima follia. I motivi sono essenzialmente di due tipi: la solita volontà di diluire l’identità còrsa in un’identità mediterranea indistinta per minimizzare la sua italianità e un altro motivo, più nobile, la volontà di lottare contro il razzismo: si inventano così collegamenti fantasiosi. Così ho appreso con meraviglia che Berberi e Iberi14 erano la stessa cosa. Ora, i militanti antirazzisti hanno ragione di combattere contro questa piaga, ma devono persuadersi che i giusti combattimenti si vincono invocando soltanto la verità. Un essere umano è un essere umano, va tutelato, rispettato, perché tale e basta. Non c’è bisogno di inventare collegamenti che non esistono o allora sono talmente lontani che non significano più niente. Perché paradossalmente si sfocerebbe in un’ideologia razzialista : con questo popolo in epoca preistorica abbiamo qualche origine in comune quindi dobbiamo sentirci solidali. Il razzialismo invocato dagli antirazzisti per lottare contro il razzismo : bello !
 

          Per tacere dell’incongruenza di questi ragionamenti: da un lato si pretende, falsamente, che i romani hanno occupato soltanto la parte marittima, si vorrebbe che Roma, Pisa e Genova, che hanno dominato per secoli, abbiano lasciato poche tracce e dall’altra si va a cercare un’influenza aragonese che si riferisce ad un episodio durato pochi anni e un’influenza islamica inesistente.15 Si minimizza il rapporto con gli stati italiani, e si va a frugare nella storia e nella preistoria in cerca dei collegamenti più strani. Non si sa se ci sia più malafede o pazzia collettiva.
 

          E purtroppo tutto ciò fà aggio su un’ignoranza diffusa quando gli specialisti tacciono. Un aneddoto ci sembra molto illuminante a questo riguardo. E’ successo su una radio locale. Un ascoltatore interviene per rimproverare al giornalista di aver usato una parola « italiana » anziché « còrsa », non so più quale. Fin qui niente di eccezionale, succede e spesso ci si accorge che la parola esclusivamente « italiana » è una parola còrsa semplicemente dimenticata da alcuni. Ma l’episodio diventa più interessante quando il giornalista tenta di dire che tutto sommato anche se così fosse non sarebbe poi tanto grave e spiega « sono le nostre radici ». Duplice la risposta dell’ascoltatore : i còrsi non potevano chiamarsi italiani perché la Corsica era di Genova, primo esempio in cui il dominio genovese viene adoperato per dimostrare l’estraneità della Corsica ad un’Italia che allora non esisteva (allo stesso ascoltatore non verrebbe in mente di pretendere che non esistevano tedeschi prima del 1870) poi, quando parla di un pacco di lettere conservate in famiglia, alla domanda in che lingua sono state scritte risponde « in còrso vecchio ». Cosa ovviamente impossibile. E il giornalista non se l’è sentita di spiegargli che queste lettere erano scritte in italiano.
 

Quali le conclusioni ?
 

          1/ il concetto di lingua, cultura e nazionalità di quest’ascoltatore è strettamente francese : egli identifica lingua, cultura, nazione, stato senza nemmeno sospettare che queste cose siano scindibili, quindi la cultura di cui è stato provvisto dalla scuola francese lo rende incapace di capire la Corsica, la sua cultura, la sua storia, di intendere se stesso ;
           2/ non è in grado di riconoscere un testo italiano quando lo vede ;
           3/ strilla contro l’italiano lingua estranea, ma crede che un testo scritto in italiano è scritto in còrso antico dimostrando al momento stesso il contrario di ciò che asserisce, cioè che l’italiano ben lungi dall’essere estraneo è suo ad un punto che non sospetta nemmeno ;
4/ dopo tutti questi anni di insegnamento della lingua e della cultura còrsa ne siamo ancora a questo punto : a cosa è servita la rivendicazione linguistica e culturale ? Questo è il risultato delle menzogne e delle mezze verità. Di due cose abbiamo bisogno : di verità e di coraggio!

 

 
 

1 Jean-Guy Talamoni, Ce que nous sommes. Ciò che no simu. DCL/Ramsay.
 

2 Ajaccio. Editions Alain Piazzola.
 

3 Ricordiamo che la –j- di “ picchjò ” serve a rendere la pronuncia còrsa di –cchi- Occorre purtroppo precisare per molti còrsi che le due pronuncie, nonostante la differenza grafica, sono vicinissime e che il toscano popolare conosce pronuncie “còrse” come “stiacciare”, “mastio” e anche “diaccio” (presente anche in lingua) e via di seguito.
 

4 “Picchiate e vi sarà aperto” dice il Vangelo, e Manzoni: “Picchiò pian piano con intenzione di dirsi un pellegrino smarrito”. Promessi Sposi, 8 (150).
 

5 Marie-José Dalbera-Stefanaggi, Langue corse. Une approche linguistique. Paris. Klincksieck, 1978. p.123.
 

6 Ancora una volta non intendiamo negare l’esistenza del còrso né vanificare la rivendicazione linguistica dei suoi militanti di cui facciamo parte, ma vogliamo reinserirlo nel suo ambiente storico, geografico e culturale per confortarlo e salvarlo.
 

7 Settimana del 18 al 24 gennaio 2002.
 

8 E si sta dileguando perché fissata ad un livello insostenibile.
 

9 Mettiamo questa parola tra virgolette, lasciando i nostri lettori decidere sulla sua validità in base alle loro scelte politiche.
 

10 Lo storico Rosario Romeo (Vita di Cavour, Laterza, Biblioteca Storica, 1998, prima ed. 1984) ha evocato la contrapposizione: “fra la dottrina “francese” della nazionalità, fondata sulla libera manifestazione della volontà dei cittadini aderenti a una determinata collettività politica, e la dottrina “germanica”, che sarebbe invece di carattere pesantemente naturalistico e deterministico , con il suo richiamo alla lingua e alla storia comune come elementi nei quali soprattutto si verifica la realtà delle nazioni. Ma non è difficile scorgere come la prima delle due concezioni rispondesse alle esigenze di uno Stato e una civiltà espansionistica come quella francese, tendente all’assimilazione di gruppi etnici di origine diversa via via annessi alla sua crescente sfera di potere, mentre la dottrina “germanica” mirava essenzialmente, e sopratutto nella sua originaria formazione herderiana, a garantire l’autonomia culturale di comunità prive di una efficace dimensione politica ed esposte dunque al rischio di perdere la propria identità nel contatto con gruppi etnici dotati di maggior vigore culturale e politico: nel che sta la ragione del ruolo svolto da quella dottrina nel risveglio dei minori popoli slavi dell’Europa centro-orientale”. Senonché anche la definizione francese la sua parte di naturalismo ce l’ha quando alla fine i suoi fautori vengono fuori con lo slogan intimidatorio “il francese, lingua della Repubblica” (Sottilmente si lascia il lettore indeciso se si tratti della “Repubblica”, cioè della democrazia, o della “Repubblica francese” cioè della forma repubblicana di governo di una determinata nazione, la nazione francese) che come tutti gli slogan è destinato ad imporre un’idea con mezzi tutt’altro che razionali. Rosario Romeo ci aiuta a capire quanto funzionali queste definizioni siano agli interessi di chi le propone. Si è a lungo insistito sui pericoli della concezione “tedesca”, che può giustificare una politica imperialistica. Ma vediamo che anche la definizione “francese” rischia di sfociare in un espansionismo, quando la dottrina “tedesca”, in determinate circostanze, può servire ai piccoli per difendersi dai grandi. Comunque nessuna delle due ci sembra soddisfacente, e dobbiamo crearne una e non lasciarcela imporre dagli altri.
 

11 Perché non creare un’associazione di produttori di formaggio o di salami?
 

12 Ci affrettiamo ad aggiungere che questa non è il modo di vedere di Talamoni.
 

13 Un capo ribelle còrso si è alleato con il re d’Aragona come altri andavano a cercare francesi o turchi, per esempio Sampiero: non per questo si parla dell’influenza della lingua e della cultura francese all’epoca del condottiero bastelichese.
 

14 D’altronde anche gli Iberi sono serviti in passato a dimostrare una presunta “spagnolità” della Corsica.
 

15 Consiglierei ai nostri “ islamici ” di riflettere un po’ a ciò che sarebbero (o non sarebbero) stati il “ prisuttu ”, la “ coppa ”, il “ lonzu ”, il vino e “ l’acquavita ” se la Corsica fosse davvero stata un paese islamico, senza parlare della scansione dell’anno ritmato dalle feste cristiane, e non parlo dello statuto della donna e mille particolari della vita quotidiana.