Relazione fatta il 27 aprile 2019 nella Sala consiliare del Comune di Calci per il convegno
Santa Giulia Dalla Corsica alla Toscana.
Il cammino, il progetto: un ponte tra storia, cultura e spiritualità.
Da Jean Pierre POLI,
autore di « 1769-1789 Vingt-ans de résistance corse » (Edizione Alain Piazzola – Giugno 2019)
Vi chiederete forse i motivi della mia relazione rispetto al progetto del cammino di Santa Giulia. Infatti, quel cammino, che inizia in Corsica, l’hanno seguito, 250 anni fa, dei Còrsi pensando alla libertà persa. Dopo la sconfitta di Ponte Novu che accadde l’otto maggio del 1769, l’hanno seguito arrivando a Livorno fino a qui, la zona di Pisa. E sono veramente felice di potere, proprio a Calci, rammentare la loro memoria.
Per capire il destino di questi Còrsi occorre prima ricordarsi che dal 1755 al 1769 i nazionali còrsi guidati dal generale Paoli hanno edificato un governo dell’isola che aveva tutte le caratteristiche di un stato indipendente. La Corsica aveva allora una costituzione scritta con un governo eletto (il supremo consilio), un parlamento (la dieta), dei magistrati regionali che amministravano 90 % del territorio insulare. La Corsica aveva una bandiera, una moneta, un’università, una gazzetta nazionale (I Ragguagli), una marina, e un esercito regolare chiamato la truppa pagata.
Ma una cosa mancava al Regno di Corsica, una cosa essenziale, il riconoscimento internazionale del suo governo. Per tutti gli stati europei, la sovranità della Corsica apparteneva alla Repubblica di Genova poi, dopo il trattato di Versailles, al Re di Francia.
Tuttavia i patrioti còrsi godevano della simpatia delle opinioni pubbliche ed anche dei sovrani di alcuni paesi: l’Inghilterra, l’Olanda, la lontana Russia, la Savoia, Napoli, e la Toscana. Questo appoggio toscano si concretizzava nello sviluppo del commercio tra nazionali còrsi e il porto di Livorno dove le navi entravano inalberando la bandiera còrsa fino al 1769.
La Francia dopo la cessione della sovranità da parte dei Genovesi ha dovuto conquistare l’isola con un esercito di circa 20 000 uomini per sconfiggere una popolazione di meno di 130 000 persone, donne e bambini compresi. La guerra durò un anno, con vittorie còrse, in particolare a Borgo il 10 ottobre 1768. Ma alla fine c’è stata la sconfitta di Ponte Novu.
Il generale Paoli dovette imbarcarsi il 13 giugno 1769 a Porto Vecchio su una nave inglese per sbarcare a Livorno il 16, dove il popolo toscano lo accolse con molto entusiasmo. Su un’altra nave giunse il fratello Clemente con 340 combattenti. Arrivano anche a Livorno 176 soldati ed ufficiali còrsi partiti dall’Isola Rossa su una nave inglese verso Oneglia, e su piccole navi còrse sbarcano in Toscana altri patrioti. Tra gli esiliati ci sono numerosi soldati della truppa pagata.
Tutti questi combattenti che hanno seguito il generale, godono della protezione del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo 1° che fa scrivere dal suo ministro due lettere a Paoli per assicurarlo che i Còrsi rifugiati saranno trattati come i suoi sudditi, con la stessa protezione.
I soldati còrsi sono accompagnati da una cinquantina di chierici patrioti, preti o monaci. Ma in quel momento, ci sono poche donne, una sola viene segnalata dalle gazzette toscane, la signora Serpentini «che abbia continovamente seguitato il sig. Generale de Paoli, vestita da uomo, armata di fucile, pistola, paloscio [cio è una piccola spada], e di tutto ciò che si converrebbe ad un soldato ».
Altre donne e bambini raggiugeranno la Toscana nel 1770, soprattutto quando il generale Marbeuf, comandante dell’esercito francese in Corsica, pubblica un ordinanza che impone alle mogli di uscire dall’isola e confisca le case e i beni di tutti i rifugiati.
La Francia esercita una pressione diplomatica forte sul Granduca affinché non consenta l’insediamento di una forza armata ostile alla Francia a prossimità dell’isola. Dopo un incontro con Pietro Leopoldo, Pasquale Paoli decide di andarsene a Londra, e gli altri Còrsi sono disarmati ma possono stabilirsi in Toscana nei luoghi indicati o tollerati dalle autorità, la città di Livorno essendo in teoria proibita.
La sistemazione dei Còrsi si fa per una parte minore nei dintorni di Livorno nel sobborgo di San Jacopo e un gruppo di combattenti raggiunge le colline di Montenero. Uno scrittore, Pietro Vigo rammenta in un libro del 1902 che c’era sempre una casa che si chiamava « casa dei Còrsi » a Montenero e scrive : che « avevano trovato asilo altri Corsi, onde il nome della casa, fuggiti dalla loro isola nativa per odio della nuova dominazione francese (…) I Corsi, in tale modo perseguitati, cercarono nascondersi in luogo appartato e di accesso difficile, non molto lungi dal mare, per poter cosi più agevolmente tentare uno sbarco nell’isola, ed erano perciò venuti tra le balze di Montenero, in una valle che si nasconde tra boschi in luogo pauroso ».
Ma l’alloggio si fa principalmente come ordinato dal governo toscano, con l’accordo delle popolazione, nella zona di Pisa : a Cascina, Mezzano, Colignola, Bagni San Giuliano, Riglione, e Calci. Alcuni capitani còrsi si installano a Pistoia come Achille Murati, il famoso conquistatore di Capraia con le forze nazionali còrse nel 1767. E dei giovani còrsi sono scolarizzati al collegio Cicognini di Prato.
Monaci còrsi patrioti sono ospitati dai conventi pisani. Per esempio, padre Bonfiglio Guelfucci, già segretario del generale Paoli di ritorno da Londra, vive nel convento Sant’Antonio.
Clemente Paoli, capo dei rifugiati còrsi, dopo un passaggio a Vallombrosa si stabilisce alla Certosa di Pisa, proprio qui a Calci.
I combattenti còrsi che, secondo le parole di Pasquale Paoli, sono destinati ad essere « i vendicatori della Patria » sono riuniti con i loro capitani, e sono dal primo giorno dell’esilio assoldati grazie al denaro inglese mandato al Generale, vengono chiamati, anche dai francesi, col nome di « pagati ». Il denaro inglese serve anche per compare armi e munizioni destinate alla resistenza nell’isola. Tutto questo è proibito ufficialmente dal governo toscano, ma si può dire che il Granduca dimostra veramente un certo grado di tolleranza nei fatti.
Al di là di questa organizzazione militare segreta i Còrsi si occupano di attività agricole ed artigianali, e la vita nei paesi toscani di questa comunità di quasi 1000 persone è fatta di avvenimenti come matrimoni, nascite, e morti, segnati nei registri delle parrocchie dove si sono stabiliti. Nell’anno 1772, l’economo spirituale della parocchia di Marciana di Cascina si chiama Francesco Antonio Guidicelli, di Santa Lucia di Talcini, il fratello Antonio Matteo è studente in medicina all’Università di Pisa.
Molti di questi combattenti sbarcano clandestinamente per compiere delle missioni in Corsica :
- Per portare delle armi e munizioni ai resistenti che sono nelle macchie dell’isola.
- Per aggredire i soldati francesi su tutti i cammini e creare la più grande instabilità possibile
- Per incontrare dei patrioti e conservare il contatto tra loro e il General Paoli, capo della nazione còrsa in esilio.
Un magistrato còrso che era stato paolista ma adesso era allineato alla Francia, Carlo Buonaparte, padre di Napoleone, scriverà nel 1772 ad un suo familiare che non si poteva uscire da Ajaccio senza rischiare la vita. La Gazzetta Toscana informa che « non passa giorni che i Cacciatore Reali Francesi, che di continuo girano per l’Isola, non vengano alle mani con quelli Corsi che si son voluti mantenere in libertà ». E degli ufficiali francesi scrivono alle loro famiglie che « la Corsica è pericolosa ai Francesi ». Tutta questa agitazione, che durò dal 1769 fino al 1775, non sarebbe stata possibile senza la presenza dei combattenti còrsi in Toscana.
E la Toscana è anche il posto dove si stampano clandestinamente e si trasmettono in Corsica gli scritti di Pasquale Paoli e pubblicazioni di propaganda destinate a persone notabili conosciute per i loro sentimenti patriottici. Uno dei libelli, Sentimenti de’ nazionali corsi contro l’invasione della loro patria stampato in Toscana nell’anno 1771 inizia così : « In vano lusingansi i nostri Nemici d’averci vinti, ed abbattuti. Noi protestiamo a tutte l’età presenti, e future, che vive in Noi lo sprito della libertà, e viverà ne i nostri Posteri ancora, finchè scorrerà il sangue corso per le loro vene ».
Per vietare i passaggi in nave dei Còrsi, il generale Marbeuf aumenta la vigilanza sulle coste e procede all’arresto di marinai. In Toscana, sotto la pressione francese, ordinanze del Granduca proibivano i viaggi clandestini nell’isola. Ma niente da fare, i Còrsi riuscirono a passare noleggiando navi toscane, napoletane o còrse. E quando accade un arresto, per difendersi i marinai dicono tutti che i Còrsi si sono imbarcati con la violenza. Viene conservato nell’archivio del Ministero della Marina Francese, un biglietto dato dal padrone di una nave per giustificazione dell’imbarco dei Còrsi, su quel biglietto è scritto : « Confesso qualmente noi abbiamo preso il bastimento e marinari nella spiaggia d’Aleria di forza fata, e questo lo dico per pura verità che son Pace Maria Falconetti di Vallerustie ». Il Pace Maria è un dei piu famosi capi delle resistenza corsa.
Beninteso, la presenza dei questi Còrsi sul territorio Toscano ha generato alcuni incidenti che vengono segnalati dai governatori all’Auditore fiscale a Firenze. Ci sono liti, ubriachezze, contrabbando, avventure con le donne, che accadono a Cascina, Vico Pisano, Castelvecchio, Fibbiala, Pescia, e Castiglione della Pescaia. Ma sono incidenti minori. Il problema più difficile da trattare è la presenza tra i Còrsi esiliati, anche se sono pochi, di veri banditi, che passano in Corsica per rubare ed assassinare poi ritornano « a godervi i frutti delle loro sceleratezza ». Clemente Paoli chiede, il 3 marzo 1772, ai suoi capitani di collaborare con le autorità toscane per arrestarli. E il capo dei Còrsi rifugiati scrive : « E del nostro maggiore interesso di invigilare con più rigore sulla condotta della nostra gente » affinché « non potranno non essere pregiudizievoli a tutto il corpo ».
L’anno 1774 è tragico per i patrioti còrsi: vede fallire l’insurrezione organizzata dai rifugiati in Toscana per liberare una parte dell’Isola ed aspettare l’aiuto delle truppe inglesi. Molti dei « pagati » vengono uccisi o arrestati nell’Isola dove hanno combattuto con i resistenti locali. In Corsica la repressione è terribile (impiccati, case bruciate, arresto dei familiari ed amici) più di 400 Còrsi sono incarcerati a Tolone con le catene ai piedi, e molti dei « pagati » morirono in prigione come il famoso capitano Giovan Carlo Guiducci.
Solo due capi delle resistenza erano potuto partire dalla Corsica per la Sardegna nel 1775, Angelo Matteo Bonelli detto Zampaglino e Martino Leca. Devono partire alla richiesta della Francia, e sbarcano a Livorno il 19 gennaio 1776. Incontrano Clemente Paoli a Pisa, ma inseguiti si stabiliscono a Lucchio, località della Repubblica di Lucca. Quando le forze lucchesi bloccano Lucchio, Zampaglino riesce a scappare, ma il capitano Martino è ammazzato, era il nipote di un prete, eroe delle resistenza còrsa, chiamato Circinellu.
Dopo questi avvenimenti, il numero degli esiliati in Toscana diminuisce. Rimane solo un centinaio di « pagati ». Gli altri sono morti, in carcere, o sono ritornati in Corsica per usufruire dell’amnistia reale, e una parte si arruola negli eserciti stranieri (anche in Russia).
I combattenti che stanno in Terraferma sono allora muti e tranquilli fino al 1782 quando i pagati sono reclutati dall’esercito inglese per formare, a Livorno, una compagnia còrsa con ufficiali còrsi per la difesa di Porto Mahon sull’Isola di Minorca, poi la difesa di Gibilterra.
Voglio anche rammentare che numerosi giovani Còrsi sono venuti a quell’epoca in Toscana per studiare all’università di Pisa. Quegli studenti incontravano allora Clemente Paoli e gli altri patrioti esiliati come lo scrittore Giuseppe Ottavio Nobili-Savelli, per parlare della libertà persa. Rammenta questi incontri nelle sue memorie Giuseppe Buonaparte venuto a studiare a Pisa nel 1787.
E quando gli ultimi rifugiati ritornano in Corsica, all’epoca della Rivoluzione francese, si ritrovano con gli altri paolisti per ringraziare pubblicamente le nazioni che avevano accolto ed aiutato i « martiri della libertà », l’Inghilterra e la Toscana.