Opinioni

Riacquisto

Interessanti ma anche preoccupanti, due articoli pubblicati sull’ultimo numero della rivista A Pian’ d’Avretu. Il primo ad opera di Santu Casta e il secondo di M.O. Ferrari. Dell’articolo di Casta si può dire che si limita a una malinconica constatazione: la politica linguistica è fallita e che il còrso sta morendo. Un’ammissione sconfortante perché fatta da un uomo che ha dedicato gran parte della sua vita proprio alla salvezza della lingua.

Quello del Ferrari invece verte su: L’utilisation, parcimonieuse, du sicilien chez Camilleri. Niente da ridire alla descrizione della lingua “mista” dell’autore siciliano nella quale i còrsi, d’altronde, possono trovare molte somiglianze con la loro lingua. Faremo soltanto notare al Ferrari che questo corrispondenze con il còrso possono trovarsi anche in altri dialetti italiani. Dobbiamo però dissentire dal Ferrari nella conclusione.

Dice il nostro: “Qu’on le veuille ou non (perché potremmo non volere?) le sicilien entretient une proximité avec l’italien que le corse ne peut s’autoriser avec le français. C’est l’histoire même de la langue italienne qui a toujours coexisté avec ses dialectes et la langue intermédiaire qui dans chaque région naissait de ces confrontations. Camilleri n’a fait que reprendre consciemment ce que d’autres, des siècles avant lui, faisaient inconsciemment ou par ignorance. Il est dans une continuité logique de l’histoire linguistique italienne et l’adapte aux nouveautés de notre millénaire”.

Purtroppo dopo questa diagnosi ineccepibile (da aggiungere però che il còrso è molto più vicino del siciliano all’italiano e che l’autore dell’articolo avrebbe potuto interrogarsi proprio sulle possibilità offerte da un uso combinato del còrso e dell’italiano) prosegue “Aujourd’hui la Corse n’a plus sa place dans cette histoire et cet environnement. Parce qu’en deux cent cinquante ans elle s’est définitivement coupée de ce cadre là et qu’elle serait sûrement perdue si elle devait s’y réintroduire”. Questa frase prima di tutto è sbagliata perché non è vero che la Corsica abbia reciso da 250 anni i legami con la lingua e la cultura italiane. I vari libri usciti di recente sulla Corsica dell’Ottocento dimostrano con dovizia di prove che molti còrsi continuavano ad andare a studiare in Italia e facevano poi convalidare i loro diplomi in Francia. E molti continuavano a imparar a leggere e scrivere in italiano. Anche noi abbiamo fatto vedere che alla fine dell’Ottocento ancora molti documenti erano scrittti in italiano.1 Poi anche chi aveva incominciato a studiare in francese conosceva l’italiano. E l’italiano è rimasto a lungo (accanto al latino) la lingua della Chiesa (dobbiamo ricordare ancora una volta che l’ultimo prete ad avere predicato in italiano è morto nel 1960?), della poesia, delle canzoni, e tutti praticamente studiavano l’italiano a scuola. Ancora per la generazione che ha raggiunto l’età adulta negli anni sessanta del XX secolo, l’italiano non era una lingua straniera come le altre. Poi ci viene detto: la Corsica non ha più il suo posto in questo ambito.

Ma chi lo dice ? All’ora dell’Europa, dell’apertura delle frontiere ? Se tutto il denaro che è stato profuso per una cultura còrsa che poi còrsa non è perché priva delle sue radici, del suo spazio geografico e culturale, fosse stato speso anche per riannodare i vecchi legami secolari che ci hanno sempre uniti ai nostri vicini, forse si sarebbe finalmente arrivati a qualcosa di concreto. Infatti abbiamo qui una sintesi dei motivi che sono alla base del fallimento della politica linguistica e culturale seguita in Corsica. Se, come si sarebbe dovuto fare, si fosse insegnato in parallelo il còrso e l’italiano, con quella parte della cultura italiana che ci spetta di diritto, dopo trent’anni non saremmo arrivati a questo punto.

A costo di ripeterci dobbiamo insistere su alcune evidenze che non sono più tali perché, a forza di ragionamenti capziosi, si è riuscito a confondere le menti. Non possiamo racchiudere il còrso all’interno di limiti ristretti dal punto di vista sia spaziale che temporale. In altre parole, la Corsica è piccola e poco popolata, ha dunque bisogno di prolungarsi all’esterno, e la necessità che i còrsi sentono di un radicamento non può essere soddisfatta senza tener conto del loro passato, altrimenti dove mai dovrebbero affondare queste radici ? Per questo abbiamo spiegato la necessità di un’operazione culturale che vada al dilà delle frontiere dell’isola, volta a recuperare tutto il nostro passato e non parte di esso. Insomma dopo il “Riacquistu” operato negli anni ’70 del XX secolo, occorre ora procedere al “Riacquisto”.

Se lo si considera impossibile (e perché ? sarebbe più facile del “Riacquistu” dati i mezzi immediatamente disponibili) si ammette il fallimento di tutta l’opera intrapresa e ci si rassegna alla scomparsa dell’identità còrsa. Qualche volta si sente dire che non c’è bisogno di imparare l’italiano perché tanto chi parla còrso capisce l’italiano e sa farsi capire dagli italiani. L’argomento non regge perché adesso nelle relazioni di lavoro, occorre usare termini precisi, non è permesso il pressappochismo. Poi non si può più fare a meno di conoscenze culturali (in senso stretto e in senso lato) del paese con cui si hanno relazioni per esempio commerciali.

Perché anche questo dobbiamo ripetere, deve considerarsi assurdo un indirizzo linguistico culturale còrso che non comprenda anche (dico bene “anche”) lo studio della lingua e della cultura italiane. Assurdo tradurre in un còrso sempre più francesizzato dei concetti francesi a destinazione di còrsi che leggono perfettamente il francese, anzi meglio di questo còrso. Perché oltre la lingua è necessaria anche la cultura: prima di tutto perché non si possono capire la storia, la cultura, la lingua della Corsica senza una buona conoscenza dell’Italia, della sua storia e delle sue lingue.

Sono stufo di leggere fesserie che dimostrano in questo campo l’ignoranza di conoscenze anche basilari e non meraviglia che gli italiani che frequentano i vari forum corsi rimangano di stucco davanti a questa generale incultura da parte di gente di cui si sente che amano la loro Corsica ma non riescono a interpretarne la storia, sono, per così dire, degli stranieri in patria. Quindi sono necessari lo studio dell’italiano e di almeno parte della cultura italiana (non solo la cultura alta ma si dovrebbe anche avere una tinta delle varie culture popolari). Ma, dirà qualcuno, la cultura attuale (in senso lato) non ci riguarda. Non è vero, perché se dobbiamo avere relazioni con l’Italia, nostra vicina, anche della cultura attuale abbiamo bisogno, e dobbiamo approfittare delle comuni radici per sfruttare al meglio questa vicinanza geografica, storica e culturale.

Ma chi dice che il còrso basta per “cavarsela” in italiano trascura anche il fatto che per conservare l’intercomprensione anche tra idiomi vicinissimi, occorre mantenere le relazioni. Vorrei fare qui l’esempio del ceco e dello slovacco. Un’amica ceca mi ha detto quanto è rimasta sopresa quando si è accorta che sua figlia capiva male o addirittura non capiva lo slovacco. Infatti le due lingue sono vicinissime e ai tempi della Cecoslovacchia tutti capivano l’altra lingua, le trasmissioni radiotelevisive passavano dal ceco allo slovacco, c’erano contatti ecc. Da quando c’è stata la separazione, i cechi sentono soltanto ceco e gli slovacchi soltanto slovacco. E’ venuta meno l’abitudine di passare da una lingua all’altra e nonostante la prossimità degli idiomi, l’intercomprensione si fà più difficile.

Per illustrare l’attuale degrado vorrei narrare una vicenda illuminante accaduta al Pronto Soccorso dell’ospedale di Bastia. Arriva una coppia d’italiani provenienti da Porto Vecchio, la donna si era infortunata sembra in modo non grave. Il marito è ricevuto da un giovane còrso che dichiara di conoscere l’italiano. Infatti parla un còrso elementare appena italianizzato, dice “abbiamo” ma anche “avemu”, dice “pagà”, non conosce la parola “rimborsare”. Comunque si vede che è contento di poter usare le sue competenze linguistiche e si avverte una simpatia nei confronti dei due italiani. Interviene una segretaria che non cerca nemmeno di parlare italiano e rivolgendosi all’uomo dice “ma conosce almeno qualche parola di francese ?” e rimane sorpresa, dispiaciuta e quasi scandalizzata al secco “no” dell’interlocutore. Immaginiamo un po’ una segretaria ceca che si dimostrerebbe scandalizzata perché gli eventuali pazienti non conoscono una parola di ceco !

E’ vero che questa signorina era chiaramente figlia di immigrati, ma tempi fa ho conosciuto figli d’immigrati di ogni origine che non solo capivano ma parlavano il còrso e quindi l’italiano. Poi il marito italiano della paziente ha a che fare con un medico o un infermiere e la conversazione si svolge in inglese. Probabilmente scottato dall’accoglienza ricevuta gli aveva rivolto direttamente la parola in inglese, ma alcuni anni fa non sarebbe successo. Mi ricordo di un austriaco esterrefatto allo stesso ospedale di Bastia (si era nel 1988) che mi diceva parlando della Corsica in genere: ma qui nessuno capisce l’inglese, solo il francese e l’italiano.

Un altro esempio : in un palazzo del centro di Bastia importanti lavori di refezione sono stati eseguiti da una ditta còrsa con l’impiego di lavoratori italiani e rumeni che parlavano l’italiano. Ho potuto notare come i lavori procedevano senza intoppi. Anzi, i còrsi erano felici (e fieri) di potersi esprimere in còrso, ritrovavano parole còrse quando forse avrebbero usato francesismi. Insomma era, in piccolo, un’immagine perfetta di ciò che potrebbe essere la Corsica con un po’ di buona volontà. E’ certo che questo tipo di collaborazione è da favorire e da estendere in molti altri campi. Possiamo concludere dicendo che il còrso e l’italiano sono complementari.

L’italiano dà al còrso una dimensione moderna e internazionale radicandolo anche nel passato. Il còrso dà all’italiano il necessario radicamento sentimentale. Per finire, una delle ultime pazzie che si sentono in giro (e sarà stata diffusa di proposito) è che la lingua italiana è una lingua recente e quindi non ci riguarda perché sarebbe nata quando la Corsica era già entrata nell’orbita francese. A questo punto viene da chiedere in quale lingua scrivevano Dante, Petrarca, Pasquale Paoli, Salvator Viale e gli antenati del sottoscritto che se non scrivevano, purtroppo, la Divina Commedia tenevano i conti di casa, si scambiavano lettere in italiano ecc.

Ovviamente si capisce da dove viene l’equivoco (alimentato ad arte), dalla questione della lingua di manzoniana e ascoliana memoria. Ma che ci sia stata un’evoluzione dall’Ottocento in poi (e l’evoluzione continua) non significa che si tratti di una lingua diversa. Dopo tutto anche il francese attuale è diverso dal francese del Settecento e dell’Ottocento. Vogliamo pretendere che si tratta di due lingue diverse? E ad un francocanadese verrà detto che non ha niente da vedere con il francese attuale e deve dunque allontanarsene ? E’ stato tentato da alcuni, ma il buon senso ha prevalso. Veramente con noi ce l’avranno provate tutte.