Opinioni

Rivoluzione culturale

Ci viene spesso chiesto perché insistiamo tanto sulla lingua e non affrontiamo anche altri aspetti del problema còrso.
Ci viene spesso chiesto perché insistiamo tanto sulla lingua e non affrontiamo anche altri aspetti del problema còrso. A questo rispondiamo prima che essendo A Viva Voce una rivista di cultura è naturale che di cultura parli. Ma è anche vero che questo aspetto ci sembra proprio centrale perché tira in ballo l’identità di un popolo e anche perché, se molto probabilmente dal punto di vista economico le cose si aggiusteranno, il lato linguistico-culturale invece ci vede pessimisti, e allora, morta la lingua, morto il popolo. Tanto più che siamo alla vigilia di dover compiere scelte importanti.
Infatti sembra ormai semplicemente una questione di tempo. L’insegnamento del còrso è destinato ad essere generalizzato. 0ccorre quindi interrogarci sui contenuti che non possono essere lasciati a pochi specialisti. Questo riguarda tutti noi. Ovviamente va insegnata la lingua in senso stretto, e abbiamo detto come, secondo noi, lo studio del còrso non possa essere disgiunto da quello dell’italiano. Ma la lingua rimane una forma vuota se separata dalla cultura. Infatti la Corsica è attualmente in cerca di una cultura propria, chiamiamola cultura identitaria. Ora, alcuni sembrano credere che in materia di lingua e di cultura siamo liberi di ripartire da zero, di creare qualcosa di interamente nuovo liberandoci dal nostro passato, da tutto ciò che ha plasmato la vecchia Corsica. Può darsi. Almeno in teoria. Ma in pratica sorgono immediatamente due domande: è veramente possibile e a che pro?
E’ possibile? Abbiamo già sottolineato tutte le difficoltà pratiche che rendono indispensabile lo studio dell’italiano insieme al còrso, la ristrettezza del campo dell’editoria, del dominio d’utilizzo riservato al secondo che lo costringono in un faccia a faccia con il francese nel quale esso parte necessariamente sconfitto sin dall’inizio, il suo necessario arricchimento da quella che è sempre stata la sua “lingua”.
A che pro? Alla base della spinta identitaria c’è la volontà di mantenere il proprio essere, di proseguire lungo la strada lasciata da una tradizione ben definita (e nel nostro caso la nostra tradizione linguistica e culturale ci colloca all’interno dell’area italiana). Altrimenti la nostra lotta non ha senso. Per giunta, abbandonato l’ombrello linguistico e culturale italiano saremo consegnati in balia di forze potentissime e verremo spazzati via.
Pensiamo quindi che in questo campo non si possa fare tutto. Certo rinnovamento, adattamenti sono necessari. Ma la cultura di un popolo deve conservare un legame con il passato. Altrimenti c’è un momento in cui c’è un rischio di frattura, la cultura nuova non è più figlia dell’antica e il popolo si accorge di avere smarrito la propria essenza. Vengono meno le energie creative e uno si trova in preda al materialismo e all’utilitarismo, pronto ad accettare, in omaggio alla modernità, la rinuncia al proprio essere che in cuor suo ha già compiuta da tempo.
Dunque la Corsica ha bisogno che venga sviluppata una cultura specifica, ma anche che questa cultura non sia in rottura con il suo passato. Certo vanno studiati gli autori che hanno scritto in còrso e fra questi, ovviamente, quelli più recenti ma anche altri autori del passato spesso bollati d’italianità, senza più apriorismi politici, ormai superati, o linguistici, tanto più che il loro còrso era più rappresentativo del vero uso linguistico, della vera tradizione còrsa(1) . Viene da ridere pensando che alcuni scrittori di una volta vengono spesso astiosamente detti “italianizzanti” da autori (chiamiamoli così) che scrivono in un incomprensibile gergo neocòrso.
Ma, il necessario abbinamento italiano-còrso non riguarda soltanto la lingua. Dobbiamo determinare di quanta parte della cultura italiana abbiamo bisogno. Come abbiamo spiegato, alcuni autori fanno parte della nostra cultura tradizionale. Altri servono per capire la società còrsa e la sua storia(2). Sull’ultimo numero di A Viva Voce abbiamo tentato di dimostrare come questa cultura sia necessaria per capire l’architettura, la pittura, la storia religiosa della nostra isola. E questo vale, tanto per fare un altro esempio, anche per la musicologia. Ovviamente la storia còrsa va insegnata e reinserita nella storia del Mediterraneo occidentale e di quei paesi che venivano un tempo raggruppati sotto il nome d’Italia. Da sempre manca in Francia la storia locale e chi non ha la fortuna di vivere a Parigi o in una regione segnata in qualche modo dalla storia nazionale francese ha l’impressione di essere fuori dalla storia.
Questo reinserimento della cultura còrsa nell’insieme italico è indispensabile per tutti (non soltanto per gli specialisti). Ma abbiamo già anche sottolineato come la lingua italiana non ha soltanto per scopo di radicarci nel passato. Deve servire anche per preparare il futuro. Deve insegnarci ad espanderci all’interno del nostro spazio europeo. Deve promuovere una modernizzazione culturale, tecnica, commerciale della Corsica. Come abbiamo già sottolineato varie volte, saremo sempre più chiamati a lavorare con gli italiani. Ora le relazioni economiche con l’Italia non sono all’altezza di quanto si potrebbe sperare in base alla possimità geografica e all’elevato grado di attività delle regioni italiane a noi vicine. In passato si sono potuto incriminare l’isolazionismo doganale e la scarsità delle relazioni marittime. Ma sembra che le cause siano anche da ricercare nella permanenza dei vecchi circuiti economici (e a ciò si potrà rimediare) e un ostacolo culturale, cioè l’ignoranza reciproca di due mondi che tutti dovrebbe unire (ed è stato così in passato) e che la storia ha tragicamente separati. Quindi compito della scuola sarà di far scomparire questo ostacolo artificiale. D’altronde anche altrove sarà così nell’Europa di domani, ma da noi è una cosa indispensabile e urgente. Direi che la cosa da fare immediatamente è mettere in tutte le scuole di Corsica una carta geografica con la vera posizione della nostra isola rispetto all’Europa e al Mediterraneo. I còrsi si accorgerebbero presto che sono molto più ad est e più a nord di quanto lo credano e ciò servirebbe a sgomberare le menti di tutti i discorsi insieme “esagonali” e “mediterranei”. La frontiera a Mentone è a 43° 48′ di latitudine N e 7° 31′ di longitudine E. La punta occidentale della Corsica a 8° 33′ di longitudine Est (dunque un grado ad est del punto precedente). Il nord del Capo Còrso è a 43° 2′ di latitudine N, Bonifacio a 41° 24′ di latitudine N e 9° 9′ di longitudine E. Barcellona a 41° 23′ di latitudine N, 2° 9′ di longitudine E, la frontiera franco-spagnola a nord di Barcellona sta a 42° 25′ di latitudine N e 3?° 9′ di latitudine E. Ne risulta che non siamo “equidistanti” né tra la Spagna e l’Italia, né tra il nord e il sud. Il sud della Corsica corrisponde al nord della Spagna e l’ovest della Corsica è ad est della frontiera franco-italiana. E la linguistica conferma pienamente, se ce ne fosse bisogno, queste coordinate (3).
Esiste da alcuni anni in Corsica una ridicola infatuazione per la Catalogna. C’è chi vorrebbe stabilire dei confronti con la Corsica! Si capisce il perché dell’illusione: il catalano è risorto, è diventato la lingua di una region autonoma e si sta riprendendo nei confronti di una lingua di larga diffusione a lungo dominante come lo spagnolo. Si trascura semplicemente alcuni fatterelli: il còrso non ha avuto le fortune storiche del catalano, la Catalogna è la regione più ricca della Spagna e Bastia ed Aiaccio messe insieme fanno ridere accanto a Barcellona. Quando la Catalogna ha pubblicato una mappa delle regioni con le quali intende commerciare ha semplicemente dimenticato la Corsica (4).
Colgo l’occasione per meravigliarmi di un’opinione espressa da J.M.Arrighi sul mensile Corsica (5). Arrighi (se capisco bene) dichiara che dobbiamo prepararci ad accogliere a Corte studenti provenienti dal Terzo Mondo, perché tanto da Pisa verrà poca gente. Ora devo dire che ho dovuto rileggere più volta la frase tanto mi sembrava assurda. Prima di tutto per il concetto dell’Università che essa dimostra. Un’università non deve sembrare in cerca di possibili “clienti”. Non è, o non dovrebbe essere, un’impresa commerciale. Accoglie studenti e docenti stranieri perché può dar loro qualcosa e perché può aspettarne qualcosa in cambio. E non deve modellarsi su un’ipotetica “clientela”. Gli argomenti di Arrighi sono improponibili. Li riassumo in breve: siccome moltissimi tra i futuri studenti di Corte verranno dal Terzo Mondo e la Corsica deve essere un legame tra Nord e Sud (cose tutte da dimostrare), noialtri dobbiamo “modellarci” sui futuri clienti, quindi, si presume, farci nigeriani, pachistani, indiani, sudamericani, e così via secondo quanto prospetterà il mercato. Ovviamente, tutti questi, attratti dalle formidabili offerte dell’Università di Corte, verranno a imbeverarsi di cultura còrsa. A meno che Arrighi abbia in mente di trasformare l’Università di Corte in un centro mondiale per l’insegnamento della lingua e della cultura francese agli stranieri. Finirà con un università di Corte base per insegnare il francese ai francofoni dell’ex impero. Anche questo si può fare e dato il concetto degli studi còrsi che sembra prevalere, si può anche dire che la previsione è abbastanza azzeccata. Ma era nata per questo l’Università Pasquale Paoli?
Insomma un tale atteggiamento dimentica il fine dell’esistenza di un’università per dedicarsi al contingente: le alleanze non sono fini a sé stesse, ma vanno inquadrate all’interno di una politica. Prima si definisce la politica, dopo si ricercano le alleanze. Ora, intendiamoci, pensiamo che Arrighi, uomo colto e di buona volontà sia semplicemente una vittima del discorso dominante, del “politichese” nostrano. D’altronde l’inizio del suo articolo lasciava presagire il contrario. Ma con una impostazione sbagliata anche i migliori dicono fesserie.
D’altro canto l’Università di Corte non è un’università qualsiasi. I suoi ideatori intendevano farne uno strumento per la formazione anche culturale dei còrsi. Deve servire per radicarli nella loro storia e nel loro ambiente naturale. La sua politica culturale deve dunque mirare a creare alleanze con chi ha qualcosa da portarci in termini di ricreazione, di mantenimento e di sviluppo della nostra identità.
Comunque non si capisce perché la Corsica non potrebbe ricevere alcuni studenti e docenti pisani, anzi, fortunatamente già si fà, ma si dovrebbe fare molto di più. Per conto loro i còrsi, studenti e ricercatori hanno tanto da imparare andando a Pisa(6) (dico Pisa perché Arrighi ne ha parlato, ma lo stesso si potrebbe dire di altre università italiane come Genova (per ovvi motivi), o altre, nel campo dell’italianistica, della storia, della linguistica, dell’etnologia, della musicologia ecc.). Se ciò fosse stato fatto in passato, non si sentirebbero tante assurdità in giro.
Infatti c’è da temere che quest’atteggiamento, diffuso in Corsica, testimoni un’incapacità di pensare una politica culturale (in senso lato) autonoma per la Corsica. Siamo vittime di un’irrimediabile giacobinismo intellettuale vissuto in un mondo francocentrico. In questa prospettiva la Corsica, che dovrebbe essere un ponte in direzione dell’italofonia, viene vista come base avanzata della francofonia. Certo che così, dal punto di vista culturale almeno, non diamo fastidio.
Per tornare ai vantaggi offerti dalla lingua italiana non dobbiamo dimenticarne un’altro rappresentato dalla possibilità di insegnarla agli altri e di invogliarli ad impararlo. Essa accrescerebbe la capacità d’integrazione dei nuovi venuti, punto molto importante per la Corsica di domani, e non sto parlando soltanto di italiani, ma anche di persone di altre provenienze. Per esse sarebbe più facile cominciare la loro integrazione facendo propria una lingua come l’italiano con tutto il materiale didattico a disposizione e le possibilità procurate dalla presenza di un grande paese moderno che ci sta vicino. L’insegnamento del còrso potrebbe allora avvenire in un secondo tempo, o contemporaneamente, ma a condizione di mantenere i due insegnamenti collegati.
C’è chi penserà che stiamo esagerando, perché molti sembrano credere che con un po’ d’insegnamento (o molto), con l’ufficializzazione della lingua, qualche riconoscimento simbolico, si possa creare qualcosa. Ma non è così. Se si continua sulla strada attuale siamo avviati ad un placido tramonto. Chi crede di essere più efficiente smorzando le rivendicazioni, evitando gli argomenti scottanti, sbaglia e di molto. Anzi, uno rimane colpito dalla modestia delle rivendicazioni culturali rispetto a quelle politiche. Bisogna parlare chiaro: si ha il coraggio di promuovere una rivoluzione culturale o si muore.
Bisogna che i còrsi si decidano una buona volta: o per loro l’identità è un punto importante, irrinunciabile, e devono avere il coraggio di compiere scelte radicali. Oppure si tratta soltanto di un po’ di nostalgia, e allora la smettano di dar fastidio, accettino di scomparire e parlino un cattivo francese prima forse di passare all’inglese. La politica attuale è totalmente inutile, anzi è uno spreco che dovrebbe anche interpellare la coscienza di chi spende il pubblico denaro per simili scemenze (7) e lascia giovani energie ingolfarsi in una strada senza sbocchi, imparare una lingua (o piuttosto un gergo) privo di radici, senza valenze culturali e senza futuro. Ci si pensa a cosa faranno fra trenta anni gli sciagurati sacrificati all’ambizione, alla pusillanimità di alcuni e all’ignoranza di molti? La cultura è troppo importante: anche in questo campo bisogna dire la verità, formare le future generazioni. Siamo arrivati a questo punto perché abbiamo trascurato questo lato. Non serve essere cauti: si ha il necessario coraggio intellettuale o si muore.
Sta crollando i giacobinismo. Spetta a noi fare un uso decente di questa fine.
Paul Colombani
 
1 – Che non separava ciò che veniva allora chiamato il dialetto dalla lingua con steccati invalicabili.
2 – Vedi, per esempio, un po’ a caso, Dante, Ariosto, Tasso, e autori più recenti come Verga, ecc.
3 – Per questo non possiamo condividere l’opinione di Alain Di Meglio (Corsica n°7, aprile 2000) quando, dopo aver notato che un giorno bisognerà pur ridare in Corsica all’italiano il posto che gli spetta, rovina tutto dicendo che la scelto dello spagnolo è altrettanto valida. No, non è vero. Lo spagnolo può avere un posto se concepito come lingua straniera, in più dell’italiano, ma non può pretendere di usurparne il posto. Nella Corsica di domani il còrso sarà obbligatorio, ebbene anche l’italiano dovrà esserlo.
4 – Mi è stato detto che quest’infatuazione è arrivata al punto che qualcuno va vociferando di particolare vicinanza tra il còrso e il catalano. Ora, a parte il fatto che si tratta di due lingue neolatine, questa parentela semplicemente non c’è
5 – Corsica, n°7, aprile 2000.
6 – Perché prima di pensare ad insegagnare agli altri dobbiamo imparare e abbiamo tanto da imparare. Comunque, per fortuna, accordi con Pisa esistono già.
7 – Per esempio, ho sentito ultimamente un argomento che mi ha lasciato di stucco: dato che siamo destinati a vivere con i francesi, i francesismi sarebbero accettabili in còrso. Insomma si tratterebbe di ufficializzare ciò che anni fa fu chiamato “u francorsu” (ricalcato sull’allora famoso “franglais”). Dovevo vivere abbastanza per sapere che i soldi delle nostre tasse servono per insegnare ai giovani còrsi a dire “rigrettà” (rimpiangere), e, culunisà (colonizzare), e (perché no?) “scianza” (fortuna) ecc. Senza parlare della più buffa di tutte le domande: c’é in Corsica chi si chiede seriamente se si deve scrivere “l’insignamentu” o “u insignamentu”, forma che in còrso non esiste. Se siamo arrivati a questo punto, vuol dire che il senso della lingua si é totalemente smarrito: tanto vale farla finita e parlar francese. Tutto sarà meglio di questo orrendo pidgin. Perché di questo si tratta nella mente malata di alcuni: si vuole, su una base più o meno còrsa (piuttosto meno, non vi pare?), creare una lingua (?) nuova, con parole fabbricate ad arte e francesismi. Il risultato lo sentiamo (o non lo sentiamo perché nessuno la parla?). E non parliamo poi degli sciagurati che non sanno come chiamare in còrso le città o i paesi stranieri che hanno imparato a conoscere con il loro nome francese e inventano parole da far drizzare i capelli quando non ficcano direttamente la parola francese nella frase còrsa. Sentiremo dire un giorno: “sò statu a Naples passendu per Livourne”. Tutto ciò accade perché si è smarrita “la diritta via”, quella dell’inserimento del còrso all’interno della sua famiglia. Il solo rimedio è di ritrovarla.