Opinioni

Liberazione. Per completare il quadro

Riproduciamo qui un articolo pubblicato sul sito di CorsicaOggi dopo un’intervista di Petru Luigi Alessandro a Leo Micheli

 Ho letto con interesse l’intervista di Petru Luigi Alessandri a Leo Micheli a proposito della liberazione della Corsica. Prima di tutto vorrei rendere omaggio all’onestà intellettuale di Leo Micheli che, da vecchio partigiano comunista, ha saputo mantenere un giudizio equanime su fatti di un periodo scottante che lo hanno riguardato da vicino. Detto ciò ci sentiamo in dovere di recare alcune precisazioni che consentiranno di vedere queste cose sotto un’angolazione un po’ diversa (fermo restando che la visione di Leo Micheli ritrae onestamente i sentimenti e il punto di vista della sua parte politica). Sappiamo che la stragrande maggioranza dei Còrsi ha accolto allora con sollievo il ritorno della piena sovranità francese. Ma sarebbe riduttivo identificare nella loro mente la Francia con la Francia del 1789. I Còrsi, come tutti i Francesi avevano frequentato la scuola della Terza Repubblica che si era assunto tutta l’eredità della Francia da Clodoveo (anzi da Vercingetorige) in poi. Quindi per loro la bandiera francese era quella della Francia (se i sentimenti di molti adesso sono cambiati, non occorre travisare il passato e dare una visione falsata dei sentimenti dei Còrsi di allora) e non soltanto quella della Rivoluzione. Ci sarebbe molto da dire d’altronde sull’atteggiamento dei Còrsi (almeno di molti di loro) all’epoca della Rivoluzione Francese. Non dimentichiamo il ritorno di Paoli e l’episodio del Regno anglocòrso (dal motto « Amici e non di ventura ») e la rivolta della Crucetta. Non è mai consigliabile identificare l’appartenza ad un paese con quella ad un regime politico, perché cambiato il regime rischia di venir meno il senso di appartenenza al paese.
Ma passiamo ora al periodo in esame, quello della liberazione della Corsica. E’ sacrosanto sottolineare che il 9 settembre 1943 viene dopo l’8 settembre giorno della firma dell’armistizio italiano. Sembra una banalità ma bisogna ricordarlo perché non si evince da quanto scritto sulla varie targhe commemorative (vedi per esempio davanti al porto commerciale di Bastia e a Teghime ).
Queste ultime rendono giustamente omaggio ai sacrifizi dei marocchini (quindi le scritte in arabo e tamazight, lingua dei Berberi) ma non solo trascura ma travisa il ruolo degli Italiani. Colgo comunque l’occasione per precisare che la Corsica essendo Francia non ci sono state da deplorare le cosiddette « marocchinate ». Per il lettore còrso che non sarebbe a conoscenza del significato di questo termine consiglio la lettura dell’omonimo articolo di Wikipedia in italiano. Tutto ciò non toglie niente alla resistenza còrsa che non aveva aspettato quel giorno per manifestarsi ma spiega il successo dell’impresa. Va d’altronde ascritto all’intelligenza dei capi di questa resistenza di aver aspettato quel giorno, se non lo avessero fatto sarebbero andati incontro ad un cruento disastro di fronte agli 80 000 uomini dell’esercito di occupazione.

 

Ma poi il contributo concreto degli Italiani alla liberazione della Corsica non risulta come si potrebbe credere da un unirsi degli Italiani antifascisti ai partigiani locali. Si tratta di una decisione del loro comandante il generale Magli (d’altronde un monarchico) in ossequio agli ordini del suo governo perché sembra che sia necessario ricordare che il 13 ottobre il governo italiano del generale Badoglio ha dichiarato guerra alla Germania. Tutto questo gli Italiani lo sanno, i Còrsi e i turisti che leggono le suddette targhe generalmente no. Ma già il 17 settembre il generale Magli aveva incaricato il Console della Milizia Cagnoni di prendere contatto con la Resistenza e abbiamo una testimonianza di questa collaborazione con la lettera di ringraziamento indirizzata da Caius (Simon Jean Vinciguerra) al « Colonnello » Cagnoni (Cagnoni era console della Milizia e il grado era parificato a quello di colonnello).
A proposito degli argomenti usati dai Resistenti è interessante analizzare un loro volantino caduto nelle mani degli Italiani.
Come si evince dal testo vengono adoperati tre tipi di argomenti:
Il primo gruppo è di ordine economico e sociale. E’ un classico. Certo ci si appella ad alte idealità ma la rivendicazione politica-ideologica viene collegata a rivendicazioni concrete che fanno leva sugli interessi immediati delle categorie prese di mira e chi ha sentito parlare le generazioni che hanno vissuto la guerra sa quanto importante (e per alcuni ossessivo) fosse il problema  del cibo. Poi viene l’abbozzo di un programma politico per il dopoguerra.
Il secondo argomento è di stampo patriottico francese e i redattori del volantino sapevano che allora era molto sentito nella grande maggioranza dei Còrsi, anche tra i corsisti.
Fin qui tutto bene. L’ultimo argomento è piuttosto discutibile secondo i nostri attuali criteri. Lasciamo stare l’esultanza davanti ai cadaveri delle vittime italiane della Francesco Crispi affondata davanti a Bastia. In guerra non si piange sui nemici morti anche se è vero che non tutti i Bastiesi reagirono così alla vista di questi morti e molti di loro dettero prova di una cristiana compassione. Ma più caratteristico ci sembra l’utilizzo dell’aggettivo « Lucquois ». Per il lettore italiano dobbiamo spiegare che  « Lucquois » è la traduzione di « Lucchesi » nome di spregio che veniva affibbiato da taluni Còrsi ai poveri lavoratori italiani (anche se non provenienti dal contado di Lucca) che si recavano nell’isola per guadagnarsi da vivere. Erano gli immigrati di allora. Poi l’aggettivo veniva  a indicare tutti gli Italiani per  alcuni Còrsi sia perché avevano assunto un atteggiamento che potremmo oggi definire razzista (dico oggi perché la parola  razzista viene usata anche fuor di proposito, in questo caso non si trattava certo di razzismo biologico ma piuttosto di ciò che sarebbe meglio definire xenofobia) nei confronti di tutti gli Italiani sia perché avevano mutuato dai Francesi alcuni pregiudizi nei loro confronti. In fondo in tempo di guerra anche la xenofobia più becera fa comodo. Tutto questo possiamo capirlo ma, per carità, settant’anni dopo la fine della guerra  bisognerebbe tutti imparare a guardare bene  in faccia la realtà.
Quindi per quanto riguarda la partecipazione degli Italiani alla liberazione della Corsica l’interpretazione di Micheli ci sembra un po’ riduttiva, tanto più che tra molti Bastiesi più anziani si sussurra, anche se non possono dirlo apertamente, che le prime truppe entrate nella loro città liberata dai Tedeschi furono proprio quelle italiane, fatte poi indietreggiare per consentire ai Francesi di essere primi.