Opinioni

Se questo è francese…

L’estate scorsa, il settimanale nazionalista Arritti ha dedicato ampio spazio a un confronto tra gli statuti della regione italiana della Valle d’Aosta e quello della Corsica.

Ora, l’aspetto istituzionale non riguarda la nostra rivista che non intende occuparsi di politica. Ci interessa invece il lato culturale. Arritti sottolinea la “couffucialità” del francese e dell’italiano nella suddetta regione. Infatti l’articolo 38 del “Titre VI” dello statuto valdostano, nella versione francese citata da Arritti, recita: “La langue française et la langue italienne sont à parité en Vallée d’Aoste”. Benissimo. Però il settimanale nazionalista dimentica di sottolineare il fatto che si tratta di parità di diritti tra l’italiano e il francese e non tra l’italiano e il valdostano.

Per meglio illustrare ai nostri lettori l’importanza di questo fatto riportiamo qui sotto una poesia in valdostano, con traduzione in italiano, perché di traduzione, anche per i nostri lettori francofoni, c’è bisogno, eccome. A L’ENVERNA L’è fran ci ten d’iveur qu’on sen battre le soc su la porta di mëtzo é a Pontaillot la bise tèrrie le pèi. L’è cheur que su en Présendedzë dzale su lo clliotzé an gotta de solei, é le Cognein fan moutra de pà savei predzé. Le fontane son reide di coutë de l’envers, é bourdonnon clo-cloc come de grousse moutze den la nei. Se vo veide lo nèr de noutra terra l’è eun méacllio: tot blan, su lo mon é lo plan, tot blan, comblo, tranquîlo, pà de couìs su la serra, é le meison rasaie. Më iaou son le betzette, le réinollie, le véce, le ver robattabouse, le lemace catzaie? E iaou le gresellion? Cen me feit drolo, vouè. Iaou son le-s-ommo, oh, iaou son le-s-ommo mor su la montagne? I fon de cice abimo blan trei cou pi gran, pi bò, desot l’arson de lliasse son pà tzesu, son dret, lo piolet deun la man.
EUGENIA MARTINET

Traduzione italiana (non l’ho fatta io, ne sarei stato incapace): E’ proprio quel tempo d’inverno che si senton battere gli zoccoli sulla porta di casa, e a Pontaillot la sizza tira i capelli. E’ certo che su, a Pré S. Didier, gela sul campanile una goccia di sole, e i Cognein fanno finta di non saper parlare. Le fontane son rigide dalla parte a ponente, e crocchiano cloc-cloc come grsosse mosche nella neve. Se vedete il nero della nostra terra è un miracolo: tutto bianco sul monte e sul piano, tutto bianco, colmo, tranquillo, non c’è tormenta sulla serra, e le case rasate. Ma dove son le bestioline, le rane, i vermicelli, i verdi “rotola-sterco”, le lumache nascoste? E dove i grilli? Mi pare strano, sì. Dove sono gli uomini, oh, dove sono gli uomini morti sulla montagna? In fondo a quegli abissi bianchi, tre volte più grandi, più belli, sotto l’arco di ghiaccio, non son caduti, sono diritti, la picca nella mano.

Il lettore còrso potrà notare l’ortografia “Présendedzë”, quando sui cartelli stradali della Valle d’Aosta si legge “Pré Saint-Didier”, senza concessione alla pronuncia o all’ortografia locale. Quale la conclusione? Che i valdostani hanno ottenuto questa legge di sopravvivenza perché si sono prefissati un obiettivo ragionevole e raggiungibile. E’ ovvio che il loro dialetto si allontana molto più dalla lingua francese di quanto il còrso si discosti dall’italiano. Però non hanno creduto di dover erigere la simpatica parlata di cui abbiamo dato un campione al rango di lingua, alla pari con l’italiano.

Credono i nostri lettori che avrebbero avuto il minimo successo se ci avessero provato? Ora, il còrso sta all’italiano come il valdostano sta al francese, tranne il fatto che, comme lo abbiamo sottolineato, gli è molto più vicino. E qui bisogna allargare il nostro discorso ad un problema che ci sembra centrale per la Corsica di oggi e al quale abbiamo deciso di dedicare una rubrica fissa: “La questione della lingua”. Sono anni ormai che si cerca con ogni mezzo di attuare una politica mirante alla salvaguardia dell’idioma còrso e ci sembra indispensabile stabilire un bilancio di questi tentativi.

Oggi, purtroppo, si può concludere al sostanziale fallimento di tale politica, anzi non si è nemmeno riuscito a mantenere il livello esistente un decennio fa. Inutile nascondersi che il còrso sta morendo e con esso l’etnia di cui è parte essenziale. Il processo si sta accelerando e viene assecondato da vari fenomeni, tra cui l’arrivo di immigranti provenienti dalla Francia o da altri paesi, anche latini, con i quali, ad esclusione degli italiani, la comunicazione avviene per forza sempre in francese. E vani anche se simpatici sono i tentativi di insegnare un còrso, anzi un neocòrso, che nemmeno i Corsi sanno parlare, ad immigranti che se una lingua hanno interesse ad imparare questa lingua è il francese.

Seppure si possano ovviamente additare esempi contrari, è evidente che la massa di questi immigranti non farà soverchi sforzi per accedere ad un idioma e ad una cultura di estensione limitatissima che gli stessi Corsi, a torto o a ragione sentono come tali. E viene naturalemente da chiedersi come mai si sia arrivati a questo, nonostante tutti gli sforzi compiuti e l’innegabile impegno di molti. Un motivo ci sembra semplicemente da rintracciare nel fatto che, nonostante quanto asserito durante questi ultimi decenni, nella coscienza della stragrande maggioranza dei Corsi, il còrso non è mai pervenuto allo statuto di lingua, da sempre occupato in Corsica dall’italiano e poi dal francese.

Peraltro, si sa che una lingua non esiste in astratto ma solo se parlata e perché lo sia sono indispensabili alcune condizioni basilari: deve svolgere tutte le funzioni di una lingua moderna nel campo tecnico, politico, economico, culturale; deve dare accesso a tutti i mass media di una società moderna; devono esistere situazioni tali da spingere i locutori ad esprimersi naturalmente in tale lingua, nell’uso quotidiano e nell’uso ufficiale.

Nel caso del còrso vengono meno queste condizioni. D’altro canto, l’insuccesso era prevedibile anche per motivi d’indole per così dire tecnica. Certo si è tentato di creare una lingua di comunicazione. Ormai è chiaro però agli occhi di tutti il carattere artificiale delle creazioni linguistiche che non sono mai veramente state recepite dal pubblico. Le nuove parole create sono rimaste nei vocabolari e non è difficile prevedere che vi rimarranno per sempre. Per non parlare delle difficoltà pratiche di una lingua policentrica quale dovrebbe essere il còrso: un idioma parlato da 150 000 persone diviso in varie sottospecie che dovrebbero avere pari valore nella lingua dell’amministrazione, dell’economia, della banca ecc.

Di fronte a questo fallimento una sola soluzione ci sembra ragionevole, ritornare all’antica tradizione còrsa, ridare all’italiano il posto che gli spetta. Nessuno ha mai negato che il còrso sia da collocare tra i dialetti italiani. I contrasti vertono soltanto sulla opportunità o sulla possibilità di farne una lingua. E’ stato detto che il còrso è un dialetto che ha perso la sua lingua: ebbene occorre ridargliela. I vari dialetti italiani hanno spesso avuto più del corso dignità letteraria o politica. Ma in quella che oggi è l’Italia (e la Svizzera italiana), un ormai secolare accordo ha consentito di riservare all’italiano il livello di lingua, anche quando i vari stati erano ancora indipendenti.

Fu così anche in Corsica, addirittura nella Corsica indipendente di Paoli che mai si sarebbe sognato di rinunciare ad un tale strumento di comunicazione e di cultura. Oggi il recupero di codesto strumento consentirebbe immediatamente ai Corsi di accedere alle immense potenzialità di una lingua parlata da un popolo moderno di 56 milioni di locutori. Ciò non andrebbe a scapito del còrso che ritroverebbe il suo ambiente naturale e ne uscirebbe rafforzato. Il problema del vocabolario moderno e tecnico sarebbe immediatamente risolto: basterebbe attingere dal vocabolario tecnico italiano. Infatti non si capisce, per esempio, se una parola del vocabolario automobilistico non esiste in còrso, perché creare un vocabolo (peraltro creato da chi?, con quale autorevolezza?) e non prendere di peso la parola italiana che consentirebbe l’utilizzo immediato delle riviste tecniche del paese della Fiat e della Ferrari ? E così via per l’aviazione, l’informatica, la medicina ecc. Insomma si tratterebbe di fare del còrso (data la specificità della sua posizione storica) più che un semplice dialetto, ma un po’ meno che una lingua.

Solo con questo sforzo di umiltà esso potrà essere salvato: l’alternativa è la sua scomparsa definitiva a breve scadenza. Ovviamente non si tratta di cancellare ogni traccia d’identità corsa. Vari esempi ci consentono di capire come una stessa lingua possa venire usata da comunità diverse. La Svizzera usa il tedesco, il francese e l’italiano senza che gli Svizzeri si sentano tedeschi, francesi o italiani. I Canadesi di lingua francese, sebbene di origine francese, formano una comunità totalmente diversa da quella dei Francesi di Francia. Le varie nazioni di lingua inglese stanno sempre diventando più autonome e originali rispetto all’originario centro britannico.

D’altronde nel caso nostro vanno ovviamente mantenuti il còrso e il francese: altrimenti verrebbero meno l’originalità della Corsica e la funzione di ponte che essa deve svolgere tra la Francia e l’Italia all’interno dell’Europa. Una Corsica esclusivamente francofona si ridurrebbe ad essere una lontana periferia di Marsiglia e della Costa Azzurra. Una Corsica esclusivamente italofona avrebbe ben poco da offrire all’Italia. Infatti un’accorta politica culturale vedrebbe i Corsi appoggiarsi alla lingua italiana e alle possibilità culturali, linguistiche, tecniche, economiche che essa mette a disposizione, per non essere annichilati dal gigante francese, e alla nazione francese per non venire assorbiti dal gigante italiano.

Paul Colombani