Lingue digitalmente minorizzate

Solitamente si intendono per “lingue minorizzate” quelle che non sono del tutto ufficiali e che non possono essere utilizzate in qualunque ambito, benché siano la lingua principale di comunità linguistiche specifiche. In Francia abbiamo i casi del còrso, del basco e di altre lingue regionali, in Italia tutti quelli che sono comunemente chiamati “dialetti” e che la popolazione usa in diglossia con l’italiano, a seconda delle situazioni.

In Corsica c’è un grande dibattito attorno alla co-ufficialità della lingua corsa, che sarebbe uno strumento importante per aumentare lo spazio d’uso del còrso nella società. Ma… anche le lingue ufficiali possono essere minorizzate!

L’esempio, portato dal giornale inglese The Guardian, è quello della lingua islandese. La lingua di un’isola di circa 350.000 abitanti – molto simile alla Corsica – che però è lingua ufficiale di un Paese sovrano. Una lingua che i suoi parlanti tengono in gran conto. Le parole nuove, per esempio, vengono coniate con cura ed utilizzate dalla gente. Come la parola tölva, l’inglese per “computer” nata dall’unione di tala, numero, e völva, profetessa. Un navigatore web si chiama vafri, che viene dal verbo che significa “vagare”, mentre il podcast si dice hlaðvarp, qualcosa che carichi e lanci.

Una lingua con una grammatica complessa e quasi inalterata rispetto a un millennio fa, ma il cui vocabolario riesce a tenersi aggiornato. Tutto bene quindi? No. perché purtroppo tra i suoi 350.000 locutori non ci sono né Alexa né Siri.

In un’epoca in cui le persone passano moltissimo tempo su internet e fruiscono di contenuti da Facebook, Youtube, Amazon o Netflix, un bacino così ristretto di parlanti può mettere la lingua nella condizione di essere “digitalmente minorizzata”, come dice Eiríkur Rögnvaldsson, professore di linguistica e lingua islandese all’università dell’isola.

L’obbligo ad usare il solo inglese in àmbiti così importanti della vita sta avendo grandi impatti soprattutto sui più giovani, che spesso hanno tra loro conversazioni miste, o conoscono il nome inglese di un oggetto ma non il corrispettivo islandese. La lingua ha resistito ad influenze esterne in passato – come il lungo dominio politico danese – ma in 10 anni le rivoluzioni tecnologiche hanno portato gli smartphone in ogni tasca e la pervasività dei nuovi mezzi è pazzesca. E a questi colossi, soprattutto americani, supportare la lingua islandese per i suoi trecentomila parlanti ha lo stesso costo che supportare i 70 milioni di italoni o i 270 milioni di francofoni o i 450 milioni di ispanofoni. Economicamente, non conviene.

Anche le app che sono tradotte, spesso hanno traduzioni parziali o fatte talmente male (come Facebook) che gli utenti sono spinti in poco tempo a tornare alla versione in inglese.

Una questione di difficile soluzione che apre scenari poco rosei per l’antica lingua islandese.

La lingua corsa ha visto negli ultimi anni una presenza crescente sui mezzi di comunicazione: Qwant, Facebook e Google traduttore l’hanno aggiunta tra le lingue supportate, e una società che si occupa di machine learning e intelligenza artificiale ha cercato corsofoni per “allenare” i suoi sistemi di riconoscimento vocale.

Ma tutto questo potrebbe non bastare. E abbiamo visto che, in un mondo dove le società private spesso hanno più peso dei governi nazionali, anche una eventuale co-ufficialità potrebbe non essere sufficiente. L’identità linguistica dell’isola è dunque compromessa? Si potrebbe sfruttare in modo positivo la “grande sorella” del còrso, la lingua italiana? Tutto resta da vedere, ma il cambiamento tecnologico e sociale corre sempre più forte e lascia sempre meno spazi di manovra.


Fonte: The Guardian

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