La lingua corsa e i dialetti d’Italia: aspetti morfologici in comune

By Giuseppe Vitolo Mag 31, 2017

L’analisi volta a stabilire un confronto tra le strutture della lingua còrsa e quelle dell’italiano e dei dialetti d’Italia prosegue con la descrizione di un aspetto attinente alla morfologia verbale, che inquadra naturalmente la Corsica nel dominio linguistico italo-romanzo.

Il fenomeno che si intende prendere in esame consiste nella formazione dell’imperfetto indicativo, che accomuna ambedue le sponde del Mar Tirreno nella costruzione del paradigma verbale: le varie desinenze, che contraddistinguono le forme di detto tempo verbale, presentano, di frequente, nel còrso, lo stesso sviluppo di quelle che caratterizzano le parlate dell’Italia centrale, parte delle varietà dialettali del Meridione peninsulare e della Sicilia e in passato quelle del Settentrione.

Sotto l’aspetto della morfologia flessiva, tra toscano antico e italiano odierno ciò che determinava la differenza nella composizione del tempo imperfetto dei verbi di I coniugazione era la desinenza –a (in luogo di –o) quale contrassegno della prima persona singolare, come emerge da quanto rilevato nella lingua italiana antica da Rohlfs in Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti: io cantava anziché io cantavo; io vendeva in luogo di io vendevo; io partiva invece di io partivo. Tuttavia nel toscano la -o si rivelò, poi, tratto distintivo della prima persona singolare sul modello del presente (ess. io canto, io vendo, io parto) per l’esigenza formale di distinguerla dall’uscita in -a di terza singolare; la desinenza –o, comunque, non trovò spazio nella lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, probabilmente perché i centri di irradiazione di -o furono Siena e Lucca. Quest’ultimo tipo di flessione si riscontra negli scritti di Jacopone da Todi e, in séguito, anche in quelli di Santa Caterina da Siena, nonché nella lingua dei «Fioretti»; successivamente nelle produzioni letterarie di Pulci, Berni, Cellini, Galilei, mentre rimasero ancorati alla –a letterati non toscani quali Metastasio, Goldoni, Gozzi, Parini, Pellico, Monti, Leopardi, Foscolo, Nievo. Il ricorso alla desinenza –o inizia a guadagnare terreno con Alessandro Manzoni, che nel 1840, nel corso di una capillare revisione della precedente edizione del suo romanzo, I promessi sposi, mutò tutte le –a in –o.

E se oggigiorno la flessione –o di prima persona singolare dell’imperfetto indicativo interessa, nell’italiano standard, i verbi di tutte e tre le coniugazioni, nella lingua còrsa resiste la desinenza –a, che, come riferisce, in proposito, Rohlfs, coinvolge anche la seconda persona singolare per effetto di un influsso analogico esercitato dalla prima sulla seconda: tu andava, tu cantava, tu sapía. Questo sviluppo fono-morfologico si riscontra ancora nell’alta Garfagnana, ad esempio nel dialetto di Magliano tu të lavava ‘tu ti lavavi’, in Lunigiana, per esempio nella varietà di Sillano tu tu portawa ‘tu portavi’, come nella parlata di Vinca cos’ të lavava ‘che cosa lavavi?’.

Oltre alla terminazione –ava, derivata dal latino –abas, Rohlfs ha fatto anche menzione della penetrazione di –ia (da –iva) nell’imperfetto indicativo dei verbi appartenenti alla coniugazione in –are, ad esempio nella parlata di Cortona, in provincia di Arezzo, costía ‘costava’, aspettía ‘aspettava’ (Zuccagni-Orlandini Attilio, Raccolta di dialetti italiani, Firenze, 1865, p. 262), in talune varietà delle Marche, ad esempio nel dialetto di Petrítoli guardía ‘guardava’, importía ‘importava’, tornía ‘tornava’ (Papanti Giovanni, I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario di messer Boccaccio. Omaggio di Giovanni Papanti, Livorno 1875, p. 99), come pure nella lingua còrsa, per esempio intría ‘entrava’ (Carlotti Domenico, Racconti e leggende di Cirnu bella, Livorno 1930, p. 72).

La desinenza –ía di terza persona singolare dell’imperfetto indicativo dei verbi facenti parte della coniugazione in e, per esempio avia ‘aveva’, tenia ‘teneva’, temia ‘temeva’, credia ‘credeva’, si riscontra frequentemente nella lingua dei poeti toscani antichi ed è il risultato non dell’estensione della flessione –ía di venia, partia, ma di influssi provenienti dalla Sicilia, nei cui dialetti la e muta normalmente in i, com’è testimoniato, in base a quanto fa notare Rohlfs, dal carattere aulico di –ía nella «Vita Nuova» di Dante Alighieri, in cui se nella parte in prosa si ha regolarmente l’esito –ea, in quella poetica, invece, –ía compare soltanto in rima.

La terminazione della terza persona singolare dell’imperfetto indicativo –ía per –iva nelle coniugazioni in –ere e in –ire si configura quale tratto distintivo del siciliano (vulía ‘voleva’, sintía ‘sentiva’), del calabrese (putía ‘poteva’, vinía ‘veniva’), del salentino (scrivía ‘scriveva’, vinía ‘veniva’, avía oppure ía ‘aveva’), con sconfinamenti in area lucana, nonché in Campania, in particolare nel Cilento, nel Vallo di Diano, nella zona dell’Alto Sele e dei Monti Alburni (Avolio Francesco, descrizione scientifica del patrimonio etnodialettale “campano”: ritardi, problemi, progetti, estratto da Linguistica Italiana Meridionale “I dialetti dell’Italia Meridionale con particolare riferimento a quelli della Calabria”, in Atti del Convegno di Cassano Jonico 25-27 Ottobre 1996, p. 200) fino a parte del comprensorio dei Monti Picentini, per esempio nei dialetti di Campagna, di Acerno e di Giffoni Valle Piana (stía ‘stava’, ricía ‘stava’, facía ‘faceva’), che rappresentano le propaggini più avanzate di tale fenomeno in territorio salernitano (Vitolo Giuseppe, Ricerche su territori ancora sconosciuti, in “L’Italia dei dialetti”, Atti del Convegno Sappada/Plodn [Belluno], 27 giugno – 1 luglio 2007, p. 243). Questo esito ricompare più a nord nelle marche, per esempio nei dialetti di Camerino (cridía ‘credeva’) e di Sant’Elpidio (onnía ‘vendeva’), mentre nel Settentrione lo ritroviamo nella coniugazione in e nell’antico piemontese fasía ‘faceva’, dasía ‘dava’, stasía ‘stava’, nell’antico lombardo tegnía ‘teneva’ e nell’antico veneto tenía ‘teneva’, dixía ‘diceva’, sostenía ‘sosteneva’.

Quello appena descritto, attraverso gli esempi sopra elencati, è senza dubbio da considerare un tratto fono-morfologico costitutivo anche della lingua còrsa, in relazione al quale i corsofoni stessi possono riconoscere forme affini o identiche a quelle da loro adoperate nel parlato quotidiano, che conferma ancora una volta un’innegabile contiguità strutturale tra il còrso e i dialetti d’Italia.               

Giuseppe Vitolo

Linguista, ricercatore, esperto in dialettologia, ha scritto per Corsica Oggi diversi articoli sul ruolo della lingua italiana quale lingua della memoria in Corsica, ed esplorato ipotesi su possibili modi di favorire un suo ritorno nell'isola accanto al francese e alla lingua corsa.

By Giuseppe Vitolo

Linguista, ricercatore, esperto in dialettologia, ha scritto per Corsica Oggi diversi articoli sul ruolo della lingua italiana quale lingua della memoria in Corsica, ed esplorato ipotesi su possibili modi di favorire un suo ritorno nell'isola accanto al francese e alla lingua corsa.

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