La raccolta di Papanti: quando la lingua corsa aveva il suo posto nell’area culturale italiana

By Redazione Apr 8, 2016

1875. Esce a Livorno il libro “I Parlari Italiani in Certaldo nel V Centenario di Messer Giovanni Boccacci”, di Giovanni Papanti.

Un titolo un po’ oscuro e poco comprensibile forse, ma dietro cui si nasconde un’opera meravigliosa nata dall’idea di Papanti, che è un linguista, un glottologo. Spedisce a circa 700 informatori di tutte le parti d’Italia il testo di una breve novella del Boccaccio chiedendo loro di tradurla nella propria parlata locale. Grazie a quest’idea empirica e geniale, esce la prima “mappa dialettale” d’Italia. Un’Italia che non corrispondeva allo Stato italiano, che all’epoca dell’uscita di quest’opera esisteva da soli 14 anni, ma di quell’area geografica e culturale cui abbiamo già fatto più volte riferimento.

I corrispondenti di Papanti sono perlopiù persone colte, eruditi, parroci e canonici, nobili, professori provenienti da centinaia di borghi e città grandi e piccole. Raccolgono i vernacoli dei ceti alti e quelli dei mercati, quelli di città e del contado. Colgono non solo la specificità linguistica del loro luogo ma anche la testa, l’intonazione, il modo di narrare. C’è dentro tutto lo spazio geografico e culturale dove all’epoca si parlavano dialetti italiani: il Tirolo oggi completamente germanizzato, Corsica, Nizza, Istria, Dalmazia fino ai confini dell’Impero Ottomano. Ci sono le isole linguistiche del francoprovenzale di Sicilia, le antiche aree allofone del greco, albanese, croato, tedesco d’Italia. Ci sono parole e sfumature oggi completamente scomparse che il tempo e l’amalgama nazionale hanno spostato di molti chilometri. Una fotografia viva e straordinaria.

A pagina 571 del libro, proprio all’inizio della seconda parte, dedicata alle terre all’epoca non facente parte del Regno d’Italia, si trova la Corsica.

Alle parlate còrse si faceva allora riferimento come dialetto, come oggi avviene in genere in Italia con le lingue locali, dato per convenzione la nascita di una “lingua” còrsa si fa risalite alla rivista A Tramuntana pubblicata a partire 1896, e alle evoluzioni successive che hanno portato alla lingua corsa polinomica che conosciamo oggi.

Per la linguistica una “lingua” non è qualcosa di migliore di un dialetto, non ha più valore, né è più “bella” o più “brutta”.

E’ interessante notare come, nell’introduzione alle parlate còrse, scritta niente di meno che da Francesco Domenico Falcucci, si faccia già riferimento a un fenomeno che è spesso presente nel dibattito linguistico dei Corsi di oggi: quello delle storpiature e di una lingua-miscuglio di francese e corsu. Si parla infatti di coloro i quali parlano un misto di francese e còrso “tritati e guasti” tanto che nessuna delle due lingue “è più riconoscibile”. L’autore conclude che costoro farebbero meglio a parlare direttamente in francese. Ricordiamo che all’epoca l’isola apparteneva alla Francia ormai da più di un secolo, e che da quasi 20 anni l’italiano non aveva più usi amministrativi e ufficiali in Corsica. Il còrso era parlato praticamente da tutti in casa e nelle conversazioni fuori casa con conoscenti e nella vita del paese, l’italiano ancora usatissimo anche per tenere i conti o scrivere lettere private anche da parte di ceti sociali medi e bassi, il francese a scuola e negli usi pubblici e amministrativi, ed era sempre più diffuso e conosciuto.

Oggi la lingua corsa viene considerata da molti a rischio di estinzione? Beh, forse potrà confortare il fatto che anche in questo libro, del 1875, le parlate còrse erano date ormai per morenti, a rischio di estinguersi “entro i prossimi 50 anni” quindi, facendo i calcoli, attorno al 1925. Le cause erano quelle di cui si parla ancora oggi: la prepotenza del francese, l’arretramento dell’italiano che veniva ancora molto insegnato nelle scuole, ma come lingua straniera (esattamente come oggi), all’uso che i giovani facevano sempre di più del francese rispetto al còrso.

Questo certo non significa che le paure e i timori di oggi siano infondati. Anzi, teniamo conto che il processo di deterioramento della situazione linguistica del còrso si è molto accelerato negli anni ’80 e ’90 del 1900, a causa dell’aumento della diffusione della televisione prima e dell’informatica poi, oltre che ai fenomeni migratori e di modifica della società. Le lingue, si legge, condividono la stessa sorte degli organismi umani e viventi, nascono, crescono, cambiano e possono ammalarsi e morire. Certo, come per gli umani, si possono però pensare cure e terapie.

Dopo l’introduzione, il capitolo poi entra nel vivo, descrivendo le diverse varierà còrse, il cismontano, l’oltramontano, le sue analogie col “dialetto di Gallura”, e così via. Poi si analizzano alcune caratteristiche del còrso, tra cui quello di poter formare parole composte che risultano un tutt’uno come avveniva con il greco “o l’inglese“!

Al termine dell’introduzione di Falcucci, il testo del Boccaccio viene riproposto più volte, una per ciascuna delle varianti di còrso prese in esame, come il dialetto di Rogliano (Capo Corso), Bastia, Isola Rossa, Valle d’Alesani, Ajaccio.  E per ognuno, un ricco corredo di note che analizzano parole e parti di testo per poterle confrontare con le altre varianti.

L’opera, anche se scritta in un italiano alto e oggi un po’ antico, di non facilissima comprensione per tutti, è una testimonianza preziosa, liberamente consultabile sul sito Archive.org e scaricabile anche da quello di A Viva Voce.

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3 thoughts on “La raccolta di Papanti: quando la lingua corsa aveva il suo posto nell’area culturale italiana”
  1. Articolo bellissimo che riporta un’opera di cui ignoravo l’esistenza
    Attenzione, il “Tirolo italiano” non è germanizzato
    corrisponde all’attuale provincia di Trento
    Quello che oggigiorno viene chiamato Sud Tirolo, o Alto Adige ai tempi della compilazione del testo era Tirolo Tedesco a tutti gli effetti

  2. Articulu interessante. Mi pare chì oghje più chè mai a lingua corsa sia minacciata

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