Italia, un nuovo mercato per la letteratura còrsa?

By Redazione Gen 7, 2016

Lo scorso novembre, per la quarta volta, la casa editrice Albiana ha partecipato al più importante festival degli editori indipendenti che si tiene ogni anno in Italia: il Pisa Book Festival. Un’ottima accoglienza nella Terraferma, dove il pubblico sta pian piano scoprendo la lingua corsa, lingua sorella dell’italiano. E questo potrebbe aprire interessanti prospettive per il futuro.

La delegazione di Albiana, che comprendeva anche alcuni membri del servizio formazione della precedente CTC, dichiarava soddisfattadi aver potuto comunicare tranquillamente in lingua corsa “senza bisogno di traduttori”, e che si erano “sentiti a casa”.

Gli organizzatori del Festival per il quarto anno hanno accolto la casa editrice isolana, dimostrando di tenere in grande considerazione essa e la lingua corsa che andava a rappresentare in terra italiana.

Episodi come questo a nostro avviso devono farci riflettere ancor più approfonditamente su quanto potrebbe essere proficuo per scrittori ed editori còrsi rivolgere lo sguardo verso la vicina Penisola, dove esiste un pubblico potenziale di 60 milioni di persone in grado di capire (e leggere, con qualche difficoltà data dalle trappole ortografiche studiate nel 1971 da Geronimi-Marchetti) la lingua nustrale. Un potenziale mercato che potrebbe dare nuovo impulso alla letteratura in lingua corsa.

 


Fonti: Corse-MatinPisa Book Festival

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9 thoughts on “Italia, un nuovo mercato per la letteratura còrsa?”
  1. non capisco perché gli intellettuali che recentemente hanno classificato le regole ortografiche della lingua corsa , non hanno utilizzato quelle dell’italiano come sarebbe stato piu facile e più logico. Forse è stato un fatto di orgoglio?

    1. Quelle dell’italiano sono state utilizzate da quando la lingua corsa è stata scritta, fin dalle produzioni di poesia e prosa e dalle riviste di fine ‘800 e della prima metà del ‘900. La è era la terza persona del verbo essere, la e la congiunzione, o la terza persona plurale femminile a seconda del contesto. Le modifiche della nuova ortografia ufficialmente volevano distinguere graficamente certi elementi (come appunto la congiunzione dall’articolo) o avvicinare la scrittura alla pronuncia (azzione invece di azione e così via). Lo scopo ammesso solo a posteriori da Pascal Marchetti nella prefazione al dizionario L’Usu Corsu, però, era “politico”, si voleva elevare lo status del còrso e per farlo lo si doveva distanziare il più possibile dall’italiano standard. Ricordiamoci sempre che appena vent’anni prima, nel 1951, la legge che permetteva l’insegnamento delle lingue regionali nelle scuole francesi non era stata applicata in Corsica perché il còrso venne bollato come dialetto dell’italiano, già previsto come materia di studio opzionale. La lingua italiana veniva dunque vista come un parente scomodo, un ostacolo al riconoscimento della lingua corsa, che aveva ormai sostituito quella di Dante come lingua identitaria dell’isola.

      1. Le differenze dunque rispondono ad un problema politico che pero’ a mio avviso non dovrebbe interferire con le questioni culturali. In Corsica come in tutte le regioni italiche la gente del popolo parlava il suo vernacolo o dialetto, ci sapeva leggere e scrivere parlava italiano . Non credo che ci fosse “a comando” questa scelta. Tutto dipendeva dall’estrazione sociale di chi parlava, E poi non si deve dimenticare che i proprietari delle terre inviavano in Corsica per amministrarle i componenti del ramo cadetto della famiglia che avevano studiato e sapevano far di conto.Il mio pensiero e’ che ho l’impressione che si voglia tenere ben separato l’uso della lingua italiana mentre invece era molto più comune di quanto non si voglia far apparire. I preti predicavano in italiano e i fedeli capivano……………..

  2. A prescindere dalle “trappole ortografiche”, corso ed italiano sono mutuamente comprensibili al 95% per cui niente di meglio che sviluppare queste iniziative. Non credo che si debba insistere – per ora, perlomeno – su tali dettagli, quanto sul fatto che chi si esprime, sia oralmente che per iscritto, in còrso viene capito dagli italofoni dell’italiano standard e viceversa. Basterebbe come esempio il teatro in napoletano (lingua sicuramente meno comprensibile del còrso da parte degli italiani del centro-nord) che ha dimensione e diffusione nazionale per tagliare corto su tali questioni. Riavviciniamo corsica ed italia e tutto verrà da se. Sempre che i còrsi la usino ‘sta lingua bella che tengono!!!!

  3. Dopo un mese circa di lettura appassionata,seguendo i consigli dati su alcuni punti di approfondimento della problematica sulla vitalità della lingua corsa, mi sono fatto alcune mie personali opinioni,limitatamente al mio incipiente addentrarmi in una questione di cui non sono competente,considerando che non conosco neanche la terra corsa anche se mi sono ripromesso di colmare questa lacuna.La lingua è un elemento vivo e dinamico in evoluzione.Se si vuol conservare questa vitalità bisogna viverla questa ricchezza altrimenti è la fine,quindi ben vengano le fiere letterarie come conoscenza reciproca o meglio come riannodo di strappi consumati da tempo,oltretutto vi sono state forzature di vario tipo assurdi divieti,per cui ritengo utili ma insufficienti tali buone iniziative.Il nodo cruciale è riacquistare familiarità con la lingua italiana per i corsi e viceversa per una piena integrazione,ma la lingua da salvare è il corso ed allora solo con una ventata di lungimiranza e coraggio questo potrà avvenire vincendo stupidi timori di campanile,ma è evidente che il corso sia quasi italiano,non penso che l’identità del popolo corso si ritrovi in una lingua più lontana possibile dall’italiano, ,s’incrementino corsi di lingua italo-corsa,letture per i giovani dove possano riscoprire l’affinità e l’utilità di una lingua che ha una sua forte parentela vincendo complessi di inferiorità che potrebbero sorgere dal confronto con una lingua distante dal corso.Penso che uno strumento molto utile potrebbe svolgerlo un canale televisivo in italiano sempre in quell’ottica della reciproca conoscenza caduta nell’oblio e poi perché no anche una maggiore rappresentanza dei corsi nella penisola dove possibile,penso ai tanti programmi dove si è presenti si gioca ci si conosce…..Se si rimane nel campo delle idee credo che poco si potrà fare di concreto.Questo se si vuol ridare vita a ciò che sta morendo,è un mio parere e penso che tali cose non possano nuocere semmai far crescere.Ovviamente ci vuole impegno ma è il prezzo da pagare per una causa nobile e utile.Ne sono oramai convinto il corso ha bisogno,se vuole rimanere vivo ,anche della lingua italiana.Ho dato qualche suggerimento poi non saprei se vi sono anche altri modi.Credo che da soli non si possa andare lontano.Ovvio che poi per le scelte non linguistiche ognuno creda ciò che pensa meglio per sé!

  4. Vorrei gentilmente chiedere ai responsabili di questo sito a ad altri corsi che volessero rispondere alcune delucidazioni sulle seguenti questioni:

    1) Quale è la percentuale di giovani corsi che parla o almeno capisce la lingua corsa?
    2) In quali ordini e gradi di istruzione è possibile studiare la lingua corsa e la lingua italiana?
    3) Essendo l’insegnamento dell’italiano e del corso facoltativo, quale è la percentuale di ragazzi corsi che scelgono di avvalersi di questi insegnamenti?

    Grazie.

    1. Domande interessanti e importanti, ma a cui è difficile dare una risposta, soprattutto per quanto riguarda la prima. La progressiva ritirata del corso sta portando con sé un difficoltà a capire l’italiano che fino a 20 anni fa non esisteva. E’ possibile studiare l’italiano in tutti i gradi scolastici, dalle primarie all’Università, così come il corso, che può essere introdotto anche alla maternelle. Per dati sulle percentuali di studenti si può leggere questo studio del 2013: http://corsicaoggi.altervista.org/sito/wp-content/uploads/2016/01/languecorsedanssysteducatif-2aaa4e5bde820859e05a7db1b417b753.pdf L’italiano nel primo ciclo (elementari+medie) era studiato nel 2009-10 dall’11% dei ragazzi corsi (moltissimo, se si pensa allo 0,8% nazionale), e l’italiano è la lingua straniera più scelta nelle classi bilingui corso-francese.

      1. Ringrazio per l’interessante link (riesco a comprenderne il contenuto abbastanza agevolmente perché alle superiori ho studiato anche il francese – alla faccia di chi pensa che nei tempi moderni l’unica lingua straniera che merita di essere studiata sia quella inglese).
        Sulla prima domanda, capisco bene che la risposta non sia affatto facile.
        Se è possibile però vorrei sapere qualcosa almeno a livello qualitativo.
        In Sardegna, ad esempio, la diffusione della lingua sarda (che purtroppo non viene insegnata nelle scuole) dipende molto dalle aree geografiche.
        Vi sono zone (es. Barbagia, Baronia, Goceano e alcuni paesi dell’Ogliastra) dove il 95% della popolazione parla o almeno capisce il sardo e dove è normale che persone di tutte le età lo utilizzino anche in determinati luoghi pubblici (dal medico, in banca, alle poste,…) perché si è certi di ricevere una risposta nella medesima lingua o perlomeno di essere compresi.
        In altre zone (specie nei centri maggiori) l’utilizzo della lingua sarda è limitato all’ambito familiare e riguarda oramai solo poche persone di età mediamente avanzata.
        Quello che vorrei capire (senza voler ragionare su percentuali difficilmente calcolabili) è se esistono ancora dei paesi della Corsica dove la lingua corsa viene utilizzata abitualmente anche da persone sotto i quaranta anni.

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