Il fenomeno dei Cartelami/Sepolcri: un ponte culturale fra Liguria e Corsica

By Alessio Vic Stretti Giu 16, 2021
“Cartelame” della Parrocchia di San Matteo, a Laigueglia (Liguria, provincia di Savona)

I Cartelami furono una manifestazione artistica devozionale sviluppatasi nel ‘600, anche se la maggior parte degli esemplari pervenutaci appartiene ai due secoli successivi.

La riscoperta dell’arte popolare nelle comunità locali, negli ultimi 30 anni, ha portato alla riscoperta di diverse tipologie di beni culturali ormai completamente dimenticate, lontane dalla loro funzione “originaria”.

Concepiti come “apparati effimeri”, sulla scia delle Sacre Rappresentazioni tipiche del barocco romano, i cartelami erano perlopiù sagome di cartone montate su telai pieghevoli, innalzati intorno all’altare attraverso una struttura 3D che ne “dilatava” lo spazio sino a formare una sorta di Arco di Trionfo.

La loro origine è da collegare alle necessità rituali legate alla rappresentazione delle Quarantore (il tempo che Gesù passò nel Sepolcro), celebrate con l’esposizione del Santissimo Sacramento alla venerazione dei fedeli e con un allestimento scenico di grande impatto emotivo.

Tali apparati avevano solitamente vita breve ed erano soggetti a danni causati dall’incuria e dalla fragilità dei materiali impiegati: si trattava infatti di opere destinate alle processioni devozionali e quindi destinate a un degrado costante e alla continua ripresa e sostituzione delle parti danneggiate.

Le dimensioni dei cartelami divennero con il tempo sempre più imponenti, spettacolari e dalla scenografia sempre più ricercata: la loro funzione era soprattutto quella di attirare più fedeli possibile e indurli alla preghiera tramite lo stupore e la meraviglia suscitati.

In questo vero e proprio Teatro dell’effimero, il «palcoscenico» era infatti l’altare stesso, dove era collocato il punto focale della scena mentre le altre figure venivano poste sui gradini, sul pavimento e accanto alla balaustra che delimitava il Coro.

L’uso dei cartelami è attestato a partire dal “primo Barocco” e si protrae per tutto l’Ottocento, ma nella Liguria di Ponente questi apparati sono usati già a partire da metà ‘500 e hanno maggior diffusione che a Levante; in Corsica continuano a essere prodotti fino alla metà del XX secolo.

Franco Boggero e Alfonso Sista, due noti ricercatori genovesi, ne hanno trovato traccia in un areale molto esteso: a nord queste Sacre Rappresentazioni abbracciavano infatti le diocesi piemontesi di Novara, di Ivrea e buona parte del Cuneese; a est la Toscana centrale (Val di Pese, Cortona e Firenze) mentre a sud, nel cuore della Sardegna, sono emerse importanti testimonianze di apparati effimeri ad Orosei (provincia di Nuoro) e nell’area sopra Oristano (antiche regioni del Montiferru e della Planargia). Chiude il cerchio, a ovest, l’antica Contea di Nizza – per 5 secoli legata al Piemonte dei Savoia – dove la cattedrale di Santa Reparata ospitava il grandioso Campidoglio ardente, non dimenticando gli importanti “apparati effimeri” di Conti, Utelle, Peglia, Roccabigliera e Sospello, nella vicina Val Roia.

Al centro dell’area così delineata, stanno le due regioni dove questo fenomeno si è sviluppato con maggior frequenza e durata nel tempo: Liguria e Corsica.

Nel territorio della vecchia Repubblica di Genova abbiamo testimonianze documentate che partono da Castelnuovo Magra, quasi ai confini con l’Emilia, passando per Santa Margherita Ligure (abbazia della Cervara) e arrivando a Genova, dove sono oggi esposti i grandiosi Teli della Passione (museo Diocesano).

E’ però nel Ponente Ligure che ancora oggi esistono le testimonianze più consistenti: a partire dagli «apparati festivi» di Savona, proseguono nella diocesi di Albenga-Imperia per poi “dilagare” nella zona di Ventimiglia: San Lorenzo al Mare, Triora, Sanremo, Taggia, Ceriana, ecc.

Il più grande e importante cartelame del Ponente è tuttavia conservato nella chiesa di San Matteo a Laigueglia. Dopo il sapiente restauro del 2013, l’antico apparato viene esposto al grande pubblico durante l’evento organizzato in occasione del centenario dalla sua ultima completa esposizione, avvenuta nel 1914.

Per quanto riguarda la Corsica invece, abbiamo l’importante studio di Michel-Edouard Nigaglioni che ricorda la «forte proximité culturelle» con Genova alla base dei tradizionali “decori effimeri” per la Settimana Santa, che sull’isola erano chiamati con generico termine di Sepolcri.

Nigaglioni individua 5 tipologie di cartelami, per la Corsica:

1) Tendaggio in tessuto pregiato: a metà strada fra una “tenda da accampamento” e un baldacchino regale, doveva ricordare la tomba di Cristo (un esempio tipico è conservato nella chiesa di Sant’Erasmo, a Erbalunga).

2) Panno dipinto: a mo’ di edicola votiva, quasi una “camera funeraria” fatta con teli molto rigidi, a ricordo degli affreschi medievali (chiesa nel comune di San Damiano).

3) Tendone dipinto: più economico del precedente, era una sorta di “antico mausoleo” e ricopriva una cappella laterale della chiesa, dove erano esposte scene della Passione (parrocchia nel comune di Barrettali).

4) Tavola dipinta: costituita da più panneggi tesi su un telaio, assemblati a formare una “facciata” con porta, sempre entro una cappella laterale (chiesa del comune di Santa Lucia di Mercurio).

5) Sagome dipinte: alte figure tagliate nel cartone, assemblate per costituire scene della Passione. Questo tipo di Sepolcru, ci ricorda Nigaglioni, «è principalmente attestato nella città di Bastia e nei suoi immediati dintorni». La sua origine è «senza dubbio da cercare negli stretti legami culturali tra la capitale storica dell’isola e la Repubblica di Genova».

Dopo aver citato le prime testimonianze di questa forma d’arte in Corsica – addirittura risalenti al 1557, come da inventario del convento di Morosaglia – Nigaglioni passa ai numerosi documenti d’archivio per i secoli che vanno dal XVII al XIX.

A Bastia, ancora nei primi del ‘900, erano attive numerose confraternite, fra le quali le più grosse erano quella di “San Rocco” e quella dell’Immacolata Concezione.

Le Petit Bastiais è il principale quotidiano della città, dove è naturale che riecheggi la tradizione dei Sepolcri in un’epoca in cui questa era ancora particolarmente viva. Come ricorda sempre Nigaglioni, «Le Petit Bastiais è scritto in francese, e la parola Sepolcru non viene mai usata: al suo posto si dice “reposoir”. La locuzione “Stations de la Passion” è utilizzata per designare i cartelami. Il piccolo oratorio del Santo Nome di Maria è la confraternita più dinamica, in quel periodo. Ogni anno, i suoi Sepolcri sono ampiamente elogiati dal giornale.»

A titolo d’esempio, possiamo citare un articolo del 5 aprile 1887, che annuncia: «nell’oratorio del Nome di Maria, preparano per il Giovedì Santo una nuova Stazione della Passione di Nostro Signore che, per bellezza ed effetto scenico dell’insieme, non avrà nulla da invidiare a tutti quelli che sono stati ammirati finora in questa chiesa […] Questa station, che rappresenterà Gesù Cristo che porta la croce sul Calvario, si distinguerà […] per una restituzione archeologica del famoso tempio di Gerusalemme».

Nel 2009 lo stesso autore documenta la riscoperta di un grandioso Sepolcru nella chiesa di San Damiano – piena regione della Castagniccia – di cui i parrocchiani avevano dimenticato l’esistenza:

«Si tratta di un cartelame inserito entro un padiglione, costituito da una serie di tele dipinte molto grandi che venivano riunite per formare un’unica pala d’altare durante le cerimonie della Settimana Santa. Questo tipo di altare simboleggia la tomba di Cristo ed evoca le tombe marmoree dell’antichità.

Questa enorme tendaggio dipinto doveva essere montato nella navata centrale della chiesa, di cui occupava l’intera larghezza – nascondendo l’altare maggiore.

Ai lati del padiglione, due soldati romani sono dipinti a trompe-l’oeil sui pilastri. Stanno di guardia all’ampio ingresso, posto sotto un‘architrave dipinta collegante i due pilastri. Al centro, un cartiglio decorato recante la data del 1758.

L’urna funeraria è a pianta trapezoidale: ampia all’ingresso, si stringe gradualmente verso il basso. Questo artificio teatrale, che costituisce una prospettiva “accelerata”, consente allo spettatore di vedere chiaramente le decorazioni dipinte sui lati e suggerisce uno spazio più ampio di quanto non sia in realtà.

All’interno della sala sono dipinte quattro scene della Passione (due per lato): Cristo nell’Orto degli Ulivi; Cristo davanti a Pilato; Flagellazione; Cristo molestato sulla Via Crucis.

Sul fondo della camera funeraria è presente un altare rivestito di due pannelli dipinti: il Calvario (pala d’altare); il Compianto (in antependio).

Questo Sepolcru riveste un ruolo significativo dal punto di vista dell’arte e della storia della Corsica: opera di alta qualità, dalle dimensioni imponenti e che salta subito all’occhio.

Si tratta di un raro esempio di “decorazione effimera” utilizzata nelle cerimonie religiose d’epoca barocca arrivato sino ad oggi.

L’opera è datata, cosa estremamente rara.

L’autore è Giacomo Grandi, il principale pittore della scuola còrsa degli anni 1740-1760. Non sono ammessi dubbi su questa attribuzione in quanto lo stile e la tecnica di questo pittore sono molto particolari e facilmente riconoscibili.

L’iconografia è particolarmente interessante: soldati romani e carnefici di Cristo sono raffigurati in costumi stravaganti, vestiti con baffi turchi. Pilato è raffigurato come un re barbaresco, indossando un voluminoso turbante. Un moro nero, con la fronte circondata da una fascia bianca (che ricorda il Moro araldico della bandiera còrsa) tortura Cristo. Tutti questi costumi pseudo-orientali sono probabilmente ispirati ai travestimenti che venivano indossati in Corsica per ballare la “Moresca”. In virtù di tutto questo, tale iconografia è una preziosa testimonianza visiva delle descrizioni riportate in vari testi del Settecento.

L’opera è di grande interesse, sia da un punto di vista storico che culturale: gli eventi legati alla Settimana Santa infatti, sono una parte fondamentale della vita còrsa durante il periodo barocco.

È nota un’altra tomba dall’iconografia molto simile, conservata nella chiesa di Ficaja, sempre in Castagniccia; quest’ultima non è datata e sembra più recente. Fu realizzato dal pittore Francesco Carli, allievo di Giacomo Grandi, probabilmente negli anni 1760-1770».

Ricordando anche il contesto ambientale in cui l’opera si trova attualmente conservata, Michel-Edouard Nigaglioni elabora una vera e propria Proposta di deposito al Museo della Corsica di cui riportiamo un estratto:

«Il Sepolcru di San Damiano è in serio pericolo perché il dipinto è molto fragile. L’estrema umidità dell’edificio ha causato un generale sollevamento dello strato pittorico: Piccole scaglie cadono al minimo contatto.

Una riunione di consulenza con la sig.ra Marie-Hyacinthe Paoli, sindaco di San Damiano e con i vari funzionari dell’Associazione locale U Rosumarinu, è giunta alle seguenti conclusioni:

La chiesa non è sana, il suo terreno è molto umido e piove.

Il cartelame è in grave pericolo e richiede un intervento immediato.

Il comune non dispone dei mezzi finanziari per effettuare questo restauro perché deve dare priorità al ripristino del tetto della chiesa.

Il Sepolcru, una volta montato, è un padiglione molto voluminoso. Non può essere lasciato permanentemente in chiesa, né può essere ricollocato all’interno del Coro (dove verrebbe nuovamente danneggiato) e non c’è nessun altro edificio comunale che lo possa ospitare.

Di conseguenza, il comune è pronto a collocare il Sepolcru nel Museo di Corsica. Potrebbe essere stabilito un deposito di dieci anni, rinnovabile per tacito rinnovo.

I leader dell’Associazione U Rosumarinu hanno approvato questa idea; la loro unica richiesta è che un pannello dichiari espressamente che la tomba proviene dal comune di San Damiano».

Come incipit a questa suggestiva descrizione, Nigaglioni dichiara senza mezzi termini che «La chiesa parrocchiale di San Damiano, in Castagniccia (Corsica), è in pessime condizioni, così come tutte le opere che contiene. Nonostante il triste stato di conservazione, il tutto sembra ancora circondato da un’aura di bellezza.

Al giorno d’oggi il paese è scarsamente popolato, la chiesa non ha nemmeno l’elettricità. Malgrado i mezzi finanziari a disposizione siano limitati, il Comune (aiutato dall’associazione locale U Rosumarinu) sta compiendo grandi sforzi per ripristinare il proprio patrimonio: negli ultimi anni hanno completamente restaurato il campanile, e attualmente si stanno concentrando sulla riparazione del tetto».

Ricordando che lo studioso è Directeur du Patrimoine della Città di Bastia, speriamo di sensibilizzare sull’argomento anche i lettori di CO, al fine di preservare la memoria di un rito che accomunava non solo le regioni alto-Tirreniche intorno alla Corsica, ma anche intere valli dei Pirenei fra la Catalogna e il Rossiglione francese.

 

Alessio Vic Stretti

Laureato in "Conservazione dei Beni Culturali" presso l'Università di Genova, il suo amore per la Corsica nasce nel 2005, dopo aver girato ogni angolo dell'isola in cerca dei suoi tesori naturali e artistici. La sua poesia in lingua corsa «Una preghèra da Genuva à l'isula bella» (presentata al concorso “Tropea, onde mediterranee” del 2009) e la sua Tesi di Laurea «L'architettura in Corsica e le regioni tirreniche fra l'Alto Medioevo e il XIV secolo» (2007) appaiono sulla rivista online A Viva Voce diretta da Paul Colombani.

By Alessio Vic Stretti

Laureato in "Conservazione dei Beni Culturali" presso l'Università di Genova, il suo amore per la Corsica nasce nel 2005, dopo aver girato ogni angolo dell'isola in cerca dei suoi tesori naturali e artistici. La sua poesia in lingua corsa «Una preghèra da Genuva à l'isula bella» (presentata al concorso “Tropea, onde mediterranee” del 2009) e la sua Tesi di Laurea «L'architettura in Corsica e le regioni tirreniche fra l'Alto Medioevo e il XIV secolo» (2007) appaiono sulla rivista online A Viva Voce diretta da Paul Colombani.

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