Il ruolo della Chiesa nella diffusione dell’italiano, nel mondo e in Corsica

Qualche settimana fa, sul sito di A Viva Voce, abbiamo messo in rete, liberamente scaricabile, la Lira Sacra, una raccolta di canti e inni sacri, per far sapere a molti che lo hanno dimenticato o forse non lo hanno mai saputo come (cioè in che lingua) in passato cantavano e pregavano  i Corsi, talvolta fino agli anni ’30 del Novecento. E vediamo che, oltre ovviamente al latino, questa lingua molto spesso era l’italiano. E la Repubblica di Genova non c’entrava. Per tacere delle prediche in italiano o in un misto di còrso e italiano di cui abbiamo già parlato sul sito e sulla rivista.

Attualmente nell’isola si sta promuovendo il còrso ed è bene che sia così. Però non bisogna dimenticare il passato o addirittura ricreare un passato mai esistito. Chi scrive questo articolo ha sentito dire: « Avà, secondu a nostra tradizione, faremu e letture in corsu ». Nossignori. Questo o è ignoranza (quella volta era il caso) o è inganno. Latino o italiano, questa era la tradizione. Si può benissimo promuovere il còrso ma non rimodellare il passato. La Corsica soffre, anzi muore, delle troppe bugie e leggende varie che nel corso dei secoli ogni partito ha creato ad arte per proseguire su questa strada. E, diciamolo pure, questi canti (alcuni sono sempre in uso, vedi il Perdono mio Dio) andrebbero recuperati. La « messa nustrale » non può limitarsi ad alcuni modi di cantare bellissimi ma che non erano patrimonio di tutta la Corsica.

A questo proposito ci preme segnalare un interessante libro, L’italiano nella Chiesa fra passato e presente che si ricollega in qualche modo all’argomento precedente. Gli autori, oltre a sottolineare lo spazio ritagliatosi dall’italiano nella Chiesa attuale, ne rilevano l’importanza storica per la diffusione della lingua italiana, e questo ci riguarda tutti noialtri còrsi, credenti e non credenti.

Si tratta di una raccolta di articoli pubblicati dalla Crusca in collaborazione con il Vaticano. Riguardo alla Chiesa attuale, viene sottolineato che l’italiano tende a sostituire il latino in alcuni campi. Ovviamente  il latino  rimane lingua ufficiale per la Santa Sede (Bibbia, libri liturgici, magistero papale) l’italiano però è de facto la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano (legislazione e comunicazione interna) anche se non esiste nessun testo ufficiale in tal senso.  Non è nemmeno indifferente sapere che le Accademie pontificie romane (con quasi 20.000 studenti) richiedono la conoscenza dell’italiano (per alcune formazioni iniziali c’è un corso in italiano e un corso in inglese, ma al livello superiore c’è solo l’italiano). Da notare anche che gli interventi del Pontefice, anche fuori d’Italia, si fanno molto spesso in italiano. A questo proposito segnaliamo che le due versioni ufficiali dell’accordo siglato il mese scorso all’Avana tra il Patriarca russo Kirill e il Papa erano una in russo, l’altra in italiano.

Però la parte più interessante per noi riguarda l’uso dell’italiano da parte della Chiesa nel corso dei secoli, ovviamente nell’area culturale italiana. Infatti se è ben noto il ruolo del latino, molto meno lo è quello dell’italiano. Ed è chiaro che quel che vale per il territorio dell’Italia attuale valeva allora per la Corsica, che di quell’area culturale ha sempre fatto parte.

La Chiesa si è trovata sin dalle origini davanti a due esigenze, la conservazione della dottrina e la sua trasmissione al popolo in periodi in cui il volgare si stava allontanando sempre più dalla lingua « alta ». Quindi nelle prediche un tener conto della lingua del popolo ma insieme un adattamento a questa di concetti e di forme ereditate dalla lingua « alta ». Quando nasce l’italiano « la predicazione e l’insegnamento catechistico consentirono al pubblico dei fedeli un’esposizione duratura all’italiano ; il ricorso al dialetto, d’altro canto, soprattutto in alcune regioni e in alcuni tipi di comunicazione, non fu in misura superiore all’uso della lingua unitaria.»  cioè l’italiano insieme al dialetto, in quale misura vedremo.

Dopo il Concilio di Trento,  nel 1566, il Catechismo romano, redatto in latino e indirizzato ai parroci,  comportò molte traduzioni in volgare. Tuttavia il papa Clemente VIII affidò al cardinale Bellarmino la stesura di un catechismo più semplice. Questi nel 1597 pubblicò la Dottrina cristiana breve perché si possa imparare a mente per i discepoli, e la Dichiarazione più copiosa della dottrina cristiana destinata ai maestri. Si usava dunque l’italiano: « L’insegnamento si avvalse sempre del testo scritto e, tranne che per le preghiere principali  (Ave, Pater, Salve Regina) talvolta imparate in latino, ogni altra istruzione fu in volgare. » E l’eventuale analfabetismo non era da ostacolo come comunemente si crede : « La diffusione della Dottrina fu assicurata in modo capillare e, soprattutto nelle parrocchie di campagna, vennero affissi foglio volanti  le cui nozioni basilari sarebbero state lette agli analfabeti affinché potessero ripeterlo ad alta,voce. Furono alcune delle vie attraverso le quali un’ampia quota di forme e di lessico dell’italiano, sia pure inclusa in un ampio repertorio di formule e di campi semantici, raggiunse un alto numero di fedeli. » Molte formule venivano  imparate a memoria con conseguente assimilazione di forme e parole della lingua letteraria.

Le strategie erano tali da garantire che anche una parte del lessico elevato, di tradizione letteraria, si fissasse con maggiore o minore consapevolezza, nella competenza dei fedeli dialettofoni.

Dopo il 1742 ci furono più catechismi, alcuni  in dialetto, ma questi ultimi non furono  particolarmente numerosi  e riguardavano anzitutto regioni come il Piemonte, il Friuli, la Sardegna  o la Sicilia (con dialetti abbastanza lontani dall’italiano). Tuttavia  anche in questi casi appare lo sforzo di attenersi ad una terminologia prossima a quella della lingua colta. « Le trasposizioni nelle varietà locali pertanto si limitavano, in moltissimi casi, a una semplice coloritura fonetica, a un’italianizzazione del lessico dialettale con l’inserimento di termini a esso estranei. » Oppure usavano « un italiano colloquiale, venato di regionalismi, dialettismi e andamenti tipici del parlato.» Insomma,come si diceva in Corsica, « tuscanizzavanu ».

Quindi « L’insegnamento della dottrina si è mosso in un universo plurilingue, attraverso un insieme di varietà che andavano dalle parole usate per spiegare le immagini, alla lingua in versi più o meno influenzata dalla tradizione poetica, all’italiano molto semplificato, agli idiomi regionali, al dialetto… forme, sintassi e lessico della lingua letteraria sono arrivati per secoli anche alle masse pîù incolte.»

E, possiamo aggiungere, queste forme ci arrivavano anche attraverso  brani d’opere letterarie  come i Reali di Francia, Ariosto, Tasso ecc. Tutto ciò ci consente di sfatare il mito di una separazione ermetica in Corsica tra la lingua del popolo e la lingua « alta », di una lingua popolare contrapposta a una lingua colta estranea al popolo e all’isola. Anche la cosiddetta lingua colta fa parte della nostra tradizione.

 

 

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Articolo di Paul COLOMBANI per A Viva Voce e Corsica Oggi

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Testi citati:

La Lira Sacra. Canti religiosi e preghiere in uso in Corsica.  è stata pubblicata a Levanto nel 1915 ed ha avuto una riedizione nel 1930 con un’aggiunta di canti francesi di 42 pagine.

 L’italiano nella Chiesa fra passato e presente, AA.VV. a cura di Massimo Arcangeli. Umberto Allemandi editore.

Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

By Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

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One thought on “Il ruolo della Chiesa nella diffusione dell’italiano, nel mondo e in Corsica”
  1. Gran bell’articolo! Complimenti! Lo rileggano con attenzione le tante persone che vorrebbero rimodellare il passato o non tener conto dell’area culturale a cui sempre si è riferita la Corsica.Non aggiungo altro,Grazie al prof. Colombani per le chiarissime parole.

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