Svizzera: il modello “english only” mette a rischio il nostro prezioso plurilinguismo

La Confederazione elvetica ha nel plurilinguismo uno dei suoi pilastri, con quattro lingue nazionali – tedesco, francese, italiano, romancio – di cui le prime tre ufficiali a livello centrale federale. Negli anni però il tedesco, parlato da oltre il 60% della popolazione, ha assunto sempre più importanza a livello nazionale, mentre a livello di seconda lingua il crescente peso dell’inglese in molti licei svizzero-tedeschi fa ormai vedere lo studio di francese e italiano come un’inutile palla al piede.

In una recente intervista su «Gymnasium Helveticum» (la Rivista ufficiale della Società svizzera degli insegnanti del medio e medio-superiore), il presidente della Conferenza dei direttori della pubblica istruzione (CDIP) Christoph Eymann ha respinto in modo categorico la proposta di declassare l’italiano nei licei svizzeri a opzione complementare, riducendone durata e la dotazione oraria: «Secondo l’Ordinanza federale per il riconoscimento della maturità (ORM), le lingue non possono essere opzioni complementari. Per la CDIP, una disciplina complementare Italiano è fuori discussione. Ogni studente liceale deve avere la possibilità di seguire corsi di italiano o come disciplina fondamentale o come opzione specifica. Anche in collaborazione con altre scuole». Quest’ultima annotazione è importante: vista la domanda ridotta in alcuni Cantoni o località, non tutte le sedi saranno infatti obbligate a impartire corsi di italiano, ma in questo caso – precisa Eymann – agli studenti interessati va garantito un insegnamento adeguato in una sede nelle vicinanze del loro domicilio».

Si può dire che aver sventato (per ora) la minaccia di un declassamento nell’ORM dell’insegnamento dell’italiano nei cantoni svizzeri non di madrelingua italiana rappresenta un bel risultato, frutto della concreta mobilitazione nazionale che si registra da una decina d’anni. Ma questo non significa che il pericolo sia sventato. Sull’urgenza di promuovere attivamente il plurilinguismo elvetico, il risveglio è stato infatti tardivo. Decenni di battaglie di retroguardia in difesa del principio di territorialità (ovvero la difesa delle lingue all’interno dei loro territori regionali storici) hanno ritardato la consapevolezza che la battaglia andava condotta non dentro ma fuori dai confini regionali linguistici, ovvero su scala nazionale, se si voleva evitare che gli Svizzeri perdessero la conoscenza delle lingue nazionali.

Il risveglio c’è stato solo nel 2007, con l’adozione dell’Accordo intercantonale sull’insegnamento obbligatorio e della Legge federale sulle lingue. Troppo tardi per correggere una tendenza che si era ormai imposta in diversi Cantoni svizzero-tedeschie ora ritornare indietro dal modello «English only» è più difficile. Salvaguardare il plurilinguismo svizzero appare oggi in molti Cantoni svizzero-tedeschi un’operazione ottusamente difensiva e astratta, contraria agli interessi delle scuole e degli alunni, e non un investimento redditizio, un prezioso vantaggio competitivo per i giovani elvetici nel mondo globale.

La battaglia per il plurilinguismo in Svizzera dunque non potrà essere vinta solo con leggi e decreti o minacciando l’intervento dei gendarmi nei Cantoni che, ad esempio, si rifiutano di insegnare una seconda lingua nazionale alle elementari. Nel caso dell’italiano, il suo futuro in Svizzera non dipende soltanto dal quadro giuridico-istituzionale, bensì dalla domanda concreta di insegnamento della terza lingua e cultura nazionale: «La CDIP intende anche sostenere misure che contribuiscono all’attrattività dell’italiano nell’insegnamento liceale: ad esempio insegnamenti bilingui e promozione degli scambi linguistici». Per incrementare la domanda di italiano nei Cantoni di lingua tedesca o francese, occorre un impegno efficace e duraturo per incentivarne l’attrattività. La difficile battaglia politica condotta dieci anni fa per ottenere una Legge sulle lingue è stata necessaria e fondamentale, ma non basta.

In un Paese come la Svizzera – pragmatico e basato sulla volontà – gioielli di famiglia come il plurilinguismo si custodiscono e si fanno fruttare con argomenti propositivi convincenti (bisogna dimostrare il suo valore aggiunto culturale ma anche economico) e grazie ad una rete di iniziative concrete che partono dal basso. Il messaggio sulla cultura 2016-2020 ha previsto dei fondi specificamente destinati ad incentivare la presenza della lingue e cultura italiana fuori dai suoi confini regionali. L’impegno politico concertato a livello intercantonale e federale serve a creare il quadro dentro il quale queste iniziative possono fiorire.

Le notizie più rallegranti per il futuro dell’italiano in Svizzera, si situano proprio a questo livello: da almeno cinque anni registriamo una mobilitazione della Svizzera italiana per la promozione dell’italiano nell’Amministrazione federale e nell’insegnamento oltralpe. Sono nati il Forum per l’italiano in Svizzera, che su iniziativa del Ticino e dei Grigioni federa gli sforzi su scala nazionale a tutti i livelli (scolastico, accademico, culturale, politico e comunicativo); è sorto l’intergruppo parlamentare Italianità (gruppo di pressione per una effettiva parità di trattamento nell’Amministrazione federale); è stato varato il progetto «Italiando» (promosso dalla RSI in collaborazione col Cantone Ticino e Migros Cultura) che da quest’estate promuoverà soggiorni linguistico-sportivi in Ticino. Senza parlare del forte ruolo proattivo che da anni l’Università della Svizzera italiana svolge con convegni e settimane di incontro-discussione oltralpe e scambi per promuovere l’italiano presso i licei svizzeri. Nella capacità di queste iniziative concertate di portare frutto e produrre un effetto moltiplicatore sta la possibilità reale di rendere attrattiva la terza lingua nazionale e di conseguenza di promuoverla non sulla carta ma nei fatti.

Abbiamo voluto parlare di questo caso svizzero perché è un buon esempio di come il quadro normativo (in questo caso l’italiano è radicato nei suoi cantoni e ufficiale a livello nazionale) non basta per garantire la diffusione di una lingua. La lingua deve, anche, essere attrattiva, essere vissuta come un valore aggiunto. E se vale per l’italiano in Svizzera, può valere per il còrso in Corsica.

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Fonte e immagine: Corriere del Ticino

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