Cosa succederebbe al francese del Québec se i canadesi ragionassero come Macron?

La recente visita del presidente Macron ha fatto emergere un punto di vista tutto francese della politica linguistica, che il giornale nazionale L’Express ha messo in evidenza in un articolo molto dettagliato e interessante.

Il capo dello stato si è detto favorevole al concetto di bilinguismo ma non a quello di co-ufficialità. Sarebbe interessante a questo punto domandare a Emmanuel Macron che cosa sarebbe della lingua francese in Svizzera (dove è parlata solo dal 20% della popolazione) o nel Quebec canadese (8 milioni di francofoni in un continente nordamericano popolato da oltre milioni di anglofoni e 150 di ispanofoni) senza delle leggi che garantissero al francese pari trattamento nella vita pubblica.

Il presidente, per supportare la propria tesi, ha citato anche il mondo lavorativo, sostentendo che non incoraggerebbe mai l’assegnazione di un posto di lavoro a chi parla il còrso, perché sarebbe un “meno” e non un vantaggio sul mercato professionale. L’autore dell’articolo fa giustamente notare che oggi in Francia, come in molti paesi del mondo, molti impieghi richiedono la conoscenza dell’inglese più che del francese.

Perché dunque la Francia, a partire dagli anni 1990, ha sentito l’esigenza di emanare leggi che ribadissero il primato del francese sul territorio nazionale? proprio a tutela della lingua francese contro l’avanzata dell’anglofonia.

Si applicano dunque due pesi e due misure, con lo Stato che mette in campo molti strumenti legislativi a tutela della lingua francese, ma che non permette che strumenti simili siano impiegati, a livello regionale, a tutela delle altre lingue della Repubblica, che costituiscono un patrimonio più unico che raro, che vede convivere nel territorio nazionali culture latine, germanica e basca. Ma che invece di costituire una ricchezza vengono viste, ancora oggi, come un nemico da combattere.


Fonte: L’Express

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