L’epica storia del capitano Giacomo Casella e la torre di Nonza

Prologo

L’episodio storico che si intende narrare, si colloca nell’estate del lontano 1768, poco meno d’un anno prima della definitiva sconfitta dei patrioti nell’epica battaglia di Ponte Novo dell’8 e 9 maggio 1769, ad opera degli invasori francesi. A seguito del trattato di Versailles, stipulato il 15 maggio 1768 tra la Repubblica di Genova e la Francia, migliaia di soldati di quest’ultima, perfettamente armati ed equipaggiati, erano sbarcati nell’Isola, con l’intento di “pacificarla” con le armi e prenderne il totale e definitivo possesso. Come sappiamo, le milizie organizzate dal Generale Pasquale Paoli, “U Babbu di a Patria”, si opposero strenuamente a questo sopruso, con tutte le proprie forze e soprattutto l’ardimento e la sete di libertà della balda gioventù corsa, dando battaglia per ogni dove allo straniero.

In questo scenario, si colloca la campagna di guerra francese finalizzata alla conquista del Capo Corso e del Nebbio, iniziata alla fine del luglio 1768, quando i battaglioni del Re di Francia Luigi XV aprirono le ostilità, non rispettando il termine d’una tregua già convenuta col Generale Paoli, che doveva scadere il successivo 4 agosto. La prima scaramuccia ebbe luogo tra il 31 luglio e il 1° agosto quando le nutrite schiere del maresciallo di campo Conte De Grandmaison attaccarono furiosamente Patrimonio, non lontano da San Fiorenzo, mentre, contemporaneamente, il comandante dell’armata gallica nel Nebbio, Conte de Marbeuf, ordinava l’assalto al vicino villaggio di Barbaggio. I difensori corsi, nelle cui file si distinguevano per coraggio e tenacia anche non poche donne, largamente inferiori nel numero e negli armamenti, resistettero per molte ore con estremo coraggio, subendo pesanti perdite ma non arretrando di un metro di fronte a circa tremila soldati perfettamente addestrati, bene armati ed equipaggiati. Infine l’artiglieria ben maneggiata dai francesi, della quale erano privi i patrioti, ebbe la meglio sull’eroismo corso e obbligò i superstiti della guarnigione posta a difesa di Patrimonio, composta in origine da settanta uomini appena, ad arrendersi, mentre quella che difendeva Barbaggio, di numero forse inferiore, riuscì, armi alla mano, a ritirarsi e ad abbandonare il villaggio per non essere fatta prigioniera. L’ardimento e l’anelito di libertà dei corsi erano incredibili. Essi lottavano, morivano o rimanevano gravemente feriti, negli scontri col potente esercito di Parigi, spesso armati solo di vecchi fucili e archibugi, o con attrezzi di uso agricolo. Scarseggiavano (o mancavano) di munizioni, medicine, medici, chirurghi e finanche di adeguate razioni di cibo.

Del vero e proprio eroismo che caratterizzava quei giovani che lottavano e sovente morivano per la libertà, ha lumeggiato finanche lo scrittore francese De Pommereuil, nella sua “Histoire de Corse”, ove riporta, fra i tanti, due  episodi verificatisi proprio durante gli scontri nel Nebbio e nel Capo Corso. Il primo, ci racconta d’un soldato francese che, stupito e ammirato al tempo stesso, domandò ad un patriota moribondo, nella sua lingua, come mai potessero riuscire i corsi a far la guerra senza disporre di ospedali e chirurghi al seguito. “Noi moriamo!” gli rispose semplicemente e orgogliosamente il morente. Il secondo, ci narra d’un altro volontario, che, in procinto di spirare, scrisse personalmente al Generale Paoli una toccante lettera nella sua bella lingua italiana dell’epoca: “Io vi saluto o generale, pigliate cura del vecchio mio padre. Fra due ore io sarò cogli altri prodi morti difendendo la Patria”.

Intanto l’avanzata delle truppe del Re di Francia proseguiva inarrestabile. Il maresciallo di campo Conte De Grandmaison, dietro gli ordini del comandante Conte de Marbeuf, s’impadroniva del villaggio di Farinole e marciava per conquistare l’importante piazzaforte di Nonza, il cui epicentro era nell’omonima torre, appositamente fatta riedificare dallo stesso Generale Paoli.

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E proprio qui si svolge la nostra storia.

 

Il Capitano Giacomo Casella e la sua “ingegnosa” resistenza

È proprio in questo doloro contesto, che vede la Corsica ormai quasi completamente soggiogata dall’invasore francese, che si inquadra, proprio a Nonza, l’eroico quanto atipico e astuto episodio di resistenza del Capitano Giacomo Casella, comandante delle milizie paoline in quella importante piazza. Questo significativo fatto d’armi è stato magistralmente raccontato dallo scrittore e patriota toscano Francesco Domenico Guerrazzi [Livorno, 1804 – Cecina (Livorno), 1873], nel suo romanzo storico “La torre di Nonza”, dato più volte alle stampe a partire dalla seconda metà del 1800, a Torino, Milano e Roma. Ancora oggi, una lapide all’esterno della torre ricorda quell’inconsueto episodio, mentre, in onore di questo grande personaggio, che onora la città di Corte e la Corsica, la città di Roma, nel suo quartiere marittimo di Ostia Lido, gli ha dedicato una bella strada: via Capitan Casella.

Il Capitano Giacomo Casella, nativo della città di Corte, uno di quegli uomini senza timore che nei pericoli della battaglia imperturbabili guardano fissa la morte, portava sul corpo i segni profondi delle ferite ricevute difendendo la patria, tanto da essere privo d’una gamba. Udendosi da ogni parte, con grande sgomento di popolo, che il Conte De Grandmaison, alla testa d’una considerevole colonna armata di tutto punto, si avvicinava al paese, Casella rimase invece imperterrito. La sua scarsa guarnigione, – composta per lo più d’uomini non più tanto giovani – e male armata, acquartierata nella torre, mostrava parecchia inquietudine per l’impari lotta che si avvicinava. I militi, convinti di non avere alcuna possibilità di vittoria e che avrebbero certamente perso la vita, rappresentarono al loro comandante che il villaggio mancava di adeguati mezzi di difesa, proponendo di arretrare. Il condottiero, sempre sicuro e senza ombra di timore, rispose che la torre era robusta e munita d’un cannone, mentre essi avevano i loro moschetti con la relativa polvere da sparo e che ciò doveva bastare. “Noi resisteremo!”, soggiunse, “…fino all’ultima estremità del villaggio e poi faremo saltare in aria la torre e ci seppelliremo gloriosamente sotto le sue rovine!”.

I pochi militi, spaventati e consci che Casella non parlava mai per scherzo, abbandonarono notte tempo la torre. Il mattino successivo, al suo risveglio, il comandante, che non sentiva voce né rumore alcuno, chiamò inutilmente i suoi uomini e si accorse d’essere rimasto solo. Nonostante la defezione, il prode non si perse d’animo e si accinse alla battaglia: sbarrò la porta, puntò il cannone verso la strada da dove sarebbero sbucati i nemici, dispose i fucili ben carichi in ogni feritoia e attese tranquillamente i francesi. Nel frattempo, la colonna del Conte De Grandmaison aveva fatto irruzione nel paese, i cui abitanti si erano arresi per evitare la carneficina e il saccheggio, avviandosi speditamente verso la torre sulla quale sventolava fieramente la bandiera della resistenza corsa.

Casella aprì subito il fuoco con l’unico cannone contro le schiere nemiche e, man mano che i soldati stranieri s’avvicinano, venivano fatti segno di incredibili scariche di fucileria. Pareva che una intera compagnia molto bene armata stesse resistendo nel bastione! … Non si trattava, invece, che dell’ingegnosa trovata del bravo Capitano, che faceva fuoco a ripetizione e contemporaneamente con tutti i fucili disponibili, manovrandoli con un ingegnoso sistema di cordicelle legate ai grilletti, in modo da potere sparare da parecchi posti diversi nello stesso momento. Intanto, uno dopo l’altro, gridava a squarciagola ordini vari, rivolgendosi ai suoi militi (… in realtà inesistenti), come per guidarli nella lotta e incoraggiarli.

Tutto questo si protrasse lungamente, senza cenno di resa alcuno, pur sotto l’incessante crepitio della fucileria e delle cannonate francesi. La resistenza era sempre più ardua, ma l’incredibile e audace messa in scena ordita dal Nostro ottenne l’effetto voluto! Fece credere agli assedianti francesi che si trattasse della forte resistenza di un consistente numero di combattenti. Tanto era il putiferio che pareva, all’interno della torre, esservi una forte guarnigione in pieno assetto di guerra. Il Conte De Grandmaison, stupito dalla tenace resistenza e timoroso di non potere facilmente prendere la torre, inviò un parlamentare per trattare la resa dei difensori, che, comunque, erano circondati e senza possibilità di scampo nel lungo termine. Il comandante Casella, dopo parecchio tempo, quando era ormai a corto di munizioni e sfinito, non potendo certamente fare altrimenti, rispose di non essere contrario a venire a patti, rimettendo all’ufficiale francese incaricato le sue condizioni di resa, che aveva già preparate. Queste prevedevano l’uscita dalla torre della guarnigione, con armi, bagagli, bandiere e un cannone (… l’unico in realtà) al seguito. I francesi, inoltre, avrebbero dovuto garantire ai patrioti la libertà, gli onori militari e dei cavalli per trasportare il pezzo di artiglieria ed alcuni effetti. Il generale francese ratificò tutte le clausole di resa, inviando un capitano dei granatieri con la sua compagnia a prendere possesso della torre, nei pressi della quale fece schierare i suoi uomini in attesa della fuoriuscita dei resistenti.

Quand’ecco che, spalancatasi finalmente la porta, ne uscì tutto solo il capitano Giacomo Casella, appoggiato a una stampella, armato di spada, fucile e due pistole, muoversi speditamente con indicibile orgoglio. Il capitano dei granatieri, che aveva intanto disposto i suoi soldati su due file per rendere i pattuiti onori militari, aspettò qualche istante che gli altri uscissero, ma, non vedendo comparire alcuno, chiese stupito a Casella dove fosse la sua guarnigione. “Ecco, la truppa sono io!”, “Voi la vedete tutta in me!”, rispose fieramente Casella. La risposta del comandante corso lasciò l’ufficiale francese a bocca aperta: … le truppe del potente Re di Francia erano state beffate! Quando i francesi si accorsero d’aver combattuto contro un solo uomo, Casella rischiò di essere ucciso sul posto. Il capitano dei Granatieri, compresso di collera, nel primo moto d’ira, alzò la spada sguainata verso Casella, il quale pure mise mano alla sua e la volse verso l’ufficiale. Ma il generale Conte De Grandmaison, testimone di questa scena, apprezzò la sua audacia e gli risparmiò la vita, facendo eseguire alla lettera il trattato di resa e facendo scortare il Nostro da un piccolo distaccamento di cavalleria, fino agli accampamenti del Generale Paoli a Murato.

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One thought on “L’epica storia del capitano Giacomo Casella e la torre di Nonza”
  1. Buongiorno a tutti voi.
    Non conoscevo questa storia. E vi ringrazio di averla riportata alla luce. Un bellissimo esempio d’ingegno e coraggio. Grazie ancora!

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