Lettera dall’America

By Paul Colombani Mar 25, 2016

Il viaggio di Gilles Simeoni negli Stati Uniti sta portando l’attenzione sui Corsi emigrati in America e sulle loro storie. Vogliamo anche noi riproporvi un articolo pubblicato qualche anno fa sulla rivista A Viva Voce, che parla proprio di un Corso trasferitosi dall’altra parte dell’oceano.

Più precisamente si tratta di una sua lettera, scritta il 2 aprile 1888 da Montgomery (Alabama, Stati Uniti d’America). L’autore, tale Matteo Pellegrini, scrive alla sorella Cecilia, rimasta a Rogliano di Corsica.
Cecilia Pellegrini era la zia del nonno dell’autore dell’articolo che state leggendo. La missiva è in italiano, e sappiamo che anche alla madre i fratelli scrivevano in italiano. D’altronde in quale lingua potevano scrivere dei Corsi di fine ‘800? Abbiamo lasciato gli errori, ben sapendo d’altronde che a quell’epoca la sintassi non sarebbe stata migliore presso moltissimi italiani di pari condizione sociale, anzi.

 

Cara sorella Cecilia
Benchè io non abbia avuto il piacere di leggere la tua lettera,io non trovandomi a casa quando che fù ricevuta quà, sò a poco presso ciò che contiene. La tua lettera si trova in mano ai fratelli di Porto Rico dove mi fù inviata, essendo là a passare qualche giorni con essi dove pure abbiamo avuto l’opportunità di parlare un poco della casa in Corsica.
Gli ho scritto che ne prendano conoscenza di questa tua lettera e dopo rinviarmela a Montgomery dove la leggerò io stesso con attenzione e dopo avere consultato con gli altri fratelli ti darò una risposta definitiva.
Avrei molte cose a parlarti ma le riservo ad un prossimo avvenire, con tutto ciò sono stato sensibile a certe belle espressioni della tua lettera verso di me e ti ringrazio della buona opinione che ti sei formato del tuo fratello Matteo.
In riguardo a quei vecchi atti che Giorgio portò con lui in America benchè io stesso non abbia approvato questa sua idea, lui ha fatto questo pensando di mettergli in luogo più sicuro che quello che occupavano nella casa in Corsica, ma resta tranquilla, saranno resi al loro luogo naturale.
Giorgio si trova nella California del Sud ancora una altra volta nei affari.
Per adesso non ti dirò altro che qualunque sia il scambiamento che è riservato alla nostra casa non v’è alcuna ragione per credere che è destinata a perdersi; dunque ti prego di credere che mi occuparò a secondare le tue vedute per il bene della casa ed essere in breve tempo in posizione di darti una risposta favorevole. Intanto resta calma aspettando e sperando dei giorni migliori.
Ti prego di porgere i complimenti alla cognata Agatina x Giuseppe M. zia Memenica x Giovan Carlo.
Ti lascio sperando presto di darti ancora delle mie notizie e ti prego in aspettando di credere ai sentimenti affettuosi del tuo fratello
Matteo.

Questa lettera ci è sembrata interessante per vari motivi. Per prima cosa perché offre uno spaccato di vita dell’emigrazione còrsa, e più specialmente capocorsina, nell’America di allora, con l’approdo a Porto Rico, poi di lì negli Stati Uniti, in Alabama, California, ma anche in Lousiana e Florida. Ed erano in tanti. Dobbiamo confessare di provare nostalgia e rimpianto. Sì, rimpianto, pensando alle generazioni di funzionari statali che hanno seguito. Intendiamoci, sappiamo benissimo quanto per i Còrsi sia stato utile arruolarsi nelle folte schiere dell’amministrazione dello Stato, lasciando un paese povero e che comunque allora non avrebbe potuto dare loro sostentamento – o almeno non a tutti – ma non possiamo non pensare che questo bene provvisorio sui tempi lunghi abbia sortito un male e ci abbia fatto prendere una strada sbagliata. Purtroppo, adesso che le circostanze sono cambiate molti di noi hanno preso una mentalità impiegatizia e, soprattutto, ciò che è stato un bene provvisorio per i Còrsi è stato micidiale per la Corsica.
Interessante anche questa lettera perché viene ad appoggiare quanto io ed altri andiamo ripetendo da anni su A Viva Voce, e più di recente su Corsica Oggi, a proposito dell’uso della lingua italiana. E’ ovvio che qui non si tratta, come sostenuto da alcuni, di gente che usa l’italiano per un qualsiasi snobismo, che pretende ad un elevato rango sociale e intende distinguersi dal popolo scrivendo in lingua aulica, si tratta semplicemente di persone che usano la lingua che viene più facile usare, in qualche modo la versione scritta della propria, in grado di essere capita senza il minimo sforzo dagli altri.

E tutti sappiamo che quest’italiano per un còrso non ha bisogno non solo di traduzione ma nemmeno di adattamento. Per scrivere in francese bisognava imparare un’altra lingua, per l’italiano bastava poco e uno si faceva capire anche dagli analfabeti. Ci scusiamo di dover ripetere cose che per alcuni sembreranno ovvie, ma che forse non lo sono più per i più giovani, e comunque è bene farle sentire dal vivo.
Un’ultima cosa: la casa di cui si sta parlando in questa lettera è oggi di proprietà di chi scrive. E finché sono vivo io in quella casa a nessun estraneo sarà concesso farla da padrone.


Paul Colombani

Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

By Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

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2 thoughts on “Lettera dall’America”
  1. in pochi mesi ho conosciuto la Storia e la vita corsicana più di quanto conosca quella Sarda o Italiana in genere (si fa per dire), ciò che più mi meraviglia è che nonostante la mole di documenti e testimonianze storiche che ricordano l’Italianità dell’isola, buona parte dei Corsi vedono l’Italiano come una lingua straniera al pari di quelle degli altri paesi vicini, per non parlare dei cognomi, in larghissima parte dell’Italia peninsulare del nord, con significative presenze anche di cognomi dell’isola sottostante e non solo.

  2. Come sempre grazie al prof. Paolo Colombani per la chiarezza documentata delle sue tesi che condivido in pieno perché supportate da documenti e testimonianze storiche chiare semplici ed inconfutabili.E’ la prova ,questa lettera, di ciò che ipotizzavo da tempo,pur non avendone le competenze,ovvero che la lingua italiana era la lingua del popolo corso sentita come madrelingua nei rapporti interpersonali e questo a prescindere dalla presenza del dialetto caratteristica comune ad ogni terra italica,e parliamo del 1888,quindi un tempo in cui anche nell’Italia unificata convivevano lingue locali e lingua nazionale.Ritengo quindi non attendibile la tesi che taluni sostengono che non possiamo sapere come sarebbero andate le cose in Corsica se avesse seguito l’Italia nel processo di riunificazione,ma se qui vediamo che cosi naturalmente e correttamente ci si esprimeva ancora in italiano!E questo nonostante il bel divieto del 1859 imposto dalla Francia.Ho letto su questa rivista di tutto:dal fatto che oggi i corsi sia francofoni,al fatto che ”naturalmente” il corso si sia evoluto verso il francese suo naturale afferente,al fatto che l’italiano sia ritenuta lingua straniera:tutte sciocchezze antistoriche e frutto di una forzata manipolazione perché lo stato dominante ha voluto cosi,semplice,ma non si parli di naturale evoluzione quanto di forzato condizionamento.Quanti giovani oggi saprebbero scrivere o parlare così? Quanti hanno memoria storica della Corsica nel suo linguaggio senza scindere troppo il corso dall’italiano come appunto avveniva.Mi si risponderà che oggi i giovani sono francofoni e basta ed io rispondo che chi si contenta gode! Ma a prezzo di una perdita ed un impoverimento culturale.

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