L’accoglienza a Calvi dei socialisti italiani Turati e Pertini, in fuga dal fascismo

By Lorenzo Di Stefano Lug 31, 2018
Filippo Turati a Calvi nel dicembre 1926 (Archivio della Fondazione di studi storici “F. Turati”

 

Novembre del 1926. É da poco iniziato l’anno V della cosiddetta “era fascista”. Filippo Turati, primo segretario del Partito socialista italiano, settantenne, riesce a fuggire dalla sua casa di Milano nonostante la sorveglianza poliziesca, grazie ad un piano organizzato da Carlo Rosselli. L’anziano leader socialista si rifugia a Caronno, in provincia di Varese, nella casa del giornalista dell’Avanti! Ettore Albini.

Scoperta la fuga di Turati, Mussolini dà ordine di ritrovarlo. Tutte le stazioni dei carabinieri sono mobilitate. In seguito a brevi permanenze ad Ivrea e a Torino «l’8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città, Savona» – ricorda in una testimonianza Sandro Pertini, all’epoca avvocato trentunenne, futuro Presidente della Repubblica Italiana, nonché primo socialista a salire al Quirinale, nel 1978.  «Si era giustamente pensato di dare a Turati un compagno di viaggio. Fui scelto io anche perché la Commissione per il confino di polizia di Savona mi aveva condannato a cinque anni di confino, e per questo ero ricercato. Turati rimase nascosto con me in casa d’un mio caro amico, Italo Oxilia, a Quigliano, vicino a Savona. Dormivamo nella stessa stanza».

La sera del 12 dicembre 1926 Pertini e Turati partono a bordo del motoscafo “Oriens” dal porto di Savona, accompagnati da esponenti di primo piano della storia politica italiana: Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Adriano Olivetti. Al timone dell’imbarcazione ci sono Italo Oxilia e Lorenzo Dabove. Dopo una difficile traversata di dodici ore arrivano in Corsica il mattino del 13 dicembre, entrando nel porto della città di Calvi. L’avvenimento viene così raccontato da Carlo Rosselli, nel 1932, sul giornale antifascista «Libertà»:

Turati, steso sui cordami a prua, resiste stupendamente al mare, e solo nelle ultime ore sembra soffrire. È calmo, mirabilmente calmo, indifferente a tutti i destini. Ha lasciato la sua casa, i suoi morti, Milano, l’Italia; ormai tutto è eguale. Annegare in mare o annegare in esilio, a settant’anni.

Ma ecco la linea dei monti farsi più chiara col M. Cinto che tutti li sovrasta. L’isola Rossa ci saluta, ci saluta il sole. Calvi svela il suo forte proteso sul mare. Il mare via via che ci avviciniamo alla costa, si rabbonisce fino a farsi calmissimo.

Da sinistra: Lorenzo Dabove, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini, Ferruccio Parri (Archivio CESP)

 

Navighiamo ora in un’atmosfera di sogno, ritti in piedi protesi verso la terra amica. Entriamo in rada alle dieci del mattino, sfiniti, inzuppati ma felici. Scendiamo. Turati è subito riconosciuto. Sbrigate le pratiche con la polizia, il circolo repubblicano locale improvvisa un ricevimento. Turati si schermisce, è stanco dopo la terribile notte. Ma gli altri insistono e conviene cedere. « Au nom de la démocratie française, au nom de la Corse… ». Il leader locale saluta l’Italia, l’antifascismo, Turati.

L’osservatorio di Capo Corso avvista l’imbarcazione sin dalle prime ore del mattino e sul molo di Calvi si raggruppano diversi curiosi e parecchi gendarmi francesi. «I còrsi pensarono si trattasse d’una spedizione fascista» – ricorda Pertini – «già allora il fascismo nella sua follia andava rivendicando Nizza, Savoia e la Corsica. Scendemmo a terra inzuppati d’acqua. Fummo dai gendarmi condotti alla Capitaneria. Ci fanno sedere come tanti imputati dinanzi al comandante della Capitaneria, il quale come prima cosa ci chiede chi è il capitano del motoscafo. Ci guardammo l’un l’altro perplessi, nessuno di noi aveva pensato a questa formalità. Ma Turati si alza e dice: “Moi, Filippo Turati”. A quel nome i volti dei gendarmi francesi come per incanto si rasserenano. Saputo dalla viva voce di Turati chi eravamo e perché fuggivamo dall’Italia, i francesi si fecero subito premurosi e cordiali con noi».

Turati chiede di spedire due telegrammi per richiedere asilo politico al governo di Francia. La risposta del governo francese, guidato da Aristide Briand, arriva presto. Pertini e Turati possono pernottare a Calvi. Come pianificato invece Carlo Rosselli, Parri, Oxilia, Dabove, Boyancè, Ameglio, il giovane meccanico del motoscafo, ripartono per l’Italia nel pomeriggio del 14 dicembre. Al loro arrivo a Marina di Carrara saranno arrestati dalle autorità fasciste.

«Ricordo questa partenza come fosse avvenuta ieri. Ci abbracciammo senza pronunciare parola e cercando di trattenere la commozione, che saliva dai nostri animi. Ed io mi rivedo a fianco del Maestro, sul molo e attorno a noi muta sta la gente di Calvi. Il motoscafo si stacca. Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo e lo agita». Pertini e Turati restano sul molo e poi salgono sulla cittadella per vedere ancora il motoscafo dei loro compagni allontanarsi verso l’Italia. «Le prime ombre della sera erano ormai scese su Calvi» – ricorda Pertini – «persuasi il maestro a ritornare in città per prepararci alla partenza per Nizza».

Lorenzo Di Stefano

Lorenzo Di Stefano è laureato in scienze politiche presso l’Università di Teramo. Di origini molisane, sta svolgendo un dottorato di ricerca in storia contemporanea nell’Università di Corsica “Pasquale Paoli”.

By Lorenzo Di Stefano

Lorenzo Di Stefano è laureato in scienze politiche presso l’Università di Teramo. Di origini molisane, sta svolgendo un dottorato di ricerca in storia contemporanea nell’Università di Corsica “Pasquale Paoli”.

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