«U batellu hè digià in portu
E n’ha stesu la bandera
Prestu n’ha da fà partenza
Versu la terra strangera
Addiu paisucci cari
Addiu Corsica intera».
Oggi parliamo di una figura poliedrica come Jérôme Casalonga, uomo che nella sua vita è passato con grande naturalezza dalle arti plastiche (apprese nella bottega del padre Toni) alla musica passando per il teatro grazie all’ambiente in cui è sempre vissuto, nel cuore della Corsica rurale.
Spesso in giro per il mondo anche nelle vesti di scenografo, Jérôme coltiva in modo particolarmente assiduo anche importanti legami con l’Italia, partecipando con i suoi gruppi musicali a numerosi eventi culturali lungo tutta la Penisola (Trento, Pisa, Genova, ecc.) e mettendo sempre al centro della propria opera gli stimoli e le suggestioni del suo paese natio: Pigna, splendido villaggio nel cuore della Balagna.
Proprio presso l’Auditorium di questo piccolo paese, il 6 novembre del 2021 è andato in scena Risunanze. Canti e soni di a Terra Madre, una rassegna che ha unito artisti del calibro di Victor Herrero con un grande esponente della world music quale Giovannangelo de Gennaro, compagno del nostro Casalonga anche nell’esplorazione delle sonorità medievali con l’Ensemble Organum di Marcel Pérez.
I lettori di CO hanno già avuto modo di incontrare Casalonga in almeno altre due occasioni: nel 2016 con un bellissimo articolo di Lucie Patrucco (https://www.corsicaoggi.com/sito/pigna-la-musica-tradizionale-roma-incontra-quella-corsica/) dove l’artista isolano viene accostato alla grande Giovanna Marini del “Coro Testaccio” di Roma, e due anni più tardi quando Jérôme partecipa con il gruppo A Cumpagna alla manifestazione Tradire, nella prestigiosa cornice di Palazzo Chigi a Siena, con lo spettacolo Echi di Corsica (https://www.corsicaoggi.com/sito/questa-sera-alle-21-le-polifonie-di-a-cumpagnia-in-concerto-a-siena/?doing_wp_cron=1642011436.1080319881439208984375)
Nel 1997 Jérôme Casalonga fonda sempre a Pigna anche il gruppo Zamballarana, all’interno della leggendaria Casa Musicale, altro importante centro di creazione e scambio artistico.
In lingua còrsa, la «zamballarana» è una donna un po’ frivola e anticonformista, e in questo senso la band svilupperà le proprie melodie. Come giocolieri, esplorano canto e musica in cerca di originali miscele, inventando e tessendo nuove sfumature sonore, allargando il campo della nostra immaginazione.
La fusione della polifonia arcaica con elementi di Jazz, musica latina e orientale così come il modo originale di utilizzare strumenti tradizionali còrsi come la Cetera (mandoloncello a 16 corde) il tamburo Colombu e il flauto Pivana (interamente ricavato da un corno di capra) si traducono in una miscela di stili caldi e danzabili che elevano la tradizione musicale unica della Corsica agli standard globali.
In questo frangente, intendiamo sondare alcuni aspetti della “vita quotidiana” di Jérôme, cercando di capire quanto la lingua còrsa e l’italiano abbiano influito sulle creazioni della sua lunga ed eterogenea attività artistica.
Com’è nata la tua passione per la musica? Tutto parte dal coro A Cumpagnia, oppure da altri “canali culturali”? e come combacia tutto questo con la lingua còrsa e con tua vita quotidiana?
A Cumpagnia, gruppo fondato dai miei genitori assieme ad altri amici artigiani e musicanti, c’entra ovviamente moltissimo, così come la musica e i dischi che in generale ascoltavano i miei genitori… e poi tutti quegli artisti che venivano a Pigna a trovarli, da ogni parte del mondo.
La musica e la lingua hanno sempre avuto un legame importante: la musica tradizionale è sempre stata legata al territorio, e quindi alla lingua utilizzata su “quel” territorio. Anzi: la musica è stata anche un modo per re-imparare ed approfondire la lingua còrsa! apprendere il canto polifonico, incentrandomi sul testo e sulla storia che esso racconta… anche la sonorità è legata alla melodia e alla lingua.
Quindi con Toni e Nicole (i tuoi genitori) parlavi in francese, ma anche in còrso?
Non abbastanza con loro, lo parlavo di più con gli altri bambini e i vecchi del paese: mia madre era originaria del Sud isolano, quindi la sua lingua (simile al Gallurese in Sardegna) era diversa da quella parlata a Pigna, dove vivo, come diversa era quella di mio padre che veniva da Aiaccio – sentivo parlare còrso molto di più quando andavamo a Marato, a sud: era un altro mondo per me!
Era un’epoca in cui a scuola ancora non si poteva insegnare, la nostra lingua.
Era ancora «viva» però sulla piazza del paese, con la gente, con gli anziani: era davvero parte della quotidianità. Oggi è differente: in un certo senso, ho dovuto fare uno “sforzo” per riappropriarmi della mio idioma materno.
Nel bellissimo articolo di Lucie Patrucco qui su CO si legge la doppia intervista a te e a una figura importantissima per il panorama della musica popolare italiana: Giovanna Marini. Come sai, l’attività artistica di questa donna è fortemente pervasa dal suo impegno politico. Quando Giovanna conobbe tuo padre Toni e il grande Nando Acquaviva, era appena scesa in piazza (su invito del barone Lagrange, di cui era ospite) nel tentativo di “calmare le acque” dopo un disastroso incendio al tuo paese natale, e quindi durante un vera e propria «protesta». Quanto è importante la lotta nella tua musica?
Per me è importante la poesia. Ho militato per un certo tempo in politica, e la musica era sempre presente, nei vari eventi a cui partecipavo.
La politica insomma era già presente nel mio «apprendistato musicale», in ogni caso: imparavo a ritrovare la mia lingua, il suo lessico… e già questo era l’atto più politico che ci fosse.
La libertà per me non va «gridata», deve essere «vissuta», senza farla sempre apparire nel miei testi.
Certo conosco e rispetto gruppi come Canta u Populu Corsu, da sempre militanti e con «rivendicazioni precise» – come del resto molti gruppi Baschi – ma io non sentivo nella mia musica il bisogno di cantare questa “aspirazione alla libertà”. Già nel modo di cantare tipico della musica tradizionale ogni individuo è «libero»: vedi nelle Paghjelle a 3 o 4 voci ad esempio.
C’è molta libertà nella relazione che si instaura fra i cantanti, in questi frangenti… è una forma di vivere, una vera e propria «società nella società», e in ogni caso una maniera di discutere e rapportarsi fra persone.
Spesso nei complessi musicali che fanno «pura rivendicazione politica» invece, ci sono 20 persone schierate che devono essere il più “uniformi” possibile – vedi il Coro della vecchia Armata Rossa: ma io non faccio musica per l’esercito!
La vera “rivendicazione” per me sta in come decidi di vivere, nella maniera di portare la tua cultura avanti. Tutto fa parte di una «volontà di vivere» e di difendere la propria lingua.
«Politica» nel senso originario di «vita nella Polis (comunità civile)», ovvero il rapportarsi e l’interagire con gli altri nella quotidianità, condividendo spazi e idee. Nella tua visione del mondo non si tratta di avere un “colore politico” dunque, ma un “progetto” da portare avanti.
Per fare questo, hai molte “frecce” nel tuo arco: vedi l’ensemble A CUMPAGNIA con il quale porti avanti la tradizione musicale isolana nelle sue mille forme: lamenti, terzine, sturnelli, paghjelle, curenti, voceri, madrigali, impruvisate, ecc.
Con il gruppo ZAMBALLARANA invece hai cambiato mote volte i componenti, ma è stato sicuramente un’esperienza di successo: sul canale streaming di MTV è pubblicato per intero – con tanto di testi! – il vostro album Luna (http://testicanzoni.mtv.it/testi-Zamballarana_25566110/testo-Sar%C3%A0-27039610) riuscendo a portare l’atmosfera e le melodie della propria terra nell’alveo della world music. Sei orgoglioso di questo risultato?
Zamballarana è da tanti anni che esiste: abbiamo fatto grandi Festival come lo «Sziget» in Ungheria, accanto ai Buenavista Social Club o a Elvis Costello, ma purtroppo non abbiamo avuto abbastanza tempo per approfondire i rapporti con questi artisti.
Ho conosciuto Alan Gonzales, percussionista cubano esiliato dalla dittatura circa 30 anni fa (ora vive in Corsica), il violinista Stefano Puddu dalla vicina Sardegna, lo scozzese Malcom Boswell che ha suonato con noi…
Il “cuore” del gruppo rimaniamo sempre noi dell’isola, però!
Non abbiamo mai avuto problemi a trovare delle ottime «voci» per il gruppo, ma è a livello «strumenti» che abbiamo davvero fatto una scelta precisa: pur avendo amici nel mondo del Jazz che sarebbero stati entusiasti di partecipare ai progetti di Zamballarana, non cercavamo il “batterista (o il bassista) perfetto”, quanto piuttosto di realizzare un vero «Gruppo di essenza còrsa».
Dopo 20 anni però, la mancanza di una vita professionale dedicata esclusivamente alla musica ha iniziato a pesare sulle sorti del gruppo, indi per cui mi sono staccato da tutto questo… Solo una pausa, sia chiaro! Che interromperò per realizzare il mio 6° album.
Quindi sei l’unico – all’interno di questo gruppo – che fa «musica per vivere», oltre a Larenzu Barbolosi?
In realtà no: oltre a Barbolosi, sono musicisti di professione anche François Guironnet, Jérémy Lohier e tanti altri nel nostro giro… in ogni caso, pian piano il fatto di avere sempre meno tempo, ognuno preso dalla propria vita, ha pesato moltissimo sulle sorti del gruppo.
La lingua Còrsa: quanto è importante, a livello di “creatività linguistica”, nei due gruppi di A Cumpagnia e Zamballarana ?
In Zamballarana io scrivo tutte le poesie e le melodie, al 95% c’è una riflessione sulla lingua e su come utilizzarla. In a Cumpagnia siamo basati all’80% sul repertorio tradizionale già esistente, invece.
Ho visto da internet che hai un grafia “tradizionale” per i tuoi testi in còrso, che forse risente in qualche modo delle novità (o meglio del “ritorno alla tradizione”) di Pascal Marchetti.
La parlata di Pigna – un’idilliaca cittadina tra le montagne della Corsica occidentale – è sicuramente diversa dalla lingua parlata da tua madre (nata del Sud dell’isola) e da quella di tuo padre, vissuto in una grande città come Aiaccio. Tu come ti sei “riappropriato” della lingua materna, che oggi parli fluente quanto l’italiano?
Oggi parlo un idioma tipico del nord isolano, fra Calvi e Isola Rossa.
Non ho studiato il còrso a scuola, mentre ho imparato l’italiano vivendo per circa 2 anni nel Bel Paese.
Per la mia lingua materna, mi sono confrontato con alcuni amici che ancora oggi lo insegnano; non avevo la pratica della scrittura, naturalmente, ma piano piano ho perfezionato anche questo aspetto.
Nelle mie composizioni, non ero soddisfatto e non sentivo la stessa “naturalezza” e “spontaneità” che esiste ovviamente in un canto tradizionale come i Chjama è rispondi.
Ho ascoltato le metriche e i tempi di queste canzoni, che avevano sempre soggetti e storie tipiche di un’altra epoca, e dunque poco attuali.
Chi sceglieva di scrivere in còrso negli anni ‘80 e ‘90 utilizzava la metrica in endecasillabi e il «verso alessandrino», molto vicino alla poesia francese.
Chi scrive canzoni però fa un’altra cosa: una strofa al centro, un “ritornello”, ecc… nel Canto tradizionale però non c’è ritornello, ad esempio.
Dunque hai scritto vòceri, paghjelle, madrigali, ecc. Ne prediligi una in particolare, fra queste espressioni di canto popolare?
Ho scritto paghjelette, terzetti e madrigali, e ho ripreso brani antichi: il testo di Eschilo ad esempio, l’ho riportato in còrso… è diventato molto «nustrale».
Ho cantato i bellissimi testi di Francescu Mattei, che per me era l’ideale della scrittura Balanina, così “forte” e cosi “elaborato” e al tempo stesso “popolare” che mi veniva di portarlo in melodia.
Negli anni ’70 erano tutti per me troppo “intellettuali”, gli autori còrsi… così mi sono arrangiato io a trovare altre fonti di ispirazione, per i miei testi: mi mancava ciò che ha fatto Pino Daniele nella Napoli degli anni ‘70 o un De Simone, o ancora alcuni artisti spagnoli…
Riguardo alle tue fonti: da chi (e da dove) hai tratto i migliori spunti, per la tua musica? Parlo non a caso di spunti e non di influenze, perché ogni artista “sceglie” sempre le proprie fonti di ispirazione, e mai le “subisce”.
Tanta musica: tradizionale, classica, moderna… fino a Georges Brassens, passando per il brasiliano Vinícius de Moraes e a tante altre musiche del mondo.
Ma soprattutto il «percorso» di Pino Daniele e Roberto de Simone, o di un cantautore come Eugenio Bennato: personaggi fra loro diversi che ho seguito sempre con interesse, compresa la figura di Enzo Abitabile (un grande sassofonista napoletano). Tutti artisti del Sud Italia, che cantavano nella propria lingua mischiandola in maniera incredibile con i ritmi del Jazz: quello di Pino Daniele con Ritchie Evans fu un duetto memorabile!
Hai conosciuto qualcuno di questi artisti ?
Il fratello di Roberto de Simone, ad esempio. E poi molti altri tramite eventi come Jazz in Calvi, oppure Cittadella in Festa (sempre a Calvi) con artisti provenienti da ovunque: Catalogna, Africa, ecc.
Ho spaziato dalla musica antica al Jazz, influenze molto vaste.
Come si sono “avvicendate” nel tempo le tue esperienze con Zamballarana, a Cumpagnia e la musica Jazz ?
Non sono propriamente un «Jazzista», anche se suono clarinetto, sassofono e varie percussioni: sono diventato musicista intorno al 1992 – all’età di 30 anni dunque, relativamente tardi a livello professionale.
Prima ero pittore, incisore, scultore e scenografo: tutte attività che continuo a portare avanti fra Toronto, l’Italia e Barcellona. La mia vita era dipingere in stile contemporaneo.
La musica mi piaceva come «fenomeno», non sono mai stato «uno da Conservatorio» (ho imparato molto tardi a usare il clarinetto) non ho questa formazione di base…
Sei anche pittore e scultore… come hai sviluppato queste arti ?
Nel laboratorio di mio padre: le mie prime incisioni le ho fatte a 8 anni. A vent’anni sono andato a Roma per studiare, e fino a 35 anni ho continuato a fare diversi lavori nel settore.
Quindi fino a una certa età sei rimasto a lavorare a Pigna con tuo padre…
Mia madre suonava pianoforte e clavicembalo, mio padre era scultore… ma anche lui in realtà ha sempre suonato: nel 1977 iniziai a cantare e suonare con lui.
Hai studiato a Roma, dicevi..
E anche a Venezia. A Roma, ci finii per fare una Scuola di grafica scelta tramite il mio amico Orlando Forioso: mi piaceva questa idea di venire a studiare in Italia! Ero praticamente l’unico a prendere il traghetto da Bastia per Livorno (allora abbastanza raro) sparandomi poi 5 ore di treno fino a Roma, dove poi alloggiavo dalla figlia del grande fumettista Benito Jacovitti, in una Casa per studenti.
Come te la cavavi con la lingua italiana?
L’ho imparata al volo! Pur avendo già studiato un po’ di italiano sull’isola – ma con pessimi professori – è a Roma che l’ho imparato in maniera naturale. Ormai ho perso tanti «automatismi» che avevo acquisito, parlando romanesco: c’era un vero e proprio “gergo” utilizzato fra Trastevere e piazza Cavour, o a Villa Medici… ora anche questo gergo si è evoluto! il «trasteverino del Mercato» e il romanesco in generale erano molto caratteristici! Dopo 40 anni esatti, è cambiata molto questa «parlata rionale», e io me ne accorgo!
In che senso è “cambiato” ?
È proprio cambiato l’accento delle persone. Parecchi anni fa, parlando coi vecchi di Trastevere, riconoscevo ancora termini ed espressioni idiomatiche presenti anche nella lingua còrsa… naturalmente accanto ad altri modi di dire che proprio non comprendo, ancora oggi!
Sarà solo un caso, ma proprio a Roma era diffusa la leggenda che Papa Formoso (fine del IX secolo) venisse dalla Corsica, e che molti suoi conterranei avessero ripopolato la città di Ostia.
Tornando alle tue ricerche, ti sei imbattuto anche nel canto antico così come era praticato a Genova e in Toscana… è corretto?
Non esattamente: si tratta di “musica sacra” che era veicolata dai Francescani, un ordine religioso molto creativo: nel tardo medio Evo ( e prima età Moderna) molti musicisti e scrittori provenivano da gruppi religiosi come questo.
Che genere di musica era?
Si trattava di canti «a falso bordone», molto somiglianti alle odierne polifonie còrse, religiose e non: il Tantum Ergo ad esempio.
Negli Archivi di Genova abbiamo scoperto il Cantum Canonicum, piccolo libretto per «canti corali» dove ho trovato lo stesso brano che nel 1700 veniva intonato fra le aule del Convento còrso di Alziprato, fra Calvi e il monte Cinto. Questi canti passavano poi da un complesso monastico all’altro, quasi come un «passaparola musicale»: i frati genovesi venivano a vivere in Corsica anche 5-10 anni, e lo stesso facevano in Liguria i loro confratelli còrsi.
I francescani della nostra isola hanno sempre avuto rapporti strettissimi con Toscana e Liguria sin dal 1200.
D’altronde, toscani e genovesi facevano sicuramente prima a venire qui che a Venezia: c’erano sicuramente legami più stretti fra le regioni affacciate sull’alto Tirreno (Lazio, Sardegna, Corsica) che con altre parti d’Europa!
Usi il còrso per comunicare in famiglia, con i tuoi figli?
La figlia più piccola studia còrso a scuola – ma la madre è solo «di origine còrsa»: vivendo a Parigi, ormai ha poca dimestichezza con la lingua isolana.
Io stesso, da bambino non lo parlavo più di tanto in còrso con i miei genitori… ma era comunque un idioma molto presente «per strada», nella vita quotidiana del paese, in ogni caso!
La grande difficoltà oggi è che i miei figli non vogliono che gli parli in còrso, perché in questa fase della loro vita hanno un certo “rifiuto”… forse è indirettamente un «rifiuto alla scuola», chissà!
In ogni caso, direi che va a periodi: con i due figli più piccoli va bene, ma la 15enne preferisce l’inglese, in questo momento… un po’ di «ribellione adolescenziale».
La figlia più grande invece studia Sociologia a Parigi, ma vuole rientrare in Corsica: solo ora sente il bisogno di conoscere la «sua» lingua, in un certo senso di «riappropriarsi» di questa identità.
La lingua còrsa svilupperà sicuramente un proprio ruolo nella società… ma per ora, ha smesso di essere il «veicolo di comunicazione» principale sulla nostra bella isola.
Per quel che riguarda me, invece, posso tranquillamente affermare che – nel modo di pensare, di vivere e di comportarmi – mi sento «a casa» quando vengo in Italia!
In molte mie canzoni l’ho scritto: l’idioma còrso non sarebbe ridotto in questo stato, senza le «attenzioni» ricevute dalla Francia in questi due secoli.
Se fossimo rimasti genovesi (o pisani) la nostra lingua sarebbe oggi molto più vitale, come succede in Sardegna e Sicilia!
Intendi se la Corsica avesse partecipato al Risorgimento? ma non tutti gli «idiomi regionali» sono vivi allo stesso livello, in Italia: vedi il friulano rispetto al ligure, ad esempio…
Il genovese si parla meno del còrso, effettivamente… e tuttavia, sono convinto che legami più stretti con la Toscana avrebbero fatto bene alla moderna lingua còrsa: anche in Sardegna, dove alcuni dialetti (almeno a Nord) sono molto affini con la lingua della Corsica, l’«idioma locale» si è preservato molto più che da noi.
Lo Stato italiano, con ogni probabilità avrebbe lasciato «più integra» la nostra parlata locale, come è successo per il Siciliano. Non possiamo sapere se ci saremmo maggiormente «italianizzati» rispetto al lingua attuale.
In Corsica, almeno fino al XIX secolo, esisteva la lingua “del popolo” accanto a quella “in Crusca” (italiano accademico) parlata dagli intellettuali.
Anche il moderno còrso potrà avere un suo ruolo, nella nuova società dominata dal francese… deve solo trovare una sua collocazione.
Pensa anche all’utilità che il còrso può avere ancora oggi per comunicare con l’Italia: conosci il programma radiofonico MEDITERRADIO – ideato da Petru Mari e oggi portato avanti da Petru Luigi Alessandri e Jerome Susini? Anche su CO abbiamo dedicato un articolo a questa bellissima trasmissione (https://www.corsicaoggi.com/sito/la-famiglia-delle-radio-sorelle-su-mediterradio-si-allarga-nuovamente-a-malta-e-tunisi/)
Durante il programma, còrso e italiano sono utilizzati indifferentemente per comunicare, mentre da Malta e dalla Tunisia (come da Sicilia e Toscana) partecipano con la lingua italiana…
Petru Mari lo conoscevo bene, ma non mi ha mai inviato al suo programma… E conosco bene anche Jerome Susini.
Vediamo molta spontaneità nella modo in cui vivi, Jérôme: seminari, festival, concerti… sei la “prova vivente” di come si possa utilizzare il proprio talento per mantenere vivi i legami culturali fra Italia, Francia, Corsica… e il mondo intero!
Infatti, non finisce qua: dal 1992 collaboro con Marcel Pérez (che dirige l’Ensemble Organum) girando per America ed Europa. Con lui, ho scoperto il Tantum Ergo, la musica antica e sacra: il Canto beneventano, l’antico romano, il mozarabo e le antiche liturgie olandesi e spagnole.
Il canto “antico romano” nasce dopo Costantinopoli, è quasi bizantino… la sua musica era come le vecchie icone ortodosse, in un certo senso: come ad Atene oggi, dove certe particolarità sulle partiture non sono chiare, e dobbiamo fare un lavoro di interpretazione su “timbri” e gli “appoggi” della voce.
Non sappiamo come cantassero allora, ma la ricerca storica ci aiuta a colmare certe “lacune” a riguardo.
Ne riscopriamo il senso… ancora oggi, si sono preservate delle vestigia di questi canti, nella tradizione orale.
Ha delle radici in oriente, questo «canto antico romano» ?
Era italiano, come il canto Beneventano.
Nato intorno al 1100, assomigliava al coro bizantino di Atene, con partiture parziali, timbri e appoggi differenti. Non sappiamo come cantassero all’epoca, ma cerchiamo di leggere e interpretare la musica, analizzando le antiche partiture e riscoprendone così il senso, trovando le sue vestigia anche nel moderno canto orale: e pensare che le prime liturgie cattoliche nascono intorno al X secolo e sono state tramandate con «scrittura neumatica»!
Pittura scultura, Jazz, canto popolare, scenografia… sono davvero a 360° i tuoi interessi!
Per fortuna sono riuscito a creare a Pigna questo milieu culturale molto «denso», seguendo il lavoro di mio padre (con cui ho solo 20 anni di differenza) e che ho sempre aiutato e accompagnato ovunque.
Ho incontrato tantissima gente da tutto il mondo: in un piccolo paese di appena 100 anime si possono fare davvero tante cose, si può avere un «centro del mondo» anche qui!
Quando fai un concerto con altri musicisti rendi possibile il “fare e inventare”, crei delle convergenze! un tempo esisteva solo il «Convento chiuso in cima alla Montagna», con i suoi gioielli nascosti: due figure epocali come Tommaso d’Aquino e Giordano Bruno hanno coltivato la propria conoscenza in luoghi del genere!
Lo stesso Leonardo da Vinci, deve il suo nome a un paesino misconosciuto della Toscana.
La grande città non è una necessita, anzi: nel tuo piccolo paese hai le tue relazioni consolidate, i tuoi contatti, hai più tempo per gestire le cose… è una forma di vita differente. La vicinanza del “contadino” e del mondo agreste porta spesso ispirazione.
Ringraziamo ancora Jérôme Casalonga per il tempo che ci ha dedicato, per il suo entusiasmo e la sua simpatia… sicuramente, sentiremo ancora parlare su CO di questa figura esplosiva!
Alessio Vic Stretti
Laureato in "Conservazione dei Beni Culturali" presso l'Università di Genova, il suo amore per la Corsica nasce nel 2005, dopo aver girato ogni angolo dell'isola in cerca dei suoi tesori naturali e artistici. La sua poesia in lingua corsa «Una preghèra da Genuva à l'isula bella» (presentata al concorso “Tropea, onde mediterranee” del 2009) e la sua Tesi di Laurea «L'architettura in Corsica e le regioni tirreniche fra l'Alto Medioevo e il XIV secolo» (2007) appaiono sulla rivista online A Viva Voce diretta da Paul Colombani.