Cos’è il Referendum del 17 aprile e le modalità di voto per gli italiani in Corsica

By Redazione Apr 6, 2016

Secondo l’ultimo censimento INSEE in Corsica nel 2010 risultavano residenti 4.200 cittadini italiani, ma per i residenti nell’isola iscritti all’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero (AIRE) non sono conosciuti i dati aggiornati, dato che la condizione per votare all’estero per i cittadini italiani è proprio essere iscritti all’AIRE.

Riguardo a questo referendum, il Consolato italiano di Marsiglia (da cui dipende la Corsica dopo la chiusura di quello di Bastia dove è rimasta una “antenna consolare”) mette a disposizione tutte le indicazioni a questo indirizzo e in evidenza sulla propria home.

Ma su quale tema gli italiani andranno a votare?

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Il prossimo 17 aprile si svolgerà in Italia un referendum riguardante il rinnovo delle concessioni di estrazione di gas e petrolio sottomarine entro le 12 miglia dalla costa.

Il referendum, nato non da una raccolta firme popolare ma dall’iniziativa di alcune regioni d’Italia, nel dibattito politico italiano è stato caricato di significati che hanno spesso fatto perdere di vista il reale quesito al centro della consultazione, che vogliamo invece ricordare: si chiede se i cittadini vogliano permettere di rinnovare le concessioni delle piattaforme marine già in essere entro le 12 miglia dalla costa quando tra alcuni anni queste scadranno, oppure se permettere di rinnovare le concessioni di queste piattaforme fino al naturale esaurimento dei giacimenti stessi.

Chi voterà  esprimerà dunque la volontà chiudere quegli impianti tra il 2016 e il 2018 anche se ancora potenzialmente sfruttabili; chi invece vuole che essi restino in funzione fino all’esaurimento del gas o degli idrocarburi disponibili voterà no o non andrà a votare, dato che se meno del 50% dei cittadini si esprimerà, il referendum non sarà valido e ciò equivarrebbe a una vittoria dei no.

La stampa nazionale della Penisola ha denominato la consultazione “Referendum sulle trivelle”, anche se in realtà il referendum non riguarda alcuna trivellazione: gli impianti in oggetto sono già operativi da molti anni (alcuni da oltre 40), e si tratta dunque di tubi già innestati nel fondale marino. Non si sono registrati in questi impianti incidenti degni di nota, anche se il comitato per il Sì (dunque contro il rinnovo delle concessioni) ricorda che il rischio è sempre presente. Così come del resto è presente il rischio di incidenti con le petroliere, nel caso il greggio venga importato via nave. Non si parla in alcun modo dei tratti di mare fuori dalle 12 miglia, dove è consentito e sarà ancora consentito cercare nuovi giacimenti.

La preoccupazione dunque è che una vittoria dei “sì” porti alla perdita immediata di circa 11.000 posti di lavoro, a una perdita di 7 miliardi di euro annui di diritti di sfruttamento che lo Stato e le Regioni ricevono dalle compagnie, a un mancato sfruttamento di risorse disponibili (soprattutto gas metano più che petrolio) e non dia alcun impulso all’uso di fonti energetiche alternative ma anzi incentivi l’importazione di idrocarburi e combustibili fossili dall’estero.

La soluzione potrebbe essere una progressiva riduzione dell’uso degli idrocarburi in favore di fonti pulite – come il metano, che viene estratto dalla maggior parte dei giacimenti sottomarini oggetto del referendum (85%) – o le fonti rinnovabili. Importante però notare che il referendum non dà alcuna indicazione sulla politica energetica futura dell’Italia. Parla solo di fine delle concessioni di quei giacimenti, ma questo non significa che il metano o il petrolio non estratti saranno sostituiti da energia prodotta da fonti rinnovabili, ma semplicemente compensati da una maggiore estrazione da giacimenti sulla terraferma o aumentando l’importazione di greggio dall’estero.

Al di là della decisione o meno di far chiudere in anticipo quegli impianti di produzione, ciò che sarebbe probabilmente saggio fare, sarebbe mettere in atto politiche energetiche nazionali, ove non già presenti, ed europee, per permettere di meglio gestire la situazione di dipendenza dal nordafrica o dalla Russia, zone che negli ultimi anni hanno dato prova di forte instabilità politica. L’Unione europea attualmente non sembra in grado di promuovere una simile politica comune in grado di mettere d’accordo gli Stati membri, che procedono in ordine sparso.

Così come hanno proceduto singolarmente anche Francia e Italia nel rivedere i propri confini marittimi, secondo alcuni opinionisti per questioni legate proprio ai giacimenti sottomarini più che alla pesca, suscitando molte polemiche soprattutto da parte italiana. Confini che riguardano anche Sardegna, Toscana, Liguria e Corsica, dove in alcuni punti la distanza tra le sponde italiana e còrsa è ridottissima.

Il mare è una risorsa preziosa, da tanti punti di vista, e chi vive su un’isola o vicino alle coste lo sa più di tutti. Ma proprio perché è una risorsa preziosa è importante informarsi con attenzione e pretendere che le scelte che si fanno ad esso siano chiare, lungimiranti, condivise e che cerchino di mettere d’accordo il rispetto dell’ambiente con le esigenze energetiche che permettono alle nostre società di avanzare e garantire benessere.

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