Le praterie di posidonia sono una specie endemica del Mediterraneo, e lungi dall’essere marginale, poiché giocano un ruolo importante nella storia del nostro clima. Queste alghe captano e catturano il biossido di carbonio. Per comprendere questo fenomeno, gli scienziati della Università di Corte hanno effettuato una cinquantina di carotaggi, perforazioni che permettono di prelevare un campione di sottosuolo marino. Gli scienziati hanno in particolare prelevato il sistema radicale delle posidonie, chiamato “matta”.
Lo studio di questa materia organica consente di fare un salto indietro nel tempo di 8000 anni nella storia delle temperature, ha spiegato Gerard Pergent, professore e ricercatore all’Università di Corte.
“Noi studiamo dei resti di posidonia che hanno svariate migliaia di anni, che si sono conservati in maniera relativamente corretta perché si tratta di un luogo soggetto a scarsa putrefazione. Il carbonio è ben conservato nella “matta” delle posidonie, in cui viene catturato senza diffondersi nell’atmosfera”.
I risultati di questa esperienza unica permetteranno di far comprendere meglio il clima, dando risposta a diverse questioni. Come fanno le posidonie a catturare il carbonio? Non rischiano esse stesse di rilasciarlo nell’ambiente circostante? Questi sono i timori di Nicolas Tomasi, Funzionario incaricato presso il Parco naturale marino del Capo Corso.
“Il problema attuale, è che vi è uno stock di carbonio accumulato da oltre 6000/8000 anni dentro queste praterie di posidonia, e che queste specie vengono deteriorate – specialmente dagli ancoraggi, si pensi al traffico delle imbarcazioni da diporto che fa danni relativamente importanti a queste “matte” – provocando così un rilascio del carbonio.”
Le posidonie catturano più CO2 che una foresta
Le posidonie catturano 6,6 tonnellate di CO2 per ettaro all’anno, ossia 5 volte più di una foresta. In Corsica, questa vegetazione rappresenta 53.000 ettari, un patrimonio inestimabile che bisogna sorvegliare, dal momento che le acque si riscaldano.
In effetti, con l’aumento delle temperature, i subacquei notano da oltre una trentina di anni la comparsa di specie tropicali nelle acque del Mediterrano, come il barracuda o il granchi blu. Quest’ultimo è abitualmente stanziale nell’Oceano Pacifico e nel mar rosso. Mangiatore di branzini e orate, il granchio colonizza il litorale corso, ed è stato avvistato specialmente nella zona di Bastia.
Tempeste invernali
L’impatto del riscaldamento climatico sull’ambiente marino di esprime anche attraverso la frequenza e l’ampiezza, sempre più grandi, delle tempeste invernali. Questo fenomeno, unito all’innalzamento del livello del mare, è causa di numerosi danni. Secondo il G.I.E.C., Gruppo di Esperti Intergovernativi, il livello dell’acqua potrebbe aumentare da 90 cm a 1 mt nel 2050.
I mari e gli oceani assorbono il 50% del biossiodo di carbonio presente nell’atmosfera. Questa captazione della CO2 rende l’acqua più acida, e mette in pericolo i molluschi e le larve di numerose specie ittiche.