Calvi, Ajaccio, Porto Vecchio… nomi francesi? Genovesi? Facciamo chiarezza

 Alcuni lettori ci hanno chiesto di adottare  forme “còrse” per la toponimia cioè, tanto per capirci, di scrivere « Isulacciu » invece di « Isolaccio ». Ovviamente ognuno scriverà come più gli piace. Vorrei semplicemente esplicitare la mia scelta personale riprendendo il contenuto di una petizione indirizzata alcuni anni fa da me stesso e da alcune personalità (tra cui Pascal Marchetti e Marie-Jean Vinciguerra) ai responsabili della regione còrsa, quando qualcuno all’interno dell’esecutivo regionale propose realmente di rendere il nome còrso quello ufficiale.

La mia risposta è semplice: dato per scontato che ovviamente nessuno, io meno di tutti,   è contrario alle due forme già presenti su quasi tutti i cartelli stradali, ritengo che le forme « Isolaccio » ecc. sono storicamente còrse quanto quelle del tipo « Isulacciu »  e la loro eliminazione sarebbe dannosa per la nostra isola. In che senso?

Dal punto di vista teorico bisogna capire che si tratterrebbe di una rottura con una tradizione plurisecolare. Sarebbe quindi paradossale che proprio quando la Corsica cerca di ritrovare le proprie radici queste vengano messe in discussione. Da alcuni si fa rimprovero alle forme tradizionali di essere « toscane » (leggi « italiane »), cioè frutto di un’imposizione esterna;  la Repubblica di Genova avrebbe  imposto con la forza la propria lingua alla nostra isola. Ma per (s)ragionare in questo modo bisogna essere davvero poco informati sulla storia dell’area italoromanza alla quale appartiene la Corsica. Prima di tutto conviene notare che la lingua di Genova, il genovese, è molto più distante dall’italiano  di quanto lo sia il còrso. Quindi avremmo il caso strano di un colonizzatore che avrebbe imposto al colonizzato un idioma più simile a quello del colonizzato che al proprio. Infatti nell’area geografica italoromanza una lingua di comunicazione, una koinè, si è diffusa col tempo nei vari stati (e prima ancora presso i vari utenti) che l’hanno adottata uno dopo l’altro. La base di questa lingua era certo il toscano, ma non solo, la sua storia essendo abbastanza complessa. Di certo sappiamo che è stata adottata senza conquiste, che il suo uso ha preceduto in Corsica la conquista genovese, è stata considerata dai còrsi come la loro lingua, e che il suo uso ha proseguito a lungo dopo la conquista francese. Possiamo essere sicuri che data la vicinanza geografica e linguistica sarebbe stata adottata da un ipotetico stato còrso indipendente, è stata quella della Corsica di Paoli e quella  del Regno anglo-còrso. Sarebbe quindi paradossale che gli stessi còrsi rinneghino  la loro tradizione  e distruggano ciò che dovrebbero ringraziare Genova e la Francia di avere rispettato  (tra l’altro fa ridere leggere qua e là che le forme Ajaccio, Porto Vecchio ecc. sarebbero « francesi »).  D’altronde anche i nostri cognomi sono italiani. Dovremmo costringere gli Alessandri a chiamarsi Lisandri ? L’eredità culturale e linguistica della Corsica nelle sue varie espressioni rappresenta l’elemento essenziale della nostra identità e dobbiamo rispettarne i vari livelli d’espressione.

Ma questi cambiamenti, proposti da qualcuno, andrebbero anche incontro a difficoltà di tipo pratico. Dal punto di vista turistico, siamo sicuri che i turisti abituati a sentir parlare di Propriano e Calvi riconosceranno Prubbià, Carbi ecc. ? Gli stessi còrsi rischiano di sentirsi disorientati quando usciranno dalla loro regione. E Ajaccio ? L’attuale pronuncia francese è comprensibile soltanto se uno si riferisce alla vecchia ortografia italiana Ajaccio (attualmente in italiano Aiaccio). Dobbiamo spiegare al mondo intero che la città che ha dato i natali a Napoleone deve ormai pronunciarsi (alla francese) Ayatchou o Ayaxiou?. L’Ajaccienne diverrà l’Ayaxienne e i nostri aiaccini canteranno « Dans Ayaxiou ville sacrée » ? Poi, per non scontentare nessuno, si proponeva di lasciare la scelta ai comuni che vorranno conservare il vecchio nome. Ma allora potremmo avere Castellu di Rustinu accanto a Valle di Rostino, San Gavino di Tenda e San Gavinu di Fiumorbu ecc. ? Altre amenità  legate a questa sindrome antiitaliana (in senso linguistico)? C’è chi scrivendo in còrso della capitale della Gran Bretagna scrive « so statu a London » per non scrivere Londra. Pasquale Paoli, svegliati, i tuoi discendenti non vogliono più usare il termine che usasti per tutta la vita nelle tue lettere (scritte in italiano) e sicuramente nella conversazione quando parlavi còrso.  Dovremo bandire allora Parigi e Nizza ? Ricordo un incauto scrittore (e non « scrivanu », disgraziati) che dovendo parlare della Croazia non sapendo come fare risalì al latino e venne fuori con un « Croatia », impossibile in còrso (ricordiamo che il latino « gratia » dà in còrso « grazia », come … in italiano). Se avesse pensato  ad aiutarsi con l’italiano avrebbe scritto, adattando,  « Cruazia ».

Sono scemenze che farebbero ridere se non rischiassero di deturpare il viso della nostra isola. Rispettiamo la nostra storia nelle sue varie sfaccettature. Non si costruisce nulla su una tabula rasa. E, ciliegina sulla torta, possiamo aggiungere che la volontà di far coincidere (cosa d’altronde impossibile) la scrittura e la pronuncia, testimonia di una mentalità cartesiana, cioè… francese!

 

Paul COLOMBANI

 

Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

By Paul Colombani

Còrso, linguista, direttore della rivista còrsa in lingua italiana "A Viva Voce".

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8 thoughts on “Calvi, Ajaccio, Porto Vecchio… nomi francesi? Genovesi? Facciamo chiarezza”
  1. Concordo al 100% con quanto scritto dal Prof. Colombani. Purtroppo dopo 250 anni di propaganda francese, aiutati dalla politica aggressiva fascista, è difficile leggere contributi equilibrati come questi da parte di un Corso.

  2. Buongiorno, forse il periodo ‘pisano’ ha lasciato molto di più come lingua, favorito dalla distanze comunque ravvicinate fra l’isola e la Toscana rispetto a quello genovese? In ogni caso il dialetto genovese è assolutamente incomprensibile per un italiano. Piacevolissimo da ascoltare (Cruêza de mä di De Andrè, è un disco in dialetto capolavoro) ma per il mio orecchio molto distante dal corso. Anche, ad esempio nell’uso della ‘x’ frequente nel genovese, ma che in Corsica non mi pare aver mai trovato mentre in Sardegna è assai diffuso.
    Grazie

  3. Articolo molto interessante. Io sono sardo ma il mio cognome ha chiare origini corse. Ritengo assolutamente normale che sia i toponimi che la lingua corsa siano legati ai passati rapporti con Genova e Pisa. Anche noi sardi abbiamo subito le stesse influenze, inoltre nella mia città, Sassari, si parla un dialetto molto simile al corso, anche se non come il gallurese!

  4. La riflessione del prof.Colombani è chiarissima e corretta.L’italiano fu lingua accettata uniformemente in Corsica senza eliminare le varianti locali.Questa è la storia reale,il resto sono solo forzature!

  5. La riflessione dl prof. Colombani, con la quale concordo pienamente, mi riporta ad una tra le tante (purtroppo) stranezze e ambiguità che spesso noi italiani notiamo quando veniamo in Corsica. E contrariamente a ciò che leggo a volte anche su Corsica Oggi, gli italiani parlano della Corsica. Ne parlano, si trasmettono informazioni e hanno ben presente dove sia da sempre. Mi riferisco ad esempio ad un altro articolo che invece non condivisi, dove si faceva riferimento a delle fantomatiche cartine appese nelle aule delle scuole italiane dove la Corsica non appariva per niente nel Tirreno (??). Ma di questo scriverò in un commento a parte nell’articolo in questione. Credo invece che la Corsica sia più conosciuta dagli italiani rispetto il contrario. Il perché risiede a mio parere in un insieme di fattori storici e politici. la vicinanza degli italiani alla Corsica la si nota proprio dal livello di partecipazione dei tanti italiani (e mi permetto, di ammirazione e amore per la vostra terra) che in meno di un anno stanno dimostrando al vostro progetto divulgativo ed editoriale. Ritornando al bell’articolo del prof. Colombani, tutti noi italiani abbiamo notato l’improvviso apparire dei tanti cartelli delle toponimie doppie delle località corse (E’ una mia scelta di non usare volontariamente l’accento grave sulla o, chiarisco il mio essere toscano e quindi non ne ho bisogno). Parlando con altri amici che spesso si recano in Corsica, restammo perplessi sulla scelta della doppia toponimia. D’istinto (ma a volte l’istinto ci azzecca), sentimmo odore di antitalianismo (ancora purtroppo non sopito e a volte alimentato proprio dalla Francia). E’ stata quella del doppio nome una scelta sbagliata per le stesse ragioni meglio esposte dal prof. Colombani. Una scelta che va proprio nella direzione opposto a quella dell’identità nazionale corsa. Mi sembra proprio di vedere “ridere sotto i baffi” il governo francese a questa scelta, che allontana sempre di più la Corsica dalle sue radici vere, e perché no, completava quell’opera di annientamento che è quasi al suo termine (e qui un plauso alla vostra iniziativa) di ciò che resta dei legami con l’Italia. Anche in Italia, in tutte le regioni, compresa la toscana, ci sono due o più modi di pronunciare il nome di una località. Quella storica e quella dialettale. Ma pochissimi in Italia vorrebbero il doppio nome storico e dialettale accanto l’uno all’altro. Immaginiamoci la città di Prato, con un secondo cartello con su scritto Praho (perché è così che i pratesi chiamano da sempre la loro città), oppure Milano con scritto accanto Milan ecc… Non c’è da confondere le scelte ragionevoli delle regioni o delle province autonome italiane (che in Italia ci sono e sono rispettate, non come in Francia), che hanno si i doppi nomi, ma accanto al nome italiano (imposto) c’è quello “storico”, quello originale. E quindi il problema della Corsica casomai è quello di San Fiorenzo, con il nome imposto dalla Francia in Saint-Florent dal 1848. E non è scrivendo un segnale stradale in San Fiurenzu che si risolve il problema, ma lo si cristallizza.

    1. Che l’Italia rispetti le minoranze linguistiche ed etniche è vero solo in parte.
      Lo fa (oggi) col Sud Tirolo perché è stata costretta a farlo per motivi ben noti che non sto qui a spiegare.
      Non lo fa con la Sardegna, che ha subito (e subisce) un processo di italianizzazione forzata paragonabile a quello di francesizzazione subito dalla Corsica.
      Anche volendo sorvolare sulle grottesche traduzioni dei toponimi sardi operate dai piemontesi (su tutte: l’Isola di “Malu Entu” diventata “isola del Mal di Ventre” quando sarebbe bastato notare l’evidente radice latina per capire che “malu entu” può significare solo “vento cattivo”), c’è un problema di fondo: nei quattro secoli di dominazione aragonese-spagnola il sardo, oltre a essere la lingua materna di gran parte della popolazione, veniva impiegato in ambiti ufficiali accanto al catalano e al castigliano (e per ambiti ufficiali intendo riferirmi a delibere dei consigli comunitativi, atti notarili, registrazione di battesimi, matrimoni e morti,…).
      Nel 1720 col Trattato di Londra la corona del Regnum Sardiniae passa ai Savoia i quali nel 1760 impongono l’italiano come unica lingua ufficiale dell’isola.
      Una lingua che cessa di essere impiegata in ambito ufficiale, che viene estromessa dalla scuola (l’insegnamento, anche quello elementare, doveva essere fatto rigorosamente in lingua italiana) e dalle istituzioni pubbliche finisce per forza di cosa per morire perché a lungo andare viene a mancare la trasmissione da una generazione all’altra.
      E l’Italia, purtroppo, ha fatto alla Sardegna quello che la Francia ha fatto alla Corsica.

      1. Quand’è che i sardi sella finiranno con questa storiella che sono una colonia dell’Italia?
        1 I Savoia se lo hanno imposto a voi l’italiano, lo avranno imposto anche ai continentali avendo a Genova, Torino, Aosta ecc. ovviamente un loro dialetto/lingua e non l’italiano: serviva una lingua per capire hanno scelto quella che in tutto il mondo culturale ufficiale elitario e da sempre usavamo in questa parte di mondo cioè l’Italiano!
        2 Avete fatto per primi l’Unione Italiana
        3 Ci avete imposto i vostri re
        4 Ci avete imposto i vostri politici e non pochi e di peso nella storia italiana
        5 Ci avete imposto 3 presidenti della repubblica (se non sbaglio nessun’altra regione ne ha avuti cotanti)
        6 Potete scegliere il bilinguismo ma la cosa non sfonda, diciamoci la verità, perché il sardo tra voi sardi non si capisce quale usare tra i tanti che ci sono!!!

  6. I Ticinesi la cui costituzione all’Art. 1 recita: “Il Cantone Ticino è una repubblica democratica di cultura e lingua italiane.” non si sognerebbero mai di rifiutare la propria Cultura Italiana, eppure continuano anche a parlare la loro Lingua locale, spesso insieme alle altre Lingue ufficiali in Svizzera. I Ticinesi sanno che senza l’appoggio alla Lingua Italiana probabilmente oggi non avrebbero neppure la loro Lingua madre; una Lingua locale può sopravvivere solo se può integrare nel tempo nuovi vocaboli che può donare solo una Lingua con un certo bacino di parlanti. I dialetti italiani ancora molto parlati nonostante quello che si pensa, pescano ovviamente dall’italiano. Per quello che mi riguarda io e tutti i siciliani che conosco parliamo sia l’Italiano che il siciliano. Forse che come in Ticino e in Sicilia l’accostamento e non il rifiuto della Lingua italiana ha garantito l’esistenza anche delle Lingue locali?. Per il Corso il discorso è un pò diverso: questo non può alla lunga acquisire dalla Lingua Francese in quanto molto diversa e alla lunga snaturerebbe il Corso, prima riducendolo a un misto franco-corso e poi facendolo sparire del tutto. Con l’Italiano sarebbe diverso: come dimostrano le altre parlate Italo-romanze il Corso può sopravvivere benissimo se si accosta all’Italiano anzichè allontanarlo. Grazie dell’attenzione.
    P.S. Neanche i Ticinesi hanno molta… simpatia per l’Italia e gli Italiani.

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