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Vir Nemoris

Una nuova edizione del Vir Nemoris di Giuseppe Ottaviano Nobili Savelli, con traduzione francese a fronte di François-Michel Durazzo e presentazione dello storico Marco Cini.

Il Vir nemoris è un’opera famosa (almeno per gli addetti ai lavori) in versi latini di Giuseppe Ottaviano Nobili Savelli (Sant’Antonino 1742- Firenze1807). Il Nobili Savelli era  cugino di Pasquale Paoli. Rifugiatosi a Oneglia poi in Toscana dopo Ponte Nuovo, conobbe, tra l’altro, Alfieri e Metastasio (durante un viaggio a Vienna). Fece ritorno in Corsica nel 1790 richiesto dallo stesso Paoli e lo seguì nella creazione del Regno anglocòrso. Partì di nuovo per l’esilio in Toscana dopo la fine di quel esperimento e morì a Firenze il 27 maggio 1807.

L’opera prende le mosse dalla vita  (e la morte) del sacerdote  Domenico Leca, detto Circinellu, di Guagno, anche se non viene mai nominato. Il protagonista rifiuta di arrendersi  dopo Ponte Novo e giura sull’altare di Guagno di non sottomettersi finché la patria non sarà liberata. Il Leca muore durante l’inverno 1771-1772, dopo essere stato ferito (soluzione più probabile secondo Cini) o avvelenato, il cadavere viene rinvenuto in una grotta nel 1772, nel Fiumorbo.

Cini inserisce le fortune del  Vir Nemoris nel dibattito intellettuale còrso e nel contesto politico della Corsica dell’Ottocento, prima e della prima metà del Novecento. Nella sua  presentazione egli spiega come l’opera scritta dopo Ponte Nuovo non fu pubblicata durante la vita dell’autore  ma   nel 1846, ad opera di Niccolò Tommaseo che la inserì nel suo volume sul Paoli dietro raccomandazione di Salvator Viale. Il Viale aveva ricevuto il manoscritto dal nipote di Savelli. La pubblicazione/ traduzione del Tommaseo ha, secondo Cini, un aspetto militante. Essa rappresenta l”incontro tra il filone liberale cattolico italiano e il filone còrso del Viale. Con  il Guerrazzi, dice Cini,  si ha un’altra strumentalizzazione politica, Circinellu non è più  un campione dell’indipendenza ma l’eroe dei tirannicidi. L’epoca fascista poi vede  tre edizioni del Vir Nemoris, una di Alberto  Gianola, due di Mario Roselli Cecconi (nel 1930 e  nel 1931). La traduzione del Gianola viene pubblicata sull’ Archivio storico di Corsica, la rivista diretta da Gioacchino Volpe. Si tratta di un lavoro scientifico, più vicino al testo, essendo quelle di Roselli Cecconi più militanti. Infatti la propaganda fascista aveva fatta propria la lettura di Tommaseo interpretando la rivoluzione nazionale corsa come la prima guerra d’indipendenza italiana.

Segue alla presentazione di Cini un’introduzione del traduttore  Durazzo. Egli spiega che si tratta di una traduzione ormai integrale che si avvale di un accurato studio dei manoscritti (il testo originale essendo irreperibile). Anche Durazzo commenta le varie versioni. Per esempio secondo lui Tommaseo  toglie alcuni aspetti che potrebbero apparire paganeggianti, attenuendo alcuni aspetti antigenovesi. Su un punto tuttavia non si può essere d’accordo con Durazzo, quando a proposito dei versi

Heu! qui tandem alto geminum mare congerit alveo
riuus, utroque tumens, surgentibus impleat undis
terram exsecratamPyrenes inter et Alpes.

in una nota asserisce: “Savelli imagine que les eaux refluant dans l’axe fluvial qui  relie l’Atlantique à la Méditerranée, d’un côté la Garonne, de l’autre le canal du Midi, pour inonder la France. Cette imprécation rappelle le Déluge biblique (Genèse, 6-9), et le châtiment identique infligé par Zeus aux hommes de la race de bronze, d’après le récit d’Ovide (Mét, I), contrairement au passage de la Divine Comédie auquel Tommaseo fait allusion dans sa note: “Imitation de la sauvage imprécation de Dante contre Pise”, qui ne fait aucune référence à un quelconque anéantissement par l’eau”.

Eppure egli dà un riferimento esatto al passo della Divina Commedia (Inferno, XXXIII, 79-84); come può dire  che Dante non  parla di annegamento? Ma lo ha letto? Ricordiamo le invettive contro i Pisani:

 Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese là dove ‘l sì sona
poi che i vicin a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona !

E’  certo che per un uomo di cultura italiana come il Savelli, il riferimento a Dante è evidente. Tommaseo aveva ragione.