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Superare i preconcetti

Francescu Maria Perfettini è un benemerito del còrso. Oltre ai servigi resi favorendone l’insegnamento durante la sua carriera di ispettore scolastico, egli fu anche ed è tuttora un militante intento alla difesa dell’idioma isolano. Ricordiamo in proposito l’arguta novella “Ch’ella vi sia cuncessa” (1980) e il pungente “Dizziunariu di i scumpientti” (1994) che elenca, indicandone la giusta corrispondenza, i più spudorati sfarfalloni lessicali che invadono il quotidiano eloquio dei Còrsi. Nel suo ultimo contributo (1) F.M. Perfettini prende di mira i comunissimi preconcetti dei compaesani circa la natura e le possibilità espressive del còrso, dialetto o lingua che dir si voglia. I suoi bersagli sono certi tali linguisti dilettanti o da strapazzo che egli bolla con l’ironico appellativo di sapientoni.

L’Autore insorge dapprima, e a ragione, contro l’idea di una lingua concepita come semplice nomenclatura, e cita al riguardo Tullio De Mauro : il quale ritiene che un simile concetto elimina ogni ricerca sulla vera natura della lingua stessa. Gli è purtroppo, come ben rileva Perfettini, che i predetti sapientoni còrsi considerano la grammatica le parole e i dizionari francesi come verità rivelate, cadute dal cielo, cui ogni altra lingua deve servilmente adeguare le proprie strutture.

Più avanti, a rintuzzare l’accusa della diversità del còrso che si osserva passando dalla “Banda di dentro” alla “Banda di fuori”, ovvero da nord a sud, il Nostro afferma che ciò non intralcia per niente l’intercomprensione. Gli usi grammaticali ed anche fonologici, egli dice, non si differenziano, se non in irrilevanti particolari. Deplora quindi che “il carattere massiccio dell’intercomprensione sfugga completamente ai pseudosapienti nostrani, preferendo questi descrivere con abbondanti precisazioni il loro sgomento allorquando vennero confrontati per la prima volta a variazioni di vocabolario o a divergenze di realizzazioni che investono irrisorie minuzie !” Soggiunge l’A. che a costoro “le differenze anche leggere saltano all’occhio, mentre sembrano ovvie le similitudini”. Giudizio assai pertinente questo, che – aggiungiamo noi – si applica a pennello anche alla relazione dal còrso al toscano o all’italiano : cosicché non vi furono mai ostacoli alla comprensione tra i nostri paesani e i lavoratori “lucchesi” di una volta, come non ce ne sono tra i Còrsi odierni che sanno la propria lingua e i turisti provenienti dalla Penisola.

 

Fra i più triti preconcetti l’A. annovera l’aprioristica specializzazione delle singole lingue, la grammatica semplicistica indotta dall’insegnamento del francese a scuola, la priorità sistematicamente riconosciuta alla lingua scritta rispetto alla lingua parlata, e dimostra con brio ed efficacia quanto sia illusoria la presunta corrispondenza simmetrica dei termini da una lingua all’altra. Cumu si dice “plafond” in córsu ?… Il richiamo di nozioni basilari della linguistica moderna fa da opportuno sostegno alla dimostrazione. Tornando così sull’annoso dibattito “lingua o dialetto”, e dopo avere sottoscritto all’opinione del Martinet e di altri sull’estensione del titolo di lingua ai dialetti e alle cosiddette “lingue regionali”, l’A. espone un punto di vista da cui non possiamo non dissentire, non solo per la sbrigativa equiparazione di semplici parlari a lingue letterarie, ma anche per l’inclusione del toscano fra i vari “dialetti” derivati dal latino e diventati lingue romanze “in seguito a rapporti di forza”. Perché se questo è vero della lingua d’oïl, imposta con le spade e i cannoni della monarchia francese, non è affatto vero del toscano, liberamente scelto e adottato per il prestigio dei suoi poeti e scrittori, da tutti gli storici stati e staterelli dell’area italiana, comuni, repubbliche e regni, compreso l’ultimo venuto ed effimero : lo stato paolino.

 

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Sulla questione ancora controversa della grafia del còrso, F.M. Perfettini dichiara attenersi per lo più alle proposte del 1971 (“Intricciate e Cambiarine”), pur ritenendo che vi si possano talvolta introdurre delle semplificazioni. Saggia posizione, sopratutto se si pensa a certi scriventi che vi introducono ulteriori complicazioni, con l’evidente scopo di allontanarsi sempre più dalla grafia dell’italiano. Altro tema ricorrente, quello dei neologismi di aggiornamento. Qui ancora plaudiamo al parere dell’A. : “Perché non dire, ad esempio, aghju pigliatu l’ascensore e non aghju pigliatu l’ascenseur ? Perché non dire acciarinu anziché bricchè ?” Ed è vero che queste parole starebbero bene in còrso, come già stanno in italiano, viva e vegeta la prima, antiquata la seconda : acciarino corrispondente al briquet di vecchio significato, ma certamente capace di un nuovo impiego in còrso con il valore di “accendino”. Lampante riprova, quindi, di quanto dice più avanti l’Autore : “È più facile corsizzare partendo dall’italiano che non dal francese”.

 

Anche la ridondanza lessicale da ascrivere al microregionalismo, rimproverata spesso e volontieri al còrso dai soliti sapientoni, viene ribattuta dal Perfettini con l’ausilio di eruditi riferimenti al francese e all’inglese. Per lui, sarebbe la mancata codificazione del còrso a far cadere in discredito presso tanti begli spiriti la favella dei loro antenati ! Cita in proposito “i sempiterni esempi” dei sinonimi regionali del tipo cane / ghjacaru o petrusellu / pursemu. Ora non sfuggirà a nessuno che se ghjacaru è parola còrsa rispettabilissima, cane gode, oltre l’uso di Corsica, di un’estensione vastissima anche altrove. Similmente l’italiano petrosello, dato ormai come “antiquato” o “regionale”, coesiste pur sempre con prezzemolo assurto all’uso generale : il che vuol dire che la “codificazione “ si è fatta anche nella nostra area linguistica. Tutto sta a prenderne atto, senza scomodare il Vaugelas…

 

La seconda parte del fascicolo è dedicata alla pedagogia del còrso e, più generalmente, delle lingue. A riassumere le conclusioni dell’A., tutte ispirate dall’esperienza quanto da un’attenta riflessione, si potrebbe, come fa lo stesso, erigere da precetto il noto proverbio italiano “la pratica val più della grammatica” (del resto citato dall’A. nella versione còrsa). Precedenza, quindi, all’orale sullo scritto, insegnamento impartito direttamente nella lingua, con i vari accorgimenti quivi indicati o suggeriti, e valutazione ragionata delle progressive capacità acquisite dai discenti.

 

L’esposto termina con l’augurio che si statuisca un bilinguismo che, a differenza di quanto s’è visto nelle precedenti generazioni, non sia più introverso, ma rivendicato e valorizzante. Diciamo anche noi con l’Autore : Ch’ella ci sia cuncessa ! Anche se siamo consapevoli che una lingua dominata resiste alla glottofagia della lingua dominante soltanto avvalendosi dell’uso congiunto della lingua codificata e non dominata che le è più vicina (vedi il “joual” chebeccano del Canada e il valdostano d’Italia, entrambi appoggiati sul francese di Francia, come l’alsaziano e il sud-tirolese sul tedesco di Germania e d’Austria, il lombardo ticinese di Svizzera sull’italiano, e via discorrendo).. Se persisterà a volersi isolare, ignorando il proprio gruppo linguistico e rimanendo privo del puntello che questo costituisce, il còrso, ahimè, nonostante la fede e la passione di paladini come Francescu Maria, non potrà risalire la china di un accelerato declino.

Pascal MARCHETTI

 

(1) Francescu Maria Perfettini, Le corse au-delà des idées reçues, Cervioni, ADECEC, 2002.