Opinioni

Si comincia a ragionare

di Pascal Marchetti

 La pubblicazione, avvenuta di recente, de “La Lingua Còrsa” di Olivier Durand  (1) potrebbe agevolare di molto il palese riconoscimento della vera natura e dell’esatta situazione dell’idioma isolano. Difatti l’eminente linguista (di casa nostra, nonostante il cognome), in un accurato studio di ben quattrocento pagine, infrange il perseverare diabolico dell’errore di comodo escogitato e a lungo istillato da una progenie di benpensanti.   Nell’approfondita Introduzione il Nostro esamina i vari “punti di vista” da cui il còrso viene considerato. Al riguardo è divertente, seppur pietosa, la rassegna delle citazioni di autori nostrani cautamente rifugiatisi nel mito della “direttissima discendenza dal latino” oppure nella finzione dell’indistinta e parificata parentela “mediterranea”, in cui talvolta compare, affiancato però dallo spagnolo, anche “l’italico” (si badi bene, non mai l’italiano). I più audaci arrivano perfino alla menzione del “toscano”, purché gli vengano debitamente anteposti nell’elenco il provenzale, il rumeno o che so io. Alludendo poi alla strategia “viscerale” in atto «fondata sulla speranza (o la fede) che un domani la lingua còrsa esista finalmente non solo nei libri e nella scuola, ma anche e sopratutto nella pratica quotidiana dei Còrsi », l’A. rileva che tale strategia «non sta dando alcun risultato incoraggiante» (p. 113). Di qui la tentazione, ora sentita da molti ma confessata da pochi, di riappropriarsi l’italofonia e il Durand così interroga : «Tale ricongiungimento non offrirebbe quindi, per parlare francamente, concrete possibilità di migliorare la situazione del còrso ?» (ibid.). Riteniamo senz’altro che la risposta debba essere affermativa.
 
Ragguagli

 Per quanto diverse, infatti, possano essere le situazioni, come non pensare in proposito al Lussemburgo ove convivono il lussemburghese, il tedesco e il francese; all’elvetico Canton Ticino ove vengono usati il ticinese e l’italiano e, com’è di regola in Isvizzera, non sono ignote le altre lingue della Confederazione; alle valli franco-provenzali del nordovest d’Italia ove è ufficialmente ammesso il francese insieme all’idioma locale e all’italiano ? Questi gli esempi più adeguati, e non la benedetta Catalogna e la “sorella” Irlanda cui, con strana megalomania  alcuni Còrsi allenati alla rivendicazione tentano di immedesimare la loro terra, noncuranti del fatto che la prima si avvale di una lingua storica unificata, quindi non “polinomica” e  praticata da diversi milioni di persone : il còrso può arrivare a tanto ? – e la seconda, ormai totalmente anglofona, conserva il gaelico a titolo puramente simbolico : è questo che si vorrebbe per il còrso ?   Le recenti dimostrazioni degli studenti universitari e liceali a favore della lingua còrsa (cioè della rosa dei vernacoli) si sono svolte davanti ai cancelli delle prefetture, ed erano dunque rivolte allo Stato. Ovviamente nessuno ha insegnato a  questi giovani che le varietà del còrso colloquiale e quotidiano  non sono mai state oggetti di proibizione da parte del potere civile. La sola lingua dei Còrsi che sia stata autoritariamente esclusa per legge dagli usi ufficiali è la lingua di Pasquale Paoli, della letteratura patriottica, dei Ragguagli, della cronaca nazionale nei secoli, del Dio vi salvi ReginaAnche se l’agitazione studentesca  non sbaglia il bersaglio, è chiaro tuttavia  che la rivendicazione stessa è scarsamente motivata quando viene ignorata la storica lingua veicolare dei Còrsi. Giacché il còrso colloquiale procede da quest’ultima per le strutture basilari, sintattiche in particolare, per il patrimonio lessicale e quindi per la formazione delle parole, quelle esistenti e quelle da creare, per i modi di dire, locuzioni, figure stilistiche, proverbi… Rimossa una lingua veicolare, vero è che la colloquiale può certo conquistarne il ruolo, e andare avanti con moto proprio. Non mancano gli esempi. Tuttavia questo processo per il còrso non si è verificato né si verificherà mai. E ciò perché lo spazio di “lingua a tutti gli effetti”, agognato e sognato per la nuova lingua corsa, non solamente non si è potuto conquistare (fra l’altre cause, per la conclamata “polinomia”), ma è stata invece la lingua francese a invadere il residuo campo colloquiale che il còrso era riuscito a preservare.
 
Lingua e dialetto
 
   Ha dunque ragione il Durand nell’asserire che «lo scenario attuale, non molto promettente, sembra preannunciare una graduale museificazione dell’idioma» (p. 117), e nel rilevare che ‘fare còrso’ a scuola  è oggi esattamente come ‘fare nuoto’  (non diremo noi “esattamente” perché chi ‘fa nuoto’ potrà poi nuotare…). Una valutazione obiettiva concernente la qualità e i risultati della rete didattica del còrso è ancora da venire. Comunque è risaputo che dalle prove del concorso di abilitazione all’insegnamento del còrso, come dal programma della relativa laurea,  è severamente escluso l’italiano. È una situazione oltremodo paradossale perché, nota il D., se «da una parte l’entità corsoromanza riceve [nel 1974] lo statuto di lingua, regionale ma pur sempre lingua, da un’altra essa  non cessa per questo di essere quello che era prima e che rimarrà comunque: un dialetto italiano (con tutto il rispetto per la nozione di dialetto). Ma non solo: il dialetto più vicino alla lingua letteraria italiana (…) Diversi intellettuali faranno una vera e propria malattia di tale consapevolezza » (p. 74) E risiamo ai benpensanti accennati di sopra. È ancora in atto la « manipolazione ideologica» (p. 17) intenta ad allontanare il còrso dall’italiano nell’opinione della gente «approfittando largamente dell’insipienza della popolazione » ? (ibid.). Purtroppo sì, ma l’efficacia va scemando : «il pubblico corsofono, per via principalmente del turismo (italiani in Corsica ma oramai anche còrsi in Italia) e della televisione, ha sempre più l’opportunità di constatare di persona l’evidenza » (p. 74). L’insistenza nell’affermare, come fanno Tiziu, Caiu e Semproniu, per motivi ideologici, politici, o semplicemente di opportunità personale, che “il còrso non c’entra niente con l’italiano”, ha i giorni contati. I primi a non mandar giù simile fandonia sono proprio i francesi, e se fingono di crederci ancora lo fanno solo per un riguardo ai connazionali còrsi.
 
Trilinguismo
 

Al termine dell’arguta dimostrazione, dedita a suggerire i mezzi di illustrazione della  lingua còrsa in futuro (se questo futuro ci sarà, e sta ai Còrsi la risposta) Olivier Durand, che «continua a schierarsi con quanti rifiutano di gettare la spugna » dichiara di «concordare pienamente con quanti sostengono che l’azione glottoecologica in Corsica sarà vana finché si insisterà a tenerne fuori l’italiano » (p. 119). Egli auspica l’ufficializzazione dei due insegnamenti paralleli del còrso e dell’italiano, il che non comporterebbe il pericolo di diluizione del primo nel secondo, ma agevolerebbe una separazione ponderata dei due idiomi. Dalla saggia e serena conclusione, ci piace riportare questa ‘botta e risposta”: « Perché noi còrsi dovremmo essere trilingui ? Perché questo vuole la nostra storia. Perché questa è la nostra identità » (ibid.). I susseguenti capitoli della documentatissima e precisa descrizione grammaticale confermano l’assunto con la forza degli esempi tratti dalla vox populi. 
     

Pascal Marchetti
 
(1) Olivier Durand, La Lingua còrsa, Brescia, Paideia Editrice, 2003. In vendita alla Libreria       Album di Bastia.