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PATRIOTI NEL RISORGIMENTO, La Corsica al centro delle questioni internazionali nella prima metà del XIX secolo

Pubblichiamo questo testo della dottoressa Pierotti che si ricollega, sebbene marginalemente, con la Corsica dell’Ottocento

Carlo Alberto di Savoia nel 1830 scrisse che suo cugino, il Duca Carlo Ludovico di Borbone, allora sovrano del minuscolo Stato lucchese, cospirava per diventare Re d’Italia1 Aveva ragione. I documenti che ho rintracciato durante le mie ricerche concorrono in toto verso questa soluzione della Questione nazionale durante il Primo Risorgimento. Avrò modo, con questo breve articolo, di chiarire le posizioni che sostengo.
Nel 1832 Pietro Janer, livornese, patriota mazziniano amico di Domenico Guerrazzi e Giuseppe Mazzini, venne espulso dal Granducato di Toscana perché considerato un elemento pericoloso. Andò per un certo periodo in sud America a combattere per la libertà di quei popoli e lì conobbe e diventò amico fraterno del patriota Fiorenzo Galli di Carrù, il fratello mazziniano del più celebre Celestino, il piemontese inventore del potenografo (prototipo della macchina da scrivere). Fiorenzo Galli in quegli anni, insieme al conte Claudio Linati di Parma si adoperava per sostenere quei valori di Libertà.
Entrambi poi, Janer e Galli, proprio in quel periodo raggiunsero Londra. Qui Fiorenzo si sposò con Luigia Dunn, una ricca e colta signora borghese della capitale inglese, cugina del celebre pittore David e con lei nel 1833, proprio a Londra, ebbe una figlia, Adelaide Galli Dunn, di fede protestante.
In quegli anni il Duca lucchese Carlo Ludovico di Borbone ospitava moltissimi rifugiati politici nel suo Stato tra cui i celebri Luigi Carlo Farini, poi ideatore della Società Nazionale, e i Bonaparte. Tra questi sia i figli di Luciano Bonaparte, fratello dell’Imperatore Napoleone I° che il nipote Luigi Napoleone Bonaparte, futuro Napoleone III.2 Tutti questi personaggi all’epoca erano ardenti mazziniani. Il duca Carlo Ludovico, peraltro in odore di Protestantesimo, frequentava assiduamente il British Museum a Londra. Era Egli stesso un celebre collezionista e qui conobbe quei numerosi patrioti, di ogni colore politico (democratici sia mazziniani che conciliatoristi) esuli nella Capitale inglese. Tra questi Antonio Panizzi, ma anche Beolchi, Miglio, il fuoriuscito piemontese Rolandi, celebre editore, convertitosi come Panizzi al Protestantesimo, ed il Vate democratico di stampo repubblicano Gabriele Rossetti, del tutto possibilista in quegli anni verso una soluzione monarchica dell’Unità nazionale.
C’è un documento che suffraga queste frequentazioni all’Archivio di Stato lucchese: l’editore Rolandi scrisse una lunga lettera3 nel 1839 all’amico lucchese ed ex collaboratore del British, lo scultore e scrittore Pier Angelo Sarti, mazziniano, che proprio quell’anno con la moglie, una signora protestante inglese, si era nuovamente trasferito in modo definitivo in Patria, dopo travagliate, supponiamo, situazioni politiche. Era egli un famoso scultore, amico di Antonio Canova e del celebre artista inglese Sir Robert Westmacott, che a sua volta aveva studiato con Canova a Roma. L’Editore Rolandi gli inviò, con tutti “quelli del British”, i suoi fraterni saluti e, per l’occasione, il Vate Rossetti volle mandare personalmente, di suo pugno, una breve lettera, unitamente allo scritto del Rolandi. L’editore piemontese chiese al Sarti di salutargli “l’ottimo Carina” a nome dell’intera brigata. Il riferimento è al dottor Alessandro Carina, direttore dei Bagni di Lucca, in sintonia sia col Duca lucchese che con il principe Demidoff, che ai Bagni a lungo soggiornò. Era cugino, il Demidoff, dei Bonaparte ed uno degli uomini russi più influenti in ambito internazionale.
Carina doveva in tutta evidenza essere stato spesso a Londra ed essere stato testimone diretto delle frequentazioni del suo Duca. Sarà coinvolto, molti anni dopo, nel 1859, nelle questioni inerenti l’annessione della Toscana al Regno Italiano, condividendo la politica cavouriana e sostenendo direttamente il celebre Statista piemontese attraverso la collaborazione e la sua personale amicizia con l’agente e Patriota anglo- italiano, Giovanni Bezzi d’Aubrey, che a Lucca era di casa e grande amico di Camillo Cavour.4
Già nel 1836 abbiamo la certezza che Pier Angelo Sarti fosse ritornato a Lucca. Infatti aveva scritto per l’occasione una pubblicazione sull’inondazione del fiume Serchio, avvenuta proprio quell’anno, in autunno.5 Sembrava inquieto, il Sarti. Scrisse nel 1836 un poemetto dal titolo “La Reggia del’Impostore”, dove sembra affibbiare tale definizione al Duca Carlo Ludovico . Si tratta in questo caso solo di una supposizione. Se così fosse possiamo pensare che il Duca fosse nelle sue scelte incostante, anche se le accuse che qui piovono da parte del Sarti sono mosse in particolare ai frequentatori della Reggia dell’Impostore, e dai riferimenti potrebbero essere i suoi stessi concittadini o gli stessi patrioti mazziniani ospiti del sovrano lucchese.6 Due anni dopo, nel 1838, sempre Pier Angelo Sarti pubblicò a Londra, per l’editore Thomas Brettell un altro poemetto, altrettanto emblematico, “La Reggia dell’Invidia”.7 In questo caso la Reggia è certamente quella inglese e qui si scagliò contro il mazziniano intransigente Angeloni, uno dei primi patrioti a giungere esule in Inghilterra, dopo la fine della prima Repubblica Romana. Angeloni diventò amico di Giuseppe Mazzini e sostenne in ambito internazionale un’accesa disputa contro Manzoni, Botta e Levati, giungendo così a scardinare gli stessi interessi politici italiani. Come ricordava all’Angeloni il Vate Gabriele Rossetti, la pregiudiziale repubblicana alla questione dell’Unità nazionale doveva essere messa in quel frangente da parte e dunque era necessario collaborare con personaggi del calibro di Manzoni, Botta e Levati, di stampo cattolico liberale, proprio per sostenere la questione nazionale nel loro divenire. Non si trattava solo di un discorso culturale il suo, ma politico. Discorso abbracciato anche dallo stesso Sarti. Cosa stava accadendo in Italia in quel periodo?
Il Duca Carlo Ludovico proprio quell’anno invitò il patriota Antonio Panizzi, già nominato direttore del British Museum, nel suo Stato, procurandogli un lasciapassare britannico, in quanto Panizzi era cittadino britannico. Carlo Alberto di Savoia a Torino glielo aveva fatto avere, su sollecitazione del duca lucchese suo cugino.8  L’ufficialità voleva che Panizzi andasse a riordinare la preziosa biblioteca del Duca Carlo Ludovico in Lucca poiché, in qualità di direttore del British Museum, Panizzi offriva tutte le garanzie possibili per svolgere bene quel compito. Il Patriota prevedeva, secondo i documenti rintracciati, di raggiungere anche i familiari in Patria, a Reggio Emilia,9 in quel suo tour, ma fu pesantemente intimidito nel suo passaggio a Genova, dopo il soggiorno Torinese, dal Governatore di quella città ed invitato a rientrare in fretta a Londra. Egli questo fece e il Duca Borbonico ci scherzò sopra con una lettera, definendo Panizzi un “fifone”, cosa che come ben sappiamo non era certamente. Fu, quello del Duca, un semplice tono goliardico. Dovette di fatto prendere atto che tali spostamenti non andavano facilmente a compimento.
Giuseppe Mazzini di suo pugno, per l’occasione, scrisse a Genova alla Madre, Maria, chiedendole se nello Stato Sabaudo i Re erano uno oppure due.10 Anche da tale affermazione capiamo che l’amicizia di Panizzi col Duca lucchese doveva avere significati che andavano ben oltre il riordino bibliotecario.
Nel 1839 Carlo Ludovico di Borbone non intendeva probabilmente più “risolvere” la Questione nazionale da solo, ma aveva cercato il concorso di Carlo Alberto di Savoia, degli stessi mazziniani, e dei cattolici conciliatoristi. Tra questi il sacerdote aristocratico lucchese, padre Gioacchino Prosperi, vissuto per ben quattordici anni a Torino e frequentante sia Casa Savoia che Casa D’Azeglio.11  Era Egli un padre ex gesuita, poi approdato ad altro ordine religioso12  , una volta uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1826,13 e divenuto Predicatore errante. Rimase sacerdote fino alla sua morte, avvenuta in Lucca nel 1873. Proprio in quel 1839 fu incaricato dal Duca lucchese di particolari missioni corse, che avrebbero dovuto venir descritte in una pubblicazione del 1844 dal titolo “La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola”. 14  Ho usato il condizionale perché in realtà di missioni nel libro non si parla affatto. Tale pubblicazione si occupa, viceversa, dell’Isola e dei suoi abitanti, è in forma epistolare ed indirizzata al fraterno amico torinese, padre Gioacchino De Agostini, conosciuto in Piemonte quattordici anni prima, collega dell’autore nei vari licei dello Stato Sabaudo. L’editore del libro è una garanzia sulla comunione del Prosperi con gli ambienti rivoluzionari ed insieme bonapartisti del momento: l’editore Fabiani di Bastia.
L’interlocutore De Agostini, che fu professore dei principali uomini piemontesi che fecero il Risorgimento, tra i quali Quintino Sella, cui rimase legato per tutta la vita, lascerà l’abito talare nel 1848 per sposare l’anno successivo la figlia di Fiorenzo Galli, Adelaide Galli Dunn, cui ho fatto cenno, convertitasi al cattolicesimo per l’occasione e trasferitasi con lui a Vercelli. Divenne dunque genero del noto Patriota fraterno amico, ribadiamolo, del mazziniano Janer. Avranno De Agostini e Adelaide Galli Dunn due figlie e il De Agostini, che già era un affermato erudito, scrittore e giornalista, collaboratore di Angelo Brofferio sul “Messaggere Torinese”; in corrispondenza con tutta la nomenclatura piemontese e non solo; che aveva fondato col fratello del generale Cadorna “Il Carroccio” di Casale Monferrato, di stampo liberale; corrispondente dello stesso Vincenzo Gioberti, rimarrà nel 1860 vedovo della moglie e con due figlie minori da crescere. Gioacchino De Agostini molti anni dopo chiederà a Quintino Sella di salutargli a Londra “quelli del British”. Gli aveva personalmente conosciuti? Evidentemente sì. Aveva condiviso negli anni quaranta del XIX secolo le loro ansie, le avversità cui erano andati incontro? Certamente sì. Egli rimase per tutta la sua vita un cattolico liberale ed in età ormai matura subì un processo per lesa maestà da cui venne prosciolto, anche a causa dei suoi trascorsi e della sua Fede politica.15  L’erudito giornalista, che a sua volta in Vercelli fondò giornali suoi, rilevando dalla Società degli azionisti il “Vessillo”, con lui chiamato “Vessillo della Libertà”, più tardi “Vessillo d’Italia”, aveva condivo con padre Prosperi ed altri patrioti della Penisola, compreso il celebre suocero Fiorenzo Galli, le innumerevoli questioni nazionali. Prosperi infatti, col beneplacito del suo Duca, nel 1844 venne fermato a Firenze perché considerato un prete rivoluzionario e poi rilasciato, dopo aver subito un procedimento. Portava con sé molto denaro e sembrò, per certi scritti che si portava dietro, una sorta di corriere che si spostava lungo lo Stivale.16  La Corsica in quel periodo fu sicuramente teatro di tentativi insurrezionali, anche di stampo mazziniano, certamente col concorso delle forze mazziniane. Non dimentichiamo le mire dei Bonaparte e del partito Bonapartista, operante in Corsica, i cui membri padre Prosperi avvicinò durante le sue trasferte missionarie, e che sono ricordati nelle sue lettere pubblicate. Queste frequentazioni peraltro continuarono, in via ufficiale fino al 1843, in via ufficiosa fino al 1846. Un documento rintracciato parrebbe sostenere anche in seguito, per ben nove anni, dunque fino al 1848. Senza contare, come ebbe a scrivere Egli all’amico De Agostini che “nel Porto di Ajaccio possono transitare e trovare spazio legni di una certa consistenza, trattandosi di un porto sicuro e capiente [questo il senso di un suo intervento in una lettera all’amico piemontese ]”.
Giuseppe Mazzini ancora nel 1862 da Londra si era recato a Lugano, il 26 agosto, intento a seguire i passi di Garibaldi, che il 29 fu fermato in uno scontro con i soldati regolari in Aspromonte. Pubblicò un opuscolo di solenne protesta, affermando che “La palla di moschetto regio che ferì Giuseppe Garibaldi determinò una lacerazione con l’ultima linea del Patto che s’era stretto, or erano due anni, tra i Repubblicani e la monarchia”.17  Questa frase mette in risalto una fattiva collaborazione tra forze politiche contrapposte, ancora nel 1860, quando stava per realizzarsi l’Unità nazionale.
Mi affido alla descrizione che il dottor Silvio Fioravanti ci ha lasciato in una sua pubblicazione per indicare gli abboccamenti di tali patrioti mazziniani in Lucca, nel 1840, che coinvolsero gli amici di Pier Angelo Sarti e dunque di Antonio Panizzi, Gabriele Rossetti e gli altri londinesi sopra citati. Si trattò di vicende che videro in prima linea anche i cattolico liberali. Di più. Coloro che si dichiaravano mazziniani erano in realtà cattolico liberali in senso stretto. La famiglia Pierotti che citerò e che Fioravanti cita era indubitabilmente cattolico liberale così come i luoghi di elezione degli stessi, dove si svolsero i fatti ascritti.
Voglio rendere perciò un dovuto grazie al lavoro encomiabile dello storico Silvio Fioravanti di Castelnuovo di Garfagnana che aiutano a chiarire quei fatti degli anni 1839-1844, in cui anche il sacerdote della mia tesi, padre Gioacchino Prosperi, si trovò coinvolto, non meno di Giuseppe Mazzini. In Pieve Fosciana i Pierotti sono all’epoca accesi rivoluzionari mazziniani. “Sul contributo che la Garfagnana ha offerto al processo per l’unificazione italiana si è scritto molto. Alcuni aspetti di notevole importanza e solo marginalmente trattati dagli storici sono emersi però dalle carte appartenute a Nicola Fabrizi e oggi conservate dall’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, a Roma presso il Vittoriano. All’Archivio Fabrizi che in tale sede è composto da oltre 5.400 carte, e che costituisce una fonte pressoché interminabile di dati, appartengono appunto le lettere in oggetto di questo studio. Si tratta di 31 dispacci, di lunghezza variabile, inviati dal garfagnino Jacopo Pierotti a Nicola Fabrizi, e quindi ci sottraiamo dal riproporre in questa sede un sunto – che breve non potrebbe essere – sull’influenza che egli ebbe nel processo unitario italiano in veste di cospiratore prima e soldato poi. Molto più problematica invece si è rivelata per noi la corretta identificazione di Jacopo Pierotti. La famiglia Pierotti di Pieve Fosciana era divisa in vari rami e i suoi più giovani esponenti furono assai compromessi nella rivolta liberale del 5 e 6 marzo 1831. Non solo, un caso di omonimia riguardava allora il nome di Jacopo Pierotti. Il primo era Jacopo figlio di Giovanni Antonio, nato nel 1801 a Pieve Fosciana, che dopo aver conseguito la laurea di medicina e chirurgia all’Università di Pisa si trasferì al Regio Ateneo di Modena e qui rimase fino al 1829. Prese parte nel 1831 ai moti rivoluzionari di Pieve Fosciana e fu accusato di tenere i più allarmanti discorsi sulle vicende di Francia del 1832 e di parlare con turpissime maniere, e colla più iniqua calunnia tanto di S.A.R. l’amatissimo nostro Sovrano Francesco IV d’Asburgo Este della Casa d’Austria, quanto dell’augusta Sua consorte. Fu colpito dal mandato di arresto per una pena pari a 15 giorni ma rifugiò fuori confine, in Barga ( allora come adesso provincia di Lucca, mentre allora Castelnuovo e Pieve Fosciana erano provincia di Modena). I suoi discendenti conservano ancora oggi il tricolore che sventolò a Pieve Fosciana nel 1831. Il secondo era Jacopo figlio di Sebastiano, detto Jacopetto, nato anch’egli a Pieve Fosciana nel 1808, laureatosi in Legge ed esiliato in seguito agli stessi eventi del 1831. Prese dimora a Borgo a Mozzano, territorio lucchese, e nel 1848 fu uno dei rappresentanti del governo Provvisorio della Garfagnana, fu poi eletto deputato della Garfagnana all’Assemblea nazionale di Modena per l’annessione al Regno Sardo. E ricordato come il più ardente liberale della Pieve. Il patriota di cui ci occupiamo è il dottore in Legge. I due interlocutori, Fabrizi e Pierotti, si scrivono in codice. Fabrizi è il fervente collaboratore di Giuseppe Mazzini, Capo della Lega Italica. Nel luglio 1839 Fabrizi, nel suo peregrinare tra Malta, la Corsica e Marsiglia, non mancò di fare tappa a Livorno dove avrebbe dovuto incontrare il Pierotti”. In quegli anni la signora Polissena Menotti, moglie del defunto Ciro Menotti, fungeva da vettore di fiducia. Un cifrario divenne il codice distinto delle lettere. I Menotti avevano in quel periodo in Lucca la loro dimora. L’amicizia tra i Menotti e i Pierotti traspare. Jacopo non manca occasione per confermare la propria stima per Polissena. Achille Menotti fece conoscere a Jacopo il marchese Tito Livio Zambeccari, figlio del noto scienziato di Parma Francesco, pioniere dell’aeronautica. Jacopo, fortemente coinvolto nella Legione Italica, incontra per la prima volta lo Zambeccari in Lucca nel 1840. Si apprende dunque, con tanto di particolari, che il marchese chiede espressamente la collaborazione del Pierotti e dei suoi. Anche Livio Zambeccari diverrà sempre più coinvolto nella Legione italica. Essenziale la lettera dell’11 aprile 1840 che così si pronuncia: “Martelli, che mi si dice tuo amicissimo, col mezzo del suddetto Luigi [Luigi Ghilardi patriota che morirà in sud America come combattente] aggiunge che si assumerebbe l’incarico di allestire nel suo paese [Corsica] mille uomini per la spedizione. Che ne dici di tali offerte? Saranno realizzabili?”. Nel 1841 si riparla dell’impresa e nel giugno 1842 era pervenuta al dipartimento degli Affari Esteri del Governo delle Due Sicilie che faceva cenno a una spedizione rivoluzionaria per fare insorgere l’Italia e che un certo Pacchiarotti piemontese, anch’egli in compagnia di altri. Si tratta di Luigi Pacchiarotti, anch’egli ex combattente in Spagna e segnalato dalla polizia insieme al Ghilardi per il coinvolgimento in questa spedizione rivoluzionaria.18  Trovare documenti inediti, grazie alla preparazione di una tesi, significa rileggere pagine della nostra storia con occhi nuovi, fotografando spesso scenari inconsueti. Da questo punto di vista non solo non dobbiamo negare il revisionismo, ma promuoverlo. Revisione significa rilettura, ossia lettura attenta, misurata, della storia. Perché nulla è per sempre, tanto meno la ricerca storiografica. Nel 1926 sulla rivista soppressa “Archivio di Corsica” diretta da Gioacchino Volpe Giovanni Gentile scrisse che se avesse ritrovato le carte di Nicola Cattaneo dei Cattaneo di Corsica avrebbe riscritto la storia d’Italia. Nicola Cattaneo era un noto Patriota corso, cugino dell’Imperatore francese, che con tutta la sua famiglia partecipò alle vicende nazionali italiane nel corso del XIX secolo. Morì a Lucca, località Sant’Alessio nel 1874 ed un suo fascicoletto è rintracciabile all’Archivio di Stato della cittadina toscana. Purtroppo non le sue lettere. Ritengo che le parole di Giovanni Gentile, in questo caso, possano fungere da suggerimento per tutti coloro che nel nostro Paese fanno e soprattutto faranno storiografia.
 
 

1 Augusto Mancini, Storia di Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, p.330.
2 Nicola Laganà, Da Menabbio a Benabbio, comune di Bagni di Lucca, edizione del gennaio 2007, pp. 203-204. L’autore fa riferimento alla precedente pubblicazione di B.Cherubini, I Bagni di Lucca, p. 184.
Archivio di Stato di Lucca, Regia Intima Segreteria di Gabinetto n. 65 (1834), Indice n. 293 (1834) protocollo n. 1148.
Rif. Rif. A Carlo Luciano Bonaparte e al di lui fratello Luigi Luciano.
3 Archivio di Stato di Lucca, legato Cerù, vol. 18, lettera di Gabriele Rossetti ed a seguire di Pietro Rolandi nel fascicolo in ordine alfabetico alla voce Rossetti.
4 Adriano Muggia, Giovanni Bezzi patriota dimenticato, Casale Monferrato 1970, pp. 60 e segg.
5 Roberto Pizzi, L’inondazione del 1836 in Metropoli, rivista cartacea del 22 novembre 2000, Lucca.
6  Pier Angelo Sarti, La Reggia dell’Impostore, Manoscritto di proprietà del dottor Roberto Pizzi di Lucca.
Particolare edizione pare mai pubblicata(1836)
7  Pier Angelo Sarti, La Reggia dell’Invidia, Londra editore Thomas Brettell. 1838.
8  Costanza Brooks, Antonio Panizzi letterato e Patriota, Manchester, Stamperia Universitaria 1931, pp. 85.86.
Luigi Fagan, Lettere di Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici italiani (1823-1870) Firenze, Barbèra 1880, pp. 130-139.
9  Giulio Caprin, L’esule fortunato Antonio Panizzi, Vallecchi Editore.
10 Ibidem
11  Elena Pierotti, Padre Gioacchino Prosperi, dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, Tesi di Laurea, Università di Pisa, A.A. 2009-2010.
Biblioteca Statale di Lucca, Manoscritto 1372, lettere di Gioacchino prosperi a Cesare Luccesini, particolare la n. 67 12 dicembre 1830 sul decesso del marchese Cesare D’Azeglio.
12  Monsignor Maccarrone, Il Concilio Vaticano I e il Giornale di Monsignor Giulio Arrigoni, Anno di pubblicazione 1969 (I richiami sono ad un frate francescano lucchese non meglio identificato che denunciò Monsignor Arrigoni al Prefetto di Lucca e che pubblicava per l’editore della Curia Guidotti).
13  Documento in mio possesso rilasciatomi dalla Compagnia di Gesù di Torino.
14  Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Bastia Fabiani Editore 1844.
1 5 Necrologio a cura di Achille Giovanni Cagna in “Il Vessillo d’Italia” 21 agosto 1873, Vercelli.
Lettere di Quintino Sella a De Agostini in epistolario (1866-1892) a cura di Guido Quazza.
Fondazione Sella, Biella, Carteggio De Agostini.
Carteggi Giobertiani a cura di Giovanni Gentile Palermo 1910 tipografia optima pp. 16-17.
Carteggio Gioberti-Massari e Lettere di Pier Dionigi Pinelli a Vincenzo Gioberti (1833-1844) a cura di Vittorio Cian, Roma, Vittoriano 1935 XIII p. XI proemio.
Molti sono i documenti rinvenuti su G. De Agostini.
16  Elena Pierotti, Tesi citata.
17  P. 80, Opere politiche Giuseppe Mazzini, Note Biografiche.
18  Scritto del dottor Silvio Fioravanti di Castelnuovo Garfagnana presente in Castelnuovo presso il Centro culturale del Comune medesimo che ho potuto scaricare in Rete.