Finalmente sembra che le cose si stiano muovendo e che le nostre proposte suscitino consensi. Riceviamo incoraggiamenti da varie parti e molti ci chiedono che cosa proponiamo in concreto. Ora vogliamo precisare che non abbiamo risposte pronte e comunque la nostra non essendo una rivista politica non possiamo e non vogliamo avere un programma preciso. Intendevamo soltanto aprire lo spazio per una discussione. Ci limiteremo a ricordare che conviene sempre diffidare dagli schemi troppo rigidi e che le decisioni vanno prese di volta in volta a seconda dell’evolversi della situazione.
Comunque ci sembra utile dare un esempio.
Dunque, il granducato fornisce l’esempio di un trilinguismo millenario. Ha avuto fino al 1984 due lingue ufficiali, il francese e il tedesco. Inoltre, a quella data il lussemburghese è stato dichiarato lingua nazionale. L’interessante per noi è che nonostante la situazione politica gli abbia conferito una importanza particolare, esso si avvale dell’appoggio delle altre due lingue, che sono ovviamente rimaste lingue ufficiali, e non si oppone ad esse.
Se passiamo poi ad esaminare l’attuale situazione vediamo che nell’uso quotidiano viene adoperato il lussemburghese, il francese e il tedesco rimanendo essenzialmente delle lingue scritte. Ma a scuola (tranne, ovviamente, alcuni corsi di lussemburghese) vengono insegnati il francese e il tedesco.
Infatti la scuola elementare si fa in tedesco, e anche il collegio, al liceo si passa al francese. Fino a sei anni i lussemburghesi studiano il tedesco, poi a sette anni iniziano lo studio del francese.(anche se l’insegnamento della Bibbia rimane sempre in tedesco).
I giornali si stampano sia in tedesco (per due terzi), sia in francese (un terzo), la pubblicità è per un terzo in francese, un terzo in tedesco, un terzo in lussemburghese. Ovviamente nel paese si leggono riviste sia tedesche che francesi, come vengono guardate le televisioni di entrambi i paesi (e, all’epoca delle parabole, anche di altri).
Dal 1945 la lingua della politica è quasi esclusivamente il francese, anche se i moduli ufficiali (come per esempio la dichiarazione dei redditi) sono bilingui (francese e tedesco), ma la lingua commerciale invece è il tedesco. Quindi il fatto che il lussemburghese sia lingua nazionale non significa che venga usato in tutte le circostanze della vita ufficiale ed economica.
La corrispondenza privata si fa essenzialmente in tedesco o in francese anche se non manca chi usa il lussemburghese. Ovviamente, come lo avevamo anticipato, si tratta di una situazione molto particolare, frutto di una storia diversa dalla nostra. All’origine il paese, più esteso, aveva una zona francofona e una zona tedescofona. La prima fa ora parte del Belgio, anche una parte del territorio tedescofono Šè passato alla Germania, ma la tradizione culturale bilingue è rimasta.
Non mancano però i punti di contatto e potremmo ispirarci almeno in parte a questa situazione. Tra l’altro è importante notare che i lussemburghesi, sebbene per motivi legati alla storia recente non provino in genere soverchia simpatia per iloro vicini germanici, non hanno immaginato di dare il bando alla lingua tedesca: ciò avrebbe per immancabile conseguenza di lasciarli soli e disarmati davanti al francese che li divorerebbe in pochi anni e segnerebbe una menomazione culturale ed economica.
La situazione nostra è diversa: il còrso non gode la bella salute del lussemburghese, e non si tratta soltanto per noi di mantenere ma di ricostruire. Ma è più che probabile che se accanto al còrso e al francese avessimo mantenuto l’italiano, esso ci avrebbe dato la dimensione necessaria e perciò proponiamo, sul modello del trilinguismo lussemburghese, di ridargli il posto che storicamente gli spetta. Perché‚ è vano negarlo, nel mondo moderno esiste una dimensione critica per le lingue al disotto della quale non si possono salvare: basta vedere in Svizzera il caso del romancio, lingua di cui nessuno desidera la morte e che sta scomparendo. Gli esempi contrari che vengono generalmente addotti non ci convincono: si tratta di paesi arretrati o di situazioni transitorie, oppure le statistiche sono semplicemente false. Riguardo ad alcune “piccole” lingue, il còrso ha il grande vantaggio di aver un grande fratello: sarebbe da folli non sfruttare questa possibilità.
Ultimamente l’Assemblea di Corsica, dimostrando di aver capito quanto la situazione si stia facendo grave ha deciso di creare commissioni in vista della elaborazione di un lessico còrso adatto alla vita moderna. Anche il nuovo presidente dell’Università di Corte ha dichiarato di voler affiancare a tutti gli indirizzi di studio un pool di specialisti di còrso.
Però bisogna tener sempre presente che tutto ciò sarà perfettamente inutile se non si farà nessun riferimento all’italiano. Come già abbiamo avuto modo di spiegare, una lingua non esiste se non ha uno spazio nel quale essa venga naturalmente utilizzata. Nel caso del còrso questo campo è stato finora quello della conversazione quotidiana e della letteratura ad esclusione degli utilizzi ufficiali e commerciali. Le richieste di ufficializzazione tentano di por rimedio a questa situazione, ma è da prevedere che non basteranno. Infatti, lasciando ora da parte il lato politico-ufficiale della vicenda, la promozione del còrso a lingua della tecnica e dell’economia incontrerà ostacoli insormontabili. Perché‚ bisognerà operare delle scelte impegnative: o si assumeranno in còrso parole e strutture francesi o inventate, danneggiando irrimediabilmente la fisionomia della nostra lingua, “sabirizzandola” in qualche modo e respingendone d’altronde inesorabilmente gli utenti verso la letteratura tecnico-commerciale francese, o si creeranno di sana pianta delle parole e delle strutture nuove che non avranno nessun riscontro fuori dei limiti della nostra isola, nei giornali economici, nelle riviste, nei vocabolari tecnici ecc., e, peggio, tra i nostri potenziali clienti, e allora nessuno la parlerà e anche in questo caso tutti si rivolgeranno al francese.
Al massimo, nel migliore dei casi, questa lingua artificiale potrà venire usata in qualche documento ufficiale e comunque sempre in modo limitato. Immaginano i nostri lettori una commissione territoriale che dovrebbe legiferare nel campo del vocabolario della medicina, dell’informatica, dell’economia, del diritto (o, perché‚ no, della filosofia, ecc.) Oltre ad essere impossibile la cosa riuscirebbe dannosa: il lessico creato ci starebbe sempre troppo stretto e ci troveremmo davanti a un dilemma, o mollare la presa e passare al francese o limitare le nostre attività al vocabolario disponibile. Allora si potrà veramente dire che per noi la lingua è diventata una gabbia. Perché‚ non si può nominare un’attività che non esiste, almeno potenzialmente, e, parimente, non si può svolgere un’attività che non si può nominare. Una lingua limitata genererà sempre una attività (economica, intellettuale ecc.) limitata. D’altronde a che pro creare una lingua che abbia rinnegato le proprie origini. La creazione di un còrso sganciato da ogni tradizione non ha senso. Non si capisce perché i fautori di tale soluzione non preconizzino semplicemente l’uso del francese. O ci collochiamo nel prolungamento della nostra storia o allora tanto vale parlare una lingua di grande diffusione, il francese per l’appunto, o ancora meglio, perché‚ no, l’inglese, il russo, il cinese, lingue di vastissima diffusione e di sicuro avvenire.
Dobbiamo dunque trovare un modo di espressione che ci consenta di spaziare per tutto il campo delle attività umane e insieme ridia vita al nostro idioma nell’uso quotidiano. Ciò può essere fatto soltanto accoppiando il còrso e l’italiano. Chi ha lavorato, almeno in parte, in italiano, ne ha fatto suo il vocabolario tecnico e astratto può proseguire in còrso, senza sentirsi spinto al disastroso code-switching, cioè il cambiamento di lingua a seconda dell’argomento trattato, in seguito al quale una conversazione iniziata in còrso finisce spesso in francese.
Inoltre il problema linguistico è solo parte di un problema più ampio che investe tutti gli aspetti della società còrsa tra cui quello economico. Ora si tratta di una difficoltà di non facile risoluzione. Perché‚ non solo non c’è ricchezza in Corsica ma difetta anche una classe economica moderna che sia in grado di crearla. Si sente dire che l’economia non è tutto, ed è vero, ma una cosa è controllarne lo sviluppo, un’altra condannarsi per sempre al sottosviluppo. Non si potrà fare a meno di competenze venute dal di fuori. Ora sappiamo benissimo che con tutti gli allogeni ad esclusione degli italiani la lingua di comunicazione diventa immediatamente il francese. Quando invece, nei nostri paesi, c’erano soltanto dei còrsi e dei lavoratori italiani non si sentiva una parola di francese. Introducendo imprese e lavoratori italiani si ricreer… un ambiente favorevole alla corsofonia la cui mancanza sta alla base dell’attuale fallimento.
Si tentano adesso di promuovere dei soggiorni di immersionelinguistica. Ma è ovvio che finito il soggiorno finito l’uso del còrso perché‚ tornando al mondo esterno il ragazzo ritroverà sempre un ambiente poco favorevole all’esplicazione delle nuove competenze appena acquisite. E’ questo il problema: l’acqua si è ritirata dal bacino e il pesciolino còrso sta annaspando. Quindi si devono usare tutti i mezzi per privilegiare la presenza in Corsica di investimenti e di immigranti italiani. E riguardo alle lingue solo un trilinguismo di tipo lussemburghese, adattato ovviamente alla nostra particolare situazione, potrà salvarci.
Paul Colombani