Opinioni

Lana caprina

 
Nel nostro numero 16 abbiamo riportato i termini della polemica che ha opposto l’estate scorsa esponenti dell’associazione ALICC (1) e alcuni iscritti al sindacato SNE(2) .
Ricordiamo che si trattava di fare il bilancio dell’insegnamento del còrso durante questi ultimi anni. Il suddetto sindacato credeva di poter constatare il fallimento della politica linguistica seguita finora e proponeva di assegnare un posto maggiore all’italiano “lingua di prossimità”. L’ALCC ribadiva invece la linea ufficiale mirante a creare una lingua autonoma(3).
Per conto nostro, non crediamo che il diffuso scetticismo riguardo ai risultati ottenuti dall’attuale politica sia soltanto da ascrivere, come ritengono alcuni, ad un giacobinismo congenito. O che l’obbligo fatto a tutti di studiare il còrso, la sua ufficializzazione nei vari campi della politica, della giustizia e dell’economia basterebbero a salvarlo. L’esempio dell’Irlanda, indipendente dal 1921 e dove, nonostante gli sforzi della politica ufficiale, non si è riuscito a ridar fiato alla lingua gaelica, ci ammonisce a diffidare da queste illusioni. Si può essere favorevoli o meno a questo tipo di misure, ma non è possibile credere che esse basterebbero a provocare un’inversione di tendenza. Solo riportando il còrso nell’alveo della lingua e della cultura italiana, con l’aiuto degli importanti mezzi tecnici, delle risorse pedagogiche, del vocabolario specializzato connessi così come del flusso economico che, con ogni probabilità, in futuro verrà dall’Italia, si può sperare di ridar vita al nostro idioma.
Sono anni che ci si accapiglia in Corsica per sapere se il còrso deve essere chiamato dialetto o lingua. Ora, si tratta della più assurda di tutte le discussioni, senza validità linguistica, lo stesso idioma potendo venire chiamato dialetto o lingua a seconda di come lo si consideri.
Più seriamente, i fautori della “lingua” si riferiscono a due pericoli. Prima di tutto ricordano che la definizione del còrso come dialetto è servita in passato a negargli l’applicazione della legge Deixonne del 1951 che si riferiva soltanto all’insegnamento delle “lingue” regionali. Come secondo argomento adducono che per i linguisti non esiste la parola dialetto, ma esistono soltanto delle “lingue”.
Il primo argomento non ci sembra che meriti nemmeno di essere discusso. La legge Deixonne non consentiva al còrso di essere insegnato? Ebbene la legge Deixonne era una cattiva legge, o piuttosto, diremo con maggior pacatezza, era una conseguenza dei pregiudizi dell’epoca. E’ stata cambiata, riposi in pace. Più impegnativo ci sembra il secondo argomento, anche se sembra poggiare su una tautologia: non esistono dei dialetti, esistono soltanto delle lingue, quindi il còrso è una lingua. E’ ovvio che se si accetta la prima parte della proposizione, la seconda non fa una grinza. Ma è poi vero che la linguistica moderna non riconosce l’esistenza dei dialetti?
Forse protestando contro l’uso di questa parola si hanno in mente le connotazioni negative che il francese le attribuisce. Insomma si vuol semplicemente ribadire che non esistono sistemi linguistici inferiori: ognuno di loro ha il lessico e la grammatica funzionali all’uso che se ne fa. Ma gli Italiani non hanno di questi pregiudizi. Chiamano dialetti il lombardo, il napoletano, il calabrese, il siciliano ecc. con le loro infinite varianti locali. Così fanno anche i linguisti. E alla parola non viene dato nessun significato negativo.
Invece, quando si parla, riferendosi al còrso, di “dialetto italiano”, si intende semplicemente reinserirlo nella sua famiglia linguistica(4). Esiste infatti un’area linguistica italiana divisa in varie aree secondarie: settentrionale, toscana, romana e meridionale. Ora, il còrso appartiene proprio a quest’area. Il còrso (o, se vogliamo, le varie sottospecie di còrso) è da collocare tra le parlate dell’Italia centrale e centromeridionale. Qui si tratta di una realtà assolutamente incontrovertibile riconosciuta da tutti i linguisti di qualsiasi origine che abbiano un minimo di serietà. Si può cavillare all’infinito su questa o quella parola, facendola derivare (molto spesso erroneamente) da altre lingue romanze (come il provenzale, lo spagnolo ecc.) o anche da altre lingue, è indubbio per chi abbia un minimo di conoscenze di dialettologia italiana e romanza che il còrso fa parte dell’area italoromanza. Perciò non ci sembra lecito, come alcuni ritengono di doverlo fare, tirare in ballo lo spagnolo o il portoghese: questa, a nostro parere, è la trappola che ci prepara chi ci vuole morti, ben sapendo che isolare il còrso dall’italiano significa ucciderlo.
Ma i vari dialetti hanno un rapporto più complesso con la lingua italiana. Questa è nata dal toscano, ma ha subìto poi un processo di elaborazione ad opera di scrittori ed umanisti. Ha poi influenzato i vari dialetti della propria area e ne è stata influenzata. Non si può quindi pretendere che essi siano delle semplici parlate neolatine. Infatti esiste un sistema linguistico italiano che comprende la lingua italiana e i vari dialetti. Di questo sistema il còrso fa parte.
Tutto ciò significa che senza l’italiano il còrso non esisterebbe così com’è. Se supponessimo, per un attimo, che lo spagnolo, il portoghese e le varie lingue romanze non fossero esistite, il còrso rimarrebbe pressappoco tale e quale (dico pressappoco per non scontentare nessuno, ma penso identico). Se una catrastrofe avesse impedito all’italiano di nascere, il nostro còrso non esisterebbe.
Esso, infatti, non si è sviluppato accanto all’italiano, indipendentemente da esso. L’azione dell’italiano (e di alcuni dei suoi dialetti) sul còrso è stata profonda, lo ha plasmato, non solo nel vocabolario ma fino alle strutture. Questa influenza è stata dovuta a vari fattori, tra cui sono da annoverare gli importanti scambi di popolazione (e non soltanto in epoca recente, come erroneamente ritengono molti Còrsi), il ruolo svolto in Corsica dall’italiano per secoli come lingua della religione (col latino, ovviamente), della cultura, della politica, del commercio. E ciò era vero anche ai tempi di Paoli. Perché bisogna dire e ripetere che la lingua della Corsica di Paoli era l’italiano. E non soltanto perché era una necessità, ma perché i Còrsi di allora consideravano l’italiano come la loro lingua. Ricordo, per esempio, una lettera di un ufficiale di Paoli che scriveva al Generale: “Il marchese de La Tour du Pin (cito di memoria, spero di non sbagliare il nome), mi ha spedita una lettera scritta in lingua nostra italiana”.
E’ incredibile che si debbano ricordare ai Còrsi di oggi cose che erano note a tutti fino agli anni ’60 di questo secolo: i poeti còrsi (e non soltanto i poeti) “toscanizzavano” volentieri, cioè parlavano, cantavano e scrivevano (se sapevano scrivere) mescolando il còrso con l’italiano (quando, ovviamente, non componevano direttamente in italiano).
Alcuni anni fa sono stati riportati su un disco i canti di prigionieri còrsi detenuti in Germania durante la prima guerra mondiale, raccolti da studiosi tedeschi. Ricordiamo che durante il primo conflitto mondiale la Germania non era alleata dell’Italia bensì in guerra con essa. Ebbene, viene fuori che questi Còrsi, pregati di cantare i canti del loro paese lo facevano molto spesso in italiano. E si badi bene che abbiamo a che fare con registrazioni, dunque sono da escludere errori di trascrizione da parte dei Tedeschi.
E come la mettiamo con la diffusione capillare nella vecchia Corsica di opere come i Reali di Francia, o della conoscenza a memoria (spesso da parte di analfabeti) di passi interi della Gerusalemme Liberata o dell’Orlando Furioso, come lo ha egregiamente ricordato il nostro collaboratore Lucien Antoni sull’ultimo numero di A Viva Voce? Così si spiega che oggi ci siano in Corsica cognomi come Gradassi, Sacripanti, Medori ecc.
E ancora, tutti sanno che nelle chiese còrse si predicava, si cantava, si pregava in italiano. Come si fa a pretendere una qualsiasi equidistanza tra il còrso, l’italiano e le altre lingue neolatine?
La verità è che per i Còrsi, almeno fino alla prima guerra mondiale, e spesso anche dopo, non c’era una separazione netta tra il còrso e l’italiano. Per loro, a seconda dell’argomento, si passava da un còrso stretto a una lingua sempre più vicina alla lingua italiana. Nella loro mente si trattava di vari livelli di una stessa lingua e non di due lingue diverse. Dire “questo è italiano non può essere còrso” non aveva allora nessun significato.
Ora, tutto ciò sarebbe di scarsa importanza se non avesse conseguenze tragiche: non può essere un caso se il còrso muore da quando è stato reciso il legame con l’italiano. Perché è vero che, come abbiamo detto, ogni sistema linguistico possiede un lessico e una grammatica funzionali al suo uso. E’ il caso del còrso, però negli usi arcaici o limitati che sono sempre stati i suoi. Da alcuni anni si è tentato di dargli la dimensione che gli manca, cioè di promuoverlo al livello di una lingua moderna di grande comunicazione. E’ questo il motivo di tutte le “novità” che hanno fatto tentennare il capo a tanti Còrsi. Ed è anche vero che la teoria linguistica insegna che ciò è possibile, ma, a nostro giudizio, si sta confondendo la possibilità teorica e la capacità pratica. Per vari motivi di cui abbiamo già fatto cenno il còrso non è riuscito a raggiungere questo livello nella coscienza dei Còrsi e nell’uso pratico. L’unica soluzione, a nostro parere, sta nella promozione del binomio còrso-italiano. L’italiano può darci la dimensione moderna di cui difettiamo, il còrso, arricchito al suo contatto, continuerà ad essere la lingua dell’uso quotidiano. Ciò non toglie che dovrà essere usato dai mezzi audiovisivi e che sarà insegnato, insieme all’italiano, nelle nostre scuole, come abbiamo il diritto ed anche il dovere di esigere.
Insomma il dilemma è questo: tentare di creare di sana pianta una lingua nuova (ed è la strada seguita finora col successo che tutti possono vedere), oppure tornare alla vera tradizione còrsa facendo camminare il còrso a braccetto con l’italiano e insegnare entrambi, ognuno in funzione dell’altro. La prima soluzione è una follia priva di ogni radice storica e affettiva, che non ha nessuna probabilità di successo, il cui risultato, oltre all’immancabile fallimento, sarebbe di isolarci, di farci irrancidire in una ostilità astiosa verso il mondo esterno prima di crollare e di scomparire. La seconda ci aiuterebbe a riannodare i fili della nostra storia. Ci darà, se adottata, una base sicura e un’apertura verso il mondo.
Quindi, cessiamo di litigare su questioni di lana caprina come la differenza dialetto/lingua, e diamoci da fare per trovare soluzioni realistiche ai nostri problemi. La soluzione nostra, la sola attuabile, è dunque a metà strada tra quella del SNE e quella dell’ALCC; sì al còrso, ma insieme con l’italiano.


Paul Colombani

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Note:
1-Associazione d’insegnanti di lingua e cultura còrsa.
2-Uno dei sindacati di insegnanti delle elementari.
3-Il comunicato dello SNE parlava, alludendo al còrso, di “dialetto italico”.
4-E’ commovente la cura con la quale alcuni parlano di dialetto “italico” per non dire italiano. Ma l’espressione “dialetto italiano” non ha nessuna connotazione politica. Il ticinese è un dialetto italiano anche se il Ticino è in Svizzera. 
Paul Colombani
29/12/2001