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Gli ecclesiastici còrsi

di Jean-Pierre Poli

Cronaca redatta sulla base di un intervento del 18 aprile 2009 al Convento di Corbara per il Convegno « Fede e cultura » ad opera dell’avv. Jean-Pierre POLI

Autore d’Autonomistes corses et irrédentisme fasciste (1920-1939), Ed. DCL, Ajaccio, 2007.

Petru Rocca, direttore della rivista A Muvra e leader indiscusso del movimento autonomista nel periodo tra le due guerre mondiali, cita nel suo Connais-tu la Corse ?1 i cognomi dei diciassette principali redattori del suo settimanale « corsista ». Tra di loro , quattro ecclesiastici: Dominique Carlotti, Tommaso Alfonsi, Antoine Saggesi et François Petrignani.

Per capire l’impegno dei suddetti uomini di Chiesa in questo movimento politico occorre ricordare brevemente la situazione della Corsica.

Dal punto di vista economico, si assiste dalla fine dell’Ottocento all’abbandono delle attività agricole tradizionali. I giovani emigrano in cerca di mezzi di sostentamento. Molti raggiungono l’esercito e l’amministrazione sul continente e nelle colonie. Tornano soltanto per le ferie o quando vanno in pensione. La Prima Guerra Mondiale, che ha mobilitato per quattro anni le rare forze vive della Corsica, ha portato questa situazione al parossismo, con i feriti, le vedove e gli orfani. Il tessuto economico e sociale della Corsica è totalmente distrutto e i suoi abitanti che per secoli erano vissuti all’interno di comunità solidali al ritmo dei lavori dei campi e delle feste religiose, si ritrovano in paesi destrutturati. Si può ben parlare d’ « Isula Persa », d’isola abbandonata.

La società còrsa nella quale i legami familiari e lo sguardo degli altri dettavano il modo di comportarsi, si trova confrontata con il mondo moderno e subisce un cambiamento del costume caratterizzato da un individualismo crescente e il regno del re denaro.

Al livello politico, è il trionfo del clanismo. L’eletto non è più il notabile del paese incaricato di rappresentare più in alto gli interessi di una comunità, ma colui che in cambio di un favore, d’un posto di lavoro o di denaro, compra i voti degli elettori. I sindaci sono ormai soltanto i rappresentanti locali di uno dei capiclan che può far eleggere nell’isola come senatore o deputato ricchi industriali o uomini politici francesi senza alcun legame con la Corsica, come l’anticlericale Emile Combe nel 1901. Gli ecclesiastici clanisti sono numerosi, reagiscono in funzione dell’interesse del clan sostenuto dalla loro famiglia, spesso senza tener conto degli interessi della Chiesa.

Nel campo culturale la Corsica è confrontata con una situazione paradossale. La lingua còrsa resiste e l’ispettore dell’Education nationale Biron constata (in una sua visita all’interno dell’isola nel 1932) : « E’ in còrso che si parla e che ci si chiama, è in còrso che il consiglio comunale delibera. E’ in còrso che il prete predica e confessa. Naturalmente i bambini giocano e litigano in còrso ». Tutti i còrsi che abitano nell’isola e la maggior parte di coloro che vivono fuori parlano il còrso, eppure numerosi intellettuali còrsi sono consci (per preoccuparsene o per compiacersene) che la parlata dei loro antenati è a rischio d’estinzione.

Un interesse crescente per la storia dell’isola e i suoi eroi dimostra che molti còrsi sono preoccupati per la soppravvivenza di una memoria che si diluisce nell’ambiente culturale ed educativo francese.

I còrsi sono consci di queste evoluzioni, ma sembrano per la maggior parte rassegnati ad assicurare l’avvenire dei loro figli educandoli da buoni patrioti francesi, che si esprimeranno in una lingua depurata da ogni traccia di « còrsismi ».

In opposizione con questa corrente dominante, e persuasi che la loro lotta per mantenere la religione ancestrale non può prescindere dal sostrato culturale in cui la fede è fiorita, gli ecclesiastici di A Muvra faranno della difesa della lingua un elemento determinante del loro impegno.

Il professore Fernand Ettori, nel Mémorial des Corses, ricorda che fino a metà Ottocento i còrsi usavano « una lingua mista » formato dal binomio italiano-còrso, lingua scritta e pubblica, lingua parlata e privata. Scrive : « al volgere del secolo l’italiano è già scomparso da un po’ di tempo sotto la penna dei notai e nella bocca degli avvocati, soltanto qualche vecchio prete di campagna continua a predicare nella vecchia lingua (…) La lingua còrsa si trova d’ora in poi sola nel confronto con il francese. La ripartizione secolare tra l’italiano e il còrso non aveva senso che trattandosi di due idiomi uno dei quali poteva essere considerato un dialetto dell’altro. Tra il francese e il còrso che appartengono a due aree linguistiche diverse della Romania, il binomio lingua-dialetto non significa più nulla. Peggio ancora, per la prima volta nella sua storia il còrso subiva la concorrenza sul piano dell’oralità di un’altra lingua, il francese, a partire dalle leggi scolastiche di Jules Ferry che cominciano a produrre i loro effetti verso la fine del secolo. (…) Rimasto solo di fronte al francese e privo del sostegno di una grande lingua di cultura il còrso non aveva altra prospettiva che scomparire o darsi lo statuto di lingua scritta in ogni campo espressivo. Fu l’intuizione geniale di Santu Casanova l’aver capito questo dilemma e l’aver operato di conseguenza »

Santu Casanova aveva fondato nel 1896 A Tramuntana, rivista polemica scritta in còrso . Coloro che saranno i suoi successori, dopo il 1920, all’interno della redazione di A Muvra, affermeranno che il problema linguistico non può essere disgiunto dai problemi politici e che la lingua còrsa è la chiave dell’identità del popolo. Una grande mobilitazione sui mezzi utili a salvare la lingua della tradizione inizia nelle colonne del settimanale, Tommaso Alfonso (che scrive sotto lo pseudonimo U Babbuziu, lo zio) e Dumenicu Carlotti (Martinu Appinzapalu) ne sono i protagonisti.

A Muvra si scontra con un’amministrazione francese che non concepisce il fatto che cittadini parlino tra di loro una lingua diversa da quella della Repubblica, ma questo ostracismo è condiviso da giornalisti, uomini politici e preti còrsi favorevoli a un’assimilazione integrale alla Francia.

Su La Corse Touristique François Pietri scrive nel gennaio 1929 : « In realtà, e non lo nascondiamo, il nostro scopo è di rimanere una rivista totalmente francese, che si sforza di descrivere in una forma la più pura possibile, le bellezze di un’isola profondamente francese e che tende ogni giorno a diventarlo di più. Pensiamo che troppi maestri elementari sono costretti in Corsica a fare scuola in « patois » perché sia raccommandato di lavorare a mantenere il culto di una lingua che si avvicina un po’ troppo a nostro parere alla lingua italiana e non abbastanza alla lingua francese. Il nostro paese ha un carattere sufficientemente marcato, una personalità abbastanza forte per conservare le sue particolarità essenziali fuori di un dialetto che tutto sommato è soltanto un « patois » toscano più o meno degenerato. Che un poeta o un letterato possa trarne piacevoli effetti, nessuno lo nega. Ma ancora una volta si tratta di Jeux Floraux che interessano soltanto i partecipanti e che, per quanto ci riguarda, non contribuiscono affatto a completare o ad abbellire il vero viso della Corsica ».

Un sacerdote, prete Serpaggi, scrive su le Petit Bastiais, giornale del clan radicale : « E’ un fatto increscioso che si raccomandi con tanto ardore il mantenimento del « patois » còrso, (…). La si faccia finita con tutti questi giornali impiastricciati di cattivo italiano (…). Ci si dovrebbe invece cercare con accanimento di far penetrare nell’elemento còrso la lingua francese, cosicché nell’arco di un mezzo secolo la Corsica non abbia niente da chiedere al Continente francese per il suo accento e la purezza della lingua ».

Questo articolo riceve una risposta sferzante in lingua còrsa di Padre Alfonsi che su A Muvra chiede umoristicamente se i Còrsi debbono d’ora in poi francesizzare i loro cognomi e i nomi dei loro comuni.
 

 

Tommaso ALFONSI

Nato a Moncale il 28 agosto 1863 in una famiglia tradizionale non favorevole ad una totale francesizzazione, confida su Corsica Antica e Moderna nel gennaio 1938: «Se io ho sempre amato l’Italia fin da fanciullo, questo è merito di mio padre, che dell’Italia ha parlato sempre con affettuosa e devota ammirazione, e, mentre a scuola m’insegnavano a leggere il francese, m’insegnava lui, in casa, a leggere l’italiano »

Nel convento di Corbara incontra i frati domenicani e inizia la sua strada verso il noviziato. Sin dal 1878 egli lascia la Corsica per l’Italia per proseguire la sua formazione e vi risiederà fino al termine della sua vita, tornando in Corsica soltanto per brevi soggiorni.

Mentre vive a contatto con il fervore religioso italiano, segue con preoccupazione gli avvenimenti che agitano la Corsica dopo la proclamazione delle leggi di separazione della Chiesa e dello Stato. Tra i più notevoli, nel 1880 l’espulsione dei gesuiti dalla loro casa di Bastia, diretta dallo stesso prefetto, nel 1903 i monaci francescani e domenicani vengono espulsi dai loro conventi, e nel 1906 Monsignor Desanti, vescovo della Corsica deve lasciare il palazzo vescovile d’Aiaccio.

Le Mémorial des Corses ricorda che la tensione sale in alcuni paesi nei quali succedono incidenti tra i sindaci repubblicani e i ministri della religione. A Olmiccia, per esempio, il sindaco Ortoli si contrappone al curato Guidicelli e al momento della processione del Vernerdì Santo, i canti del « Perdono mio Dio » sono coperti dalla « Marsigliese »

Nel maggio 1903, quando avviene l’espulsione dei monaci del convento di Sant’Antonio ad opera della gendarmeria, Santu Casanova scrive :

« Corsica, la tua fede, i tuoi interessi sono calpestati. Come i nostri antenati difendiamo le nostre croci che si ergono sulle nostre colline (…) tra breve le nostre chiese saranno chiuse come i conventi» e soggiunge l’11 aprile 1905, sempre sulla Tramuntana : « O separatismu quantu ci conduci versu un altru separatismu » .

Tommaso Alfonsi monaco domenicano nel convento Sant’Agnese di Bologna, insegna la teologia e la filosofia a partire dal 1889. Nel 1897 viene nominato priore del Convento di Ferrara, poi torna a Bologna per riprendere le sue attività di docente e tenere cronache religiose via radio che verranno raccolte in volume.

Come spiegano Hyacinthe Yvia-Croce nella sua Anthologie des Ecrivains Corses e Jacques Fusina nel Dictionnaire Historique de la Corse, la maggior parte delle sue pubblicazioni sono d’ispirazione religiosa. Muore a Bologna il 3 gennaio 1947 (vedi Alfonso d’Amato, Domenicani ed Università di Bologna, 1987) dopo una lunga vita dedicata all’apostolato, senza aver rivisto la sua natìa Balagna. Tutti i còrsi che si interessano di cultura còrsa e, in particolare, sono curiosi di quanto riguarda la Balagna posseggono due libri di Padre Alfonsi: Fiori di Mucchiu (Ed. Giusti, Livorno, 1931) e Il Dialetto Córso nella Parlata Balanina (Ed. Giusti, Livorno, 1932). Fiori di Mucchiu è una raccolta di 16 poemi in lingua còrsa di cui 10 su argomenti riguardanti la Balagna. Il Dialetto Córso nella Parlata Balanina è un vocabolario còrso-italiano-francese con una presentazione che pone l’accento sulle caratteristiche linguistiche specifiche della Balagna e si conclude con un lista dei francesismi che snaturano la lingua degli antenati.
 

 

Oltre alle sue poesie in còrso, gli articoli (scritti in italiano) di Tommaso Alfonsi su A Muvra, l’Archivio Storico di Corsica, Corsica Antica e Moderna e Il Telegrafo riguardano Santa Restituta di Calenzana, la poetessa Marie Bonaparte Valentini, i costumi e detti còrsi, la toponimia còrsa, l’ortografia del còrso, la lingua dei còrsi, la Corsica e Roma e « l’Italianità della Corsica » (articoli pubblicati su Corsica Antica e Moderna, gennaio 1938, e Il Telegrafo, 8 giugno 1938). In questi ultimi due articoli, al di là della prossimità geografica e dell’ambiente storico, l’essenziale del discorso è dedicato alla necessità di mantenere viva in Corsica la cultura e la lingua italiana onde permettere la sopravvivenza del « dialetto còrso ». Egli difende le sue posizioni sulla complementarità del còrso e dell’italiano usando argomenti ben strutturati.

Quindi il 21 novembre 1926 scrive un articolo che copre tutta la prima pagina di A Muvra intitolato « Ancora in tema di dialetto ». Il punto di vista di Padre Alfonsi può essere riassunto così :

-Il còrso, come i dialetti delle altre regioni della penisola, ha, per secoli, vissuto in armonia con l’italiano.

-Esso non ha ancora acquisito le caratteristiche di una lingua autonoma e non ha ancora una letteratura ben strutturata

-E’ necessario mantenere in Corsica la conoscenza dell’italiano scritto e parlato onde evitare l’invasione dei francesismi nel dialetto còrso e consentire di mantenere la parlata còrsa all’interno dell’universo culturale italiano. Alla perdita della letteratura italiana seguirà la scomparsa dell’uso del còrso nell’isola. Il còrso essendo un dialetto italiano ha bisogno di appoggiarsi a questa lingua madre.

La maggioranza dei redattori di A Muvra non condivide il suo punto di vista e se tutti sono del parere che la cultura còrsa debba mantenere legami stretti con l’Italia, pensano, con prete Carlotti, che il còrso è una lingua con caratteristiche ben precise che ha soltanto un lontano passato comune con la lingua italiana e scrivono i loro articoli quasi esclusivamente in còrso.

Al di là di questa contrapposizione a proposito della capacità del còrso a costituirsi in lingua autonoma perché conosce una forma scritta da meno di cinquant’anni, non bisogna caricaturare la posizione di Padre Alfonsi. E dimenticare che per lui il mantenimento dell’uso dell’italiano in Corsica è un mezzo per salvare la lingua ancestrale dei còrsi. Posizione molto diversa da quella irredentista dei propagandisti fascisti per i quali i còrsi devono parlare, come tutti gli italiani, la lingua dello Stato-Nazione, i dialetti essendo per i fascisti solo sopravvivenze di un passato di disunione tollerato soltanto a titolo folcloristico. Posizione simile a quella dei giacobini francesi.
 

 

Per Tommaso Alfonsi, nel dialetto si esprime la coscienza del popolo còrso. Egli precisa : « A discernere, a studiare, a conoscere la fisionomia vera, naturale, caratteristica della Corsica è dunque da prescindere dell’atmosfera politica nella quale essa si trova da tanti anni : occorre considerare la mentalità, la coscienza, l’indole del popolo corso. Dove si palesano la mentalità popolare, la coscienza popolare, l’indole popolare ? Particolarmente nel linguaggio popolare natìo – sia esso dialetto ». Anche se aggiunge che questo dialetto è : « superbamente italiano ».

Quando scrive una delle sue ultime poesie, « Corsu scettu » (Vero còrso), egli supera la distinzione tra dialetto e lingua per celebrare la bellezza della « lingua di i m’antichi »), eccone una strofa

Ma què é latinu !…Certu, e corsu puru.
C’una tinta italiana, e micca miccaD
i culore francese, a v’assicuru.
Avà turnate a dì ch’ella unn’é ricca
Nè bella, nè piacevule, a lingua corsa !
Mustrariste d’avè u ciarbellu in borsa.

Tommaso Alfonsi ha sulla storia di Corsica lo stesso punto di vista degli altri autonomisti. Nei suoi scritti la battaglia di Pontenovu rappresenta il combattimento disperato dei còrsi per la difesa della loro libertà e della loro identità, mentre gli irredentisti vogliono vederci la prima battaglia del Risorgimento italiano.
 

 

Come numerosi corsisti, e primo fra tutti Santu Casanova, il nostro domenicano si farà raggirare dall’abile e grassottello irredentista Francesco Guerri. Permetterà che il suo nome compaia in varie riviste di propaganda per avallare l’idea di un’adesione di personalità còrse all’integrazione della Corsica nel Regno d’Italia. Guerri si spingerà persino a citarlo tra i còrsi irredentisti a fianco di Angeli e Giovacchini in Gli Anni e le Opere del’Irredentismo Corso pubblicato nel 1941.

Fidarsi delle affermazioni di Guerri costituisce un grave errore. Questi ha presentato di proposito nelle sue pubblicazioni ogni azione a favore dell’identità còrsa come una prova dell’esistenza di un movimento irredentista in Corsica per tentare di nascondere il proprio insuccesso. I suoi scritti vengono usati dalla autorità francesi e dai nemici degli autonomisti per dar credito a un pericoloso amalgama. Quando Dominique Orsoni redige nel 1966 un articolo dal titolo «Une minorité de curés irrédentistes » (una minoranza di preti irredentisti) in La Corse dans la seconde guerre mondiale e scrive che Padre Alfonsi sarebbe stato un « ardent propagandiste irrédentiste » (un fervido propagandista irredentista), è vittima di questa mistificazione.

Per essere persuasi che Padre Alfonsi non è per niente un propagandista irredentista, è preferibile leggere ciò che scrive nel suo rapporto del 10 luglio 1938 il Console Flach di stanza a Firenze.

« La propaganda, costretta a vivere di poco, come può, talvolta s’innervosisce e il professor Guerri, attualmente provveditore agli studi a Firenze, che ha dovuto lasciare il suo quartiere generale di Livorno, manda da qui al Telegrafo articoli senza portata, o dà direttive talvolta interpretate alla rovescia da ausiliari improvvisati ; come questo bravo monaco Alfonsi che è stato incaricato di fare a Bologna una conferenza sull’italianità della Corsica.

 

Dopo aver dimostrato che in Corsica la maggior parte dei cognomi presenta una consonanza italiana e che in molte regioni il dialetto è vicinissimo all’italiano, Padre Alfonsi dichiara in piena buona fede che : 1°) Non c’è un còrso che possa parlare la lingua italiana in modo più o meno corretto, 2°) Nell’isola la lingua francese è sopratutto usata anche nei più piccoli paesi, 3°) L’Italia è nota sopratutto dai ricordi dell’odiato dominio genovese e dai miseri immigrati toscani, a tal punto che essere chiamato « lucchese » costituisce ancora per un còrso un grave insulto, 4°) I còrsi sono ottimi francesi e non intendono cambiare nazionalità, 5°) Conclusione : origini comuni con gli italiani, ma assolutamente distaccati ».

Anton-Francescu Filippini che fa nel 1956 la storia dei movimenti culturali còrsi del periodo tra le due guerre, classifica naturalmente Tommaso Alfonsi tra i corsisti, quando scrive a proposito del settimanale A Muvra : « Diretto da un uomo di forte tempra, Pietro Rocca, cui un soggiorno di ventitrè anni a Parigi non aveva tolto nulla del natìo vigore, si andò formando così un focolaio di attissima vita intelletuale, politicamente orientato verso l’autonomia – il che sembro’ allora un delitto e come tale fu poi espiato –, in contrapposizione del quale si sentì il bisogno di far sorgere, tra i corsi più legati alla Francia e i cosidetti amici della Corsica, il centro rivale, filogovernativo, dell’Annu Corsu (1923). Da quel momento, la qualificazione politica delle varie correnti è nettamente determinata. Vi sono gli scrittori della Muvra – che amavano chiamarsi corsisti – taluno dei quali di singolare valore : Don Domenico Carlotti, Giannetto Notini, Padre Tomaso Alfonsi. Vi sono quelli dell’ Annu Corsu (…). Vi sono infine coloro che, allora giovanissimi, pur senza rinnegare la Muvra, se ne distaccarono e andarono a formare il gruppo, talora discorde, degli autori corsi d’Italia : in ordine di arrivo nella Penisola, Marco Angeli, chi scrive, il compianto Pietro Giovacchini (1910-1955) e Bertino Poli. »

 

U Babbuziu non dimenticò mai la sua terra natìa né il suo convento di CORBARA e gli dedicherà una poesia pubblicata su A Muvra del 1° ottobre 1929

U Cunventu di Corbara

Biancu cume i so frati, u piu cunventu
Fideghia cun trent’occhj, quajò, u mare
Furiosu, mugghiente, viulentu,
E pare di : Chi tipu singulare !…
‘Rentu a mo sulitidine sirena,
L’omi sponenu, alegri, ogni timore;
Ma prima di cullà nantu a so schena

Arricumandan’ l’anima a u Signore.
Mugghia puru, o mugghiò, ch’a mè u to mugghiu
Un disturba nè a pace nè a prighera,
Nè quantu fraji i scogli in mezzu a u bugghiu,
Nè quandu u sole indora a to scugliera.

Chi voci pie chiucchiuleghianu intornu
A stu rimitu jancu !…A terra, i monti
Preganu, inde e so lingue, notte e ghiornu :
Preganu e teghie, e piante, l’erbe, e fonti.

Qui regna a santità : A cima (un Calvariu),
Sant’Agnulu : – quallà, Sant’Antulinu-
In bassu, u Laziu, augustu santuariu
Di a Vergine, eppò u Tevaru vicinu.

Qui Martinu Didon, da un fatu tristu
Sframbulatu, truvò un core ospitale,
E custruì in silenziu a GesùCristu
U so gran munumentu triunfale.

O jorni belli di a m’adolescenza,
Da Diu surrisa inde st’aggrondu amicu,
O jorni antichi, a mo ricunnuscenza
Vi torna novi : ed e’ vi binadicu !

E binadicu a te, same sbandatu
D’ape fedeli, tornu a l’arnia cara
Per impastabbi, mele prilibatu,
Dulcezza santa di sta vita amara.

Sebbene imprudente Padre Tommaso Alfonsi non scambierà mai la volontà di mantenere i legami culturali con la penisola con un abbandono della specificità còrsa a favore di un’identità nazionale italiana e godrà anche dopo la morte, del rispetto dei suoi compatriotti, tranne qualche politicante manipolatore e qualche conformista credulone.
 

 

Dominique Carlotti

Dominique Carlotti, nato il 9 dicembre 1877 nel paese di U Petrosu, è morto in carcere a Marsiglia nel 1948. Ordinato sacerdote dopo aver studiato al seminario di Chartres, divenne professore nello stesso seminario. Visse in Francia i conflitti tra la Chiesa e la Repubblica laica. Tornato in Corsica ottiene una borsa per studiare in Italia dal 1923 al 1925. Questo soggiorno rafforza la sua opinione secondo la quale la rottura con l’Italia insieme con l’assimilazione della Corsica nella laica Francia reca un pregiudizio alla popolazione dell’isola, alla sua pratica religiosa e alla sua lingua.
 

 

Come abbiamo scritto, se le azioni antireligiose sono rare in Corsica, esse segnano le menti. Dopo che il sindaco di Lento, poliziotto in pensione e militante comunista, se la sia presa nel 1926 con il parroco del comune, A Muvra, sotto il titolo significativo «Articulu d’importazione » indica : « eppure la spiegazione è semplice da trovarsi, un mezzo secolo d’insegnamento ateo imposto alla Corsica ha finito con lo spegnere i sentimenti cristiani in molti cuori. L’anticlericalismo è un articolo d’importazione. Signor tenente di gendarmeria, da quando la nostra isola è diventata francese per forza, non ha conosciuto nessun progresso né materiale né morale. Ritorniamo invece al paganesimo e alla barbarie».

 

Prete Carlotti è tra i redattori di La Patrie Corse, giornale regionalista d’azione cattolica e sociale, sotto lo pseudonimo di Fernand Lombardi. Il 13 marzo 1921 vi difende la rinascita dell’Università di Corte : « Ovviamente molti giovani còrsi vanno a studiare sul continente francese, assimilano, non lo nego, tutti i progressi della scienza, alcuni di loro diventano addirittura insigni maestri. Ma vi imparano a conoscere tutto, tranne la Corsica. Quanti ne abbiamo visti porre i loro talenti al servizio della Patria còrsa ?… In questa ricorrenza della San Gregorio, patrono dell’Università di Paoli, mi auguro di vedere presto edificarsi questa università di cui la Corsica ha bisogno ». Vi fa la promozione dell’insegnamento della lingua còrsa, particolarente nei seminari, rifacendosi all’esempio del vescovo di Bayonne che ha introdotto lo studio della lingua basca, della lingua guascone e della lingua bearnese al seminario e nei collegi liberi per l’anno scolastico 1923-1924. E’ rattristato dal fatto che la Corsica, nonostante gli sforzi dei suoi poeti, continui a vivere a margine del movimento regionalista come se si vergognasse della sua storia, delle sue usanze, della sua lingua. Ricorda che la lingua còrsa è quella del popolo e che secondo il detto di Mistral « la sola resistenza contro il dispotismo e l’attrazione dei centri è la lingua ».

 

La sua firma, sotto lo pseudonimo di Martinu Appinzapalu compare già dal 1923 su l’Almanaccu di A Muvra, poi nell’aprile 1923 sulla rivista Kyrnos diretta dall’autonomista Paul Graziani in calce all’articolo intitolato «U corsu e i dialetti italiani. ». Prete Carlotti lancerà il 4 ottobre 1925 un appello al clero a favore dell’autonomia sulla rivista A Muvra, indicando : « La Francia ha usato tutti i mezzi per scristianizzare la Corsica (…) Che cosa dobbiamo fare ? (…) Esiste ad Aiaccio un giornale nazionale còrso, A Muvra. Questo giornale si adopera per far risorgere le usanze, il linguaggio, la fede, l’amore della Patria còrsa. (…) Il giornale si raccomanda a voi e vi prega di spargere nelle vostre parocchie le sue idee che sono il controveleno del francesismo. Tra le sue idee vi è l’autonomia della Corsica… ».

Egli pubblica raccolte di racconti (tra cui Raconti e Fole di l’Isula Persa, Libreria di A Muvra,1924), un almanacco (L’Amanaccu di Grossu Minutu) e crea nel maggio 1926 la rivista L’Altagna (L’Aquila). Queste pubblicazioni sono sempre scritte unicamente in lingua còrsa. E’ autore di numerosissimi poemi e di racconti in prosa sui giornali còrsi e italiani.

Occorre notare che non prende nessuna particolare precauzione mentre scrive sia sotto il proprio nome sia sotto lo pseudonimo totalmente trasparente di Martinu Appinzapalu, mentre altri autori còrsi scriveranno su riviste irredentiste italiane sotto pseudonimi che ancora oggi risultano difficili da individuare. Il suo nome appare tra i redattori della rivista degli irredentisti italiani Corsica Antica e Moderna fino al 1942 ma il suo ultimo scritto, una favola è del 1938.

Due dei poemi che gli vengono rimproverati avranno una parte importante nella sua condanna. Sono stati scritti nel 1936 alla gloria dell’Italia e del suo dirigente Benito Mussolini al momento della conquista dell’Etiopia. Prete Carlotti ha sempre combattuto contro l’italofobia della maggior parte dei còrsi e ha sempre apertamente espresso la sua soddisfazione quando l’Italia dimostrava al mondo che era una nazione potente nuovamente rispettata a livello internazionale e in grado di assumere l’eredità dell’antica Roma. Abbiamo nel nostro libro spiegato i motivi che hanno indotto i corsisti e segnatamente Prete Carlotti a commettere alcuni errori che oscurano ancora oggi la loro reputazione.

Quando analizziamo le sue prese di posizione, traspare sempre il punto di vista corsista. Ad esempio, quando nel 1926 il vescovo lascia la Corsica, Martinu Appinzapalu scrive sulla Muvra del 3 dicembre : « Un Vescu cuntinentale ch’ellu venga da Spagna, da Francia o da l’Italia, sarà sempre in Corsica in paese persu. Solu un Corsu amante appassiunatu di u paese ne cunosce l’anima, i bisogni, i custumi e a lingua ».

Il nostro convincimento che Dominique Carlotti non ha scelto la strada dell’irredentismo, nonostante la sua prossimità con l’Italia e il suo popolo viene rafforzato da quanto troviamo scritto nel poema dedicatogli nel dopoguerra da Anton Francescu Filippini. Si capisce che il giovane irredentista ha lasciato la strada del corsismo seguita da Prete Carlotti con grande rimpianto di quest’ultimo.

Prete Carlotti, avà chì site mortu
capiscerete tuttu u miò penseru.
Eramu tantu amici, e ghiè un misteru
ch’ellu ci abbia divisi qualchi tortu.

Vecchiu pastore toccu da u destinu,
falàvete da e punte verdiacce,
riscuprendu pe’ Cirnu e sante tracce
di e so’ leggende e u so’ parlà latinu.

Eo cuminciava appena le miò prove
paternamente mi diceste: « Veni.
« Affiancati a noialtri, tu chi teni
« a chiave d’oru di e to’ rime nove ».

 

Bench’inespertu, mi vuleste a paru;
e purtaimu inseme lu cuncegghiu
tra e terre stenebrate da un albegghiu
chì ci mustrava l’orizonte chiaru.

Chì vuliete torna? Ch’eo tenisse
a frenu lu mio giovanu cerbellu?
ch’eo fussi prima vecchiu che zitellu,
e u ventu di a matina un mi sturdisse ?

Anch’eo avia dirittu a li miò estri
e, nè cambià pudìa a mio natura,
nè dì, s’ella un m’andava una fattura :
« Va be’ …» per un dispiace a i miò maestri.
Poi, quandu l’armunia é in precipiziu,
l’ombra nasce da nunda. (…)

 

Prete Carlotti avrà scritto essenzialmente perché i Còrsi ritrovassero l’unione nella fede, seguendo i passi di Cristo. E così una delle sue leggende natalizie intitolata « A stella di i Pastori »2 si conclude con l’abbraccio di tre fratelli finalmente riconciliati che giurano di fare d’ora in poi una sola famiglia et di non dividersi più fino alla morte che arriverà tardi « illuminata da a luce santa di a stella di Bettelemme ».

 
 

Antoine Saggesi e François Petrignani

Il canonico Saggesi è l’autore di numerosi poemi pubblicati da A Muvra e dalla rivista sarda Mediterranea. Questa importante personalità della Chiesa còrsa è nata il 1° aprile 1884 a Penta di Casinca. Nessuno degli scritti che abbiamo potuto consultare può essere collegato a un pensiero irredentista. Egli è spinto da un ardente amore per la Corsica e da una totale devozione alla religione
cattolica.

François Petrignani, parroco di San Fiorenzo, pronuncia discorsi e redige scritti in lingua còrsa che esaltano la tradizione e la figura di Pasquale Paoli. U Librone di A Muvra per 1938 riprende i termini dell’omelia pronunciata a Morosaglia il 14 luglio 1926 per l’anniversario dell’elezione del Generale Paoli alla testa della nazione còrsa:

« Se no’ vulemu rialzà a Corsica, ricurdemuci ch’ella si n’è trafalata muralmente ancu più che materialmente. Un seculu e mezzu di duttrine perverse, ghiunte da mare indà, hannu ruvinatu i nostri custumi e a nostra murale. U Corsu unn’è più corsu, perchè unn’è più cristianu in tutta a forza di u termine » (…). A proposito di Pasquale Paoli dirà: « In un seculu di persecuzioni religiose, e mentre alcuni sedicenti filosofi facianu prufessione di disprezzà e credenze cristiani [Paoli] ebbe u curaggiu di vive da cristianu e di mustrassi tale, sempre e in ogni locu ».

Alcuni autori, rievocando l’impegno di questi sacerdoti, hanno dimenticato che la loro principale preoccupazione era la difesa della fede dei Còrsi, che la loro lotta è essenzialmente pastorale, per evitare che i Còrsi, diluiti in un insieme francese ostile alla religione cattolica, perdessero la fede dei loro antenati. La scristianizzazione della società còrsa che accompagna la dissoluzione dei legami sociali viene addebitata da loro alla laica Francia.

Il canonico Sébastien-Bonaventure Casanova non teme di scrivere nel 1933 nel III° tomo della sua Histoire de l’Eglise Corse : « Il peggior flagello della Chiesa in questo momento, è il laicismo, ha scristianizzato la Corsica en cinquanta anni, ha inaridito il reclutamento del clero, ha seminato dappertutto indifferenza, incredulità, materialismo. Ha scacciato Dio dalla scuola, dal pretorio, dagli ospedali, dalla famiglia e dalla coscienza. Non si insegna più il catechismo a scuola e pochi sono i bambini che assistono a quello insegnato in chiesa, ne risulta una profonda ignoranza religiosa e un grande egoismo. Camminiamo a passi da giganti verso il paganesimo. L’antica onestà dei còrsi, che era leggendaria, tende a scomparire. Dappertutto troviamo dissolutezza di costumi, corruzione, scrocconeria, furto. Gli assassinî si moltiplicano ogni giorno. La giuria, tramite la politica, assolve i colpevoli o li condanna a pene leggere ».
 

Non tutti i preti impegnati in questa lotta contro il laicismo raggiungeranno il movimento corsista. Coloro che lo faranno penseranno che è stata la francesisazzione dell’isola a creare questa situazione. La Francia e la sua tradizione gallicana essendo, a loro parere, un ostacolo insormontabile all’espressione della religiosità dei còrsi, tanto più che allora in seno all’élite repubblicana francese impera un militantismo antireligioso. Pensano che il particolarismo della religiosità dei còrsi, ultramontano, collegato con Roma e la sua tradizione specifica, non possono più esprimersi e che solo l’autonomia della Corsica consentirà al popolo di continuare a vivere la propria fede come nel corso dei secoli precedenti.

Questa constatazione fatta dagli ecclesiastici corsisti di una Francia antireligiosa sottolinea in modo ancora più stridente il contrasto con un’Italia, con la quale la Corsica ha sempre avuto legami culturali e umani, che offre l’aspetto di una sempre fervente religiosità. Il governo italiano non dimostra nessuna ostilità nei confronti dei cattolici. Le leggi del ministro della Pubblica Istruzione Gentile aprono le scuole alla religione e i Patti Lateranensi tra la Santa Sede e Mussolini fissano un Concordato vantaggioso per la Chiesa italiana.

Gli autonomisti trovano sostegni presso questi uomini di Chiesa che condividono la lora sfiducia nei confronti delle autorità francesi, segnatemente tra i regolari, principalmente i francescani che hanno ritrovato nel 1920 alcuni dei loro conventi in Corsica e costituiscono un legame sempre intenso con l’Italia. La maggior parte dei monaci trascorrono dei soggiorni nella penisola e accolgono nell’isola numerosi fratelli italiani, e il provinciale Roch Maestracci manda i giovani novizi per il loro periodo di formazione nei conventi italiani. Riguardo i secolari, Monsignor Siméone è nel 1916 il primo vescovo non còrso dal Concordato del 1803. Come i suoi predecessori è insieme ultramontano e favorevole alla francesisazzione della Chiesa di Corsica. Prossimo alla corrente maurrassiana è contrario alla politica laica del governo. Questo vescovo sarà presente, con quaranta chierici, all’inaugurazione del monumento A Croce di u Ricordu eretto nel 1925 per rendere omaggio alle milizie còrse cadute per la difesa della libertà della patria.

La sua presenza va interpretata più come una sfida al governo che come un’adesione al corsismo. Egli rispetta il sostegno popolare che questa iniziativa del Partitu Corsu d’Azione ha riscosso nella popolazione dell’isola, ben al di là delle convinzioni autonomiste. Il suo successore nel 1927, Monsignor Rodié, seguirà un’altra politica. Nonostante si dimostri attaccato all’identità dell’isola egli cercherà un compromesso con i rappresentanti dello Stato francese. Monsignor Rodié sarà un vescovo molto attivo, amatissimo dai fedeli e dalla maggior parte dei suoi parroci. E’ attaccato al rispetto della cultura còrsa e scrive articoli sull’etimologia dei nomi dei paesi, sulla storia della Corsica e la sua firma comparirà addirittura nel 1937 sulla rivista L’île accanto a quella di Petru Rocca. Su Corsica Antica e Moderna (N°1 del 1938) padre Alfonsi esprimerà tutta la sua stima per questo presule, motivo per il quale sarà rimproverato dalla redazione irredentista.
 

Tuttavia al momento della canonizzazione di San Teofilo di Corte, nel 1930, Monsignor Rodié parlerà di Biaggio di Signori, nato a Corte nel 1676, come di un « soldato della Francia » e celebrerà l’avvenimento a San Luigi dei Francesi a Roma, presente l’ambasciatore di Francia. I chierici còrsi vi ravvisano una volontà di spezzare i tradizionali legami religiosi con l’Italia, tanto più che la vita di San Teofilo non ha avuto nessun legame storico con la Francia.
 

Monsignor Rodié pensa che l’interesse della Chiesa è di promuovere una Corsica francese, avente spezzato i suoi legami con l’Italia, in modo da ottenere dal prefetto e dall’amministrazione repubblicana un appoggio alle sue iniziative religiose, e vi riuscirà. Nel 1935 si assiste a una vera distensione : per la prima volta dopo le leggi di separazione, le autorità prefettorali, militari e consolari assistono il 18 marzo, accanto al sindaco d’Aiaccio, alle cerimonie religiose della Madonna della Misericordia. Due mesi più tardi, il secondo centenario della consacrazione della Corsica all’Immacolata Concezione è segnato da tre giorni di festività, presenti tutte le personalità ufficiali radunate per ricevere l’arcivescovo di Parigi accompagnato dall’arcivescovo di Aix, dal vescovo di Marsiglia e dal vescovo ausiliare d’Auch. Monsignor Rodié farà di questo bicentenario una semplice commemorazione della fervida fede dei Còrsi, occultando l’aspetto politico essenziale della risoluzione dei rappresentanti della nazione còrsa insorta che segna nel 1735 l’inizio della Rivoluzione di Corsica. E’ certo che per i corsisti e i sacerdoti che difendono la memoria della Corsica, questo bicentenario doveva essere festeggiato in tutti i suoi aspetti storici, con l’arcivescovo di Pisa e il rappresentante del Vaticano piuttosto che con presuli francesi.

Il riavvicinamento di Mg Rodié e del prefetto non sarà privo di conseguenze per i preti corsisti che si trovano emarginati nel seno stesso della Chiesa. Quando il prefetto di Corsica, nel 1932, chiede sovvenzioni per il Grande Seminario, dà come motivo la volontà di evitare che il vescovo sia « costretto ad accettare nella sua diocesi un certo numero di sacerdoti educati a Roma ». Per incitare il governo a prendere in considerazione questa richiesta il prefetto di Corsica precisa : « E’ nel clero che la propaganda irredentista ha ottenuto i maggiori risultati », tuttavia « i Còrsi che rimangono attaccati alla Francia formano la stragrande maggioranza del clero isolano ». Afferma che con monsignor Rodié alla testa della diocesi d’Aiaccio « adesso la causa francese dispone di un potente ausiliare ».

Nel suo rapporto questo alto funzionario scrive anche : « I sacerdoti Carlotti, Giusti, ex borsisti, Morazzani vicario a Bastia, Drimaracci, vicario ad Aiaccio, Petrignani, parroco di San Fiorenzo, Saggesi, parroco di Loreto di Casinca, Pietri, parroco di Vivario e Casanova, parroco di Zicavo, sono in relazione con i propagandisti irredentisti ».
 

Possiamo constatare che queste chiamate in causa di preti sensibili alla propaganda irredentista sono inserite in un rapporto di circostanza e che l’accusa è esclusivamente fondata su alcuni contatti tra questi sacerdoti e storici o giornalisti italiani che passavano per la Corsica, senza alcuna seria analisi delle convinzioni e delle prese di posizione degli interessati. Tuttavia, Dominique Orsoni nell’articolo succitato, insinua, sulla sola base di questo rapporto, che questi sacerdoti sarebbero stati irredentisti, cioè favorevoli all’annessione della Corsica da parte dell’Italia, dimenticando che le relazioni con gli intellettuali italiani non significano l’abbandono delle idee corsiste.

Matteu Rocca, caporedattore di A Muvra (che firma Michele Corano) aveva chiaramente spiegato che corsismo e irredentismo non potevano confondersi, in un suo fondo di A Muvra del 20 novembre 1932 sotto il titolo « L’irredentismo e noi » : « Il nostro movimento tende a ristabilire un insieme di tradizioni storiche, letterarie, e sociali, la cui scomparsa o semplicemente il declino sono stati per la Corsica causa di gravi danni morali. Di conseguenza, nel proseguire la nostra lotta, non siamo tenuti da nessuna considerazione politica, non ci abbandoniamo a nessuna ingerenza. Ma, siccome l’ignoranza e la menzogna potrebbero operare d’accordo nell’intento di rendere sospetta la nostra buona fede, non ci sembra inutile fornire qualche chiarimento a questo proposito. E’ ovvio per ogni mente imparziale che i legami tra la Corsica e l’Italia furono una volta troppo stretti perché sia facile oggi distruggerli. Gli autonomisti sono perfettamente consci di questo fatto e sanno tenerne conto. Ma venutasi per così dire a innestarsi su questa realtà storica, vi è una dottrina che, se non ci badiamo, potrebbe essere d’ostacolo alla diffusione e all’espansione dell’idea autonomista : stiamo parlando dell’irredentismo.

Non dubitiamo che l’irredentismo dal punto di vista prettamente italiano non sia una ottima, lodevolissima cosa e, del resto, l’ideale dal quale è sorta, ideale comune a Mazzini, ai Silvio Pellico, Gioberti e a tutti i prodi del Risorgimento, è assolutamente logico nella sua sublimità. Ma tale dottrina, sia nei suoi sviluppi politici che nei suoi corollari storici e letterari, non deve venire confusa con la dottrina autonomista. Vi è tra di esse una differenza essenziale, dovuta sia alle loro origini che ai loro scopi. Cuique suum. L’antica massima della legislazione romana è anche nostra ; specialmente nella definizione dei rispettivi doveri dell’irredentismo e dell’autonomismo ». Cuique suum può essere tradotto : loro sono loro, noi siamo noi.
 

Sfortunatamente per gli autonomisti còrsi i propagandisti italiani impostano a partire dal 1923 una politica perniciosa che diventa esplicita nel 1938 e crea un amalgama tra i due movimenti. I poteri pubblici francesi e i partiti contrari ai corsisti useranno i discorsi degli irredentisti italiani per discreditare politicamente A Muvra. Abbiamo nel nostro Autonomistes corses et irrédentisme fasciste (1920-1939) spiegato a lungo gli errori commessi dagli autonomisti, il più importante essendo di non avere dopo il 1938 spezzato ogni relazione con gli intellettuali fascisti italiani, denunciato con vigore il progetto di annessione e di non essersi chiaramente opposti a un regime fascista che applicava in Italia una politica ostile alle autonomie regionali. Abbiamo tentato anzitutto di capire le ragioni che hanno spinto i militanti corsisti a commettere questi errori 

I sacerdoti che abbiamo ricordati hanno fallito nel loro tentativo di resistenza all’ideologia individualista e materialista che sta per dominare il mondo. Alcuni di loro, tra cui prete Giusti che abbiamo conosciuto personalmente mentre era parroco di Speloncato, sono stati, dopo la Liberazione, oggetto di varie vessazioni. Dobbiamo precisare che il dossier d’istruzione a suo carico era vuoto a tal punto che il suo nome fu scartato dall’accusa all’occasione del processo detto degli irredentisti nel 1946.
 

Per quanto riguarda prete Carlotti, condannato a dieci anni di carcere a questo processo che ogni giurista può considerare soltanto come un regolamento di conti politici, nella sua prigione scriverà un ultimo poema, invocando il volto di Santa Teresa di Lisieux di cui citeremo l’ultima strofa.

Lampa, lampa, o santa bella,
rosule in stu Vallu neru
à lu veghju, à la zitella,
à l’infermu, à chi hè in disperu
à la nostra Cursichella
à la Francia, à u mondu interu.

Jean-Pierre Poli

1 – Editions Agence parisienne de distribution, 1960.
2 – Rivista L’île, ottobre 1934.