Opinioni

Due volte un'isola

E’ comunque sempre meglio avere a che fare con i suoi che con i forestieri anche bene intenzionati. E’ ciò che viene in mente leggendo due libri recenti sulla nostra isola. Il primo1 è stato scritto da un nostro conterraneo, Jean-Louis Andreani, giornalista a Le Monde. L’altro è frutto delle fatiche di un docente universitario parigino, Xavier Crettiez2.
Il libro di Andreani non è certo perfetto. Essenzialmente destinato a “spiegare” la Corsica ai francesi, ripercorre la nostra storia, insistendo sui periodi recenti. Cerca anche di far capire il funzionamento della società còrsa dando molte informazioni che d’altronde spesso sarebbero totalmente inutili per un italiano3. Comunque ribadisce molti luoghi comuni, come c’era da aspettarsi conoscendo la prudenza della testata. Prima di tutto sulla lingua non se la sente di impegnarsi e si accontenta di una definizione annacquata “langue à part entière, faite de bas latin, de toscan et de tournures françaises(?)”4 di cui ogni parola andrebbe commentata e discussa: a quale lingua ci si riferisce quando si parla di “tournures françaises?”, che cos’è una “langue à part entière”, e questo benedetto “toscano”, è il dialetto toscano o si dice “toscano” perché non si ha il coraggio di dire “italiano”? Perché è vero che prima si usava spesso dire “toscano” per “italiano” come si dice ancora adesso “castellano” per “spagnolo”, ma oggi no, e continuare così può solo generare confusione. Come quando si parla in continuazione di Mediterraneo, di ambiente mediterraneo, nel quale la Corsica andrebbe reinserita. Che cos’è questo mediterraneismo? Se con questa parola si intende far riferimento ad un’unità linguistica (?), culturale (?), sociologica (?) dei popoli del bacino mediterraneo il concetto ci sembra poco scientifico. O allora si tratta di una metafora d’obbligo per parlare dei nostri prossimi vicini. E allora, per carità, si dia pane al pane e si parli con chiarezza.
C’è un altro particolare spassoso. Quando l’autore informa i suoi lettori a proposito della tremenda distanza che separa la Corsica dal continente, indica5 la cifra di 170 chilometri (Nizza-Calvi). Lo stesso lettore dovrà sbrigarsela da solo per interpretare, nascosta in un angolo a pagina 10, una cartina con la vera posizione geografica della Corsica. Ovviamente, finché si continuerà ad impostarlo a questo modo il problema còrso sarà di difficile risoluzione. E’ incredibile che in un periodo in cui ogni giorno si fa un gran parlare d’Europa, si continui a giocare così a rimpiattino e non si traggano le conseguenze del nuovo indirizzo politico per un’isola che non sta a 170 ma a 80 chilometri dalla Terraferma. Lo abbiamo sempre detto il futuro della Corsica deve essere preparato nel suo naturale ambiente geografico. D’altronde la cosidetta continuità va promossa in ogni direzione.6 Non solo è assurdo lottare contro la geografia, ma è inutile. A meno di un impensabile ritorno all’isolazionismo delle nazioni europee, il futuro sta lì. Tanto vale prenderne atto subito, smetterla di negare le evidenze e tentare di sfruttare le nuove possibilità che ci vengono offerte. Altrimenti la Corsica continuerà a lungo ad essere ciò che il nostro collaboratore Pascal Marchetti ha chiamato una “sacca pendente dall’esagono francese”, finché finalmente la geografia trionferà comunque, ma nel frattempo avremo perso molto tempo e forse la nostra identità sarà svanita per sempre.
C’è un passo nel quale Andreani, citando Giudici,7 allude ad una terra vicina: quando parla della Sardegna, per sottolineare il fatto che esiste tra le due sponde dello stretto di Bonifacio un “oceano immaginario”. Ma, caro Andreani, questo oceano immaginario, è sicuro che sia una conseguenza della mentalità còrsa? Non sarebbe piuttosto dovuto ad un fattore storico? Perché se è vero che la Corsica e la Sardegna interna e meridionale sono due mondi diversi, non lo è sempre stato per la Corsica e la Gallura il cui dialetto somiglia molto al còrso meridionale. Ed è anche vero che la Corsica attuale volta le spalle non solo alla Sardegna ma a tutto il suo naturale ambiente geografico, il motivo però è da ricercare nella storia degli ultimi due secoli. La Corsica è un’isola, certo, ma lo è due volte: una volta per motivi geografici, un’altra per motivi storici. Alla geografia non si può portar rimedio, (d’altronde perché dovremmo? è bello essere un’isola), ma conviene non esagerare e contro l’isolamento artificiale bisogna reagire. Ora questo più che a fattori economici (che ovviamente non conviene sottovalutare) è ormai dovuto soprattutto a fattori culturali. Per commerciare, per avere scambi (economici e culturali, le due cose non possono essere separate) con un paese bisogna conoscerne bene la geografia, fisica ed economica, la lingua, la mentalità, bisogna riorientare i circuiti commerciali, bisogna insomma operare una rivoluzione copernicana. E lo sforzo compiuto questi ultimi anni per la lingua e la cultura còrsa sarebbe forse stato più fruttifero se si fosse svolto secondo due direttrici: la prima, sì, destinata a radicare i còrsi nella loro terra e nel loro passato, ma accompagnata con una seconda destinata a reinserirci nel nostro ambiente geografico. Insomma si tratta di sapere se commerceremo con gli italiani in inglese o in italiano. Tutti possono capire come la seconda soluzione sia naturale, preferibile e carica per noi di potenzialità linguistiche e culturali, “identitarie” insomma, e stavolta in modo proficuo e aperto sul futuro.
E giacché stiamo parlando di identità, ecco di ritorno nel libro di Andreani la famigerata “economia identitaria”8. Si tratterebbe, a quanto pare, di immaginare un’economia capace di valorizzare le materie prime della Corsica, come le “castagne” (!) e il turismo verde, i canti polifonici e le foreste. Insomma una bella riserva indiana. E si capisce il perché. Chi propone queste soluzioni, prima di tutto, probabilmente senza rendersene conto, ha della Corsica un concetto sentimentale e paternalistico e intende preservare uno spazio per fanciulli incapaci di crescere. Inoltre, forse anche in questo caso in modo inconscio, sente che uno sviluppo normale, basato sui servizi, per esempio, è incompatibile con l’idea che si è fatta della Corsica e della sua cultura identificata con una cultura ruralistica inadatta ad un’economia moderna. Per giunta questo sviluppo moderno viene sempre a cozzare contro l’eterno problema della lingua, ossia come adattare il còrso ad un’economia e ad una società modernizzate. D’altro canto colpisce il fatto che finalmente la sola proposta è ancora quella dello sviluppo economico, anche se inteso nel modo suaccennato. E infatti l’autore non propone niente dal punto di vista culturale (a parte i canti polifonici) e non puo’ farlo perché non se la sente di confrontarsi con le vere soluzioni.
Invece, più che altro la Corsica ha bisogno di verità, verità sulla lingua, verità sulla storia, verità sulla geografia. Occorre ormai fare delle scelte chiare che oggi non hanno niente di scandaloso (né in Europa né in Corsica). Bisogna anche capire che sono crollati molti tabù e che i còrsi di oggi possono sentire tutto. E per carità, niente mezze verità, le bugie (anche le mezze bugie) hanno la gambe corte, come dice il proverbio insieme còrso e italiano. Quindi è da temere che il libro, nonostante i suoi pregi, non contribuisca a far pienamente conoscere la Corsica e a risolvere i suoi problemi.
L’opera di Crettiez invece è un capolavoro d’incomprensione universitaria. Intendiamoci, Crettiez ha letto, è venuto in Corsica, si è informato, ha indagato, ha cercato di capire, e si è lasciato sfuggire l’essenziale. Il suo libro è l’esempio perfetto di come una somma di osservazioni e di particolari esatti possa sfociare su conclusioni sbagliate. Manca lo spessore storico, culturale, sentimentale che solo rende comprensibile l’atteggiamento di molti dei còrsi attuali. Il problema còrso viene trattatato soltanto nelle sue dimensioni tecnocratiche di sviluppo economico e di ordine pubblico, inquadrato in una problematica più generale (quella dei movimenti separatisti europei) che ne fa semplicemente una categoria senza entrare nel merito di quanto di profondo e di sentimentale ci possa essere in alcune reazioni estreme. Leggendo questo libro si capisce il come, ma non il perché, non si coglie l’anima dell’attuale dibattito. Il libro di Andreani è incompleto, quello di Crettiez è fuorviante.
Paul Colombani
1 Jean-Louis Andreani,Comprendre la Corse, Paris, Gallimard, 1999, pp. 282, con una prefazione di Jean-Marie Colombani.
2 Xavier Crettiez, La question corse, Editions Complexe, 1999, pp. 259.
3 Com’è possibile nel 1999 incappare ancora (p.57) nel vecchio errore sulla “Terra del Comune” tradotta “Terre du Commun” espressione che non ha senso in francese, semplicemente perché si è dimenticato che la parola “Comune” in italiano è maschile.
4 op.cit. p.27
5 Ibid. p. 162
6 Si badi che se si continuasse a promuovere una continuità in direzione del solo continente francese, si otterrebbe il risultato di erigere una nuova barriera doganale ossia a ristabilire ciò che abbiamo chiamato la “cortina di ferro”.
7 Nicolas Giudici, Le problème corse, Milan, 1998.
8 Ibid. p.188-189.