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Convegno di Camogli

di Luca Berengan

Sabato 3 ottobre 2009 si è svolto il Convegno dal titolo “Camogli riscopre la Corsica”…

Sin dalle prime luci del mattino la giornata si presentava radiosa ed il lungomare di Camogli offriva un colpo d’occhio mozzafiato. Il Castello della Dragonara accoglieva maestoso gli ospiti che alla spicciolata vi si accostavano meravigliati. Le sue terrazze già erano occupate dalle tavole per la degustazione dei prodotti corsi. All’inizio dei lavori (intorno alle ore 10,00) l’uditorio si presentava assai qualificato: alcuni writers del Forum dei Paolisti, gli amici di Ràdiche, la rappresentanza del Comune di Ghisonaccia (Sindaco in testa), gli Avvocati Figari e Ferrari del Foro di Genova, la Professoressa Repetti della Facoltà di Odontoiatria dell’Università degli Studi di Genova, il Presidente di Slow Food (Sezione di Sarzana), Edmondo Colliva, i giornalisti Alessandro Michelucci e Consuelo Pallavicini. Da animato ed attento contorno fungevano i ragazzi dell’Istituto Tecnico Nautico “Cristoforo Colombo” di Camogli.

Il Convegno era introdotto dai saluti della Dott.ssa Elisabetta Caviglia, Vice-Sindaco di Camogli con delega alla cultura, che si diceva onorata della presenza così numerosa dei rappresentanti del Comune di Ghisonaccia, auspicando che l’occasione del Convegno fosse l’inizio di una proficua collaborazione tra le due città, che si spingesse al di là dell’usuale ed abusato “gemellaggio”.
Prendeva quindi la parola l’Avv. Luca Berengan del Foro di Genova, socio fondatore dell’associazione culturale italo-corsa “Giraglia” e primo relatore del Convegno. Dopo una incisiva premessa sugli scopi dell’associazione e sul significato profondamente “politico” della sua azione (da intendersi nel significato più alto di “cura della socialità” e “cultura delle differenze”), l’Avvocato si profondeva nell’analisi dei rapporti tra la Corsica e Camogli, rammentando: che furono i marinai camoglini a fornire a Genova un contributo decisivo nella guerra contro Pisa (che assicurò alla Repubblica il controllo politico, economico ed amministrativo sull’isola); che gli stessi marinai camoglini, componenti la flotta del Fregoso, si dedicarono più volte alla difesa della roccaforte “genovese” di Bonifacio; che fu un pescatore camoglino, dopo la cessione della Corsica (Trattato di Versailles del 1768), a recare a Genova la notizia della sua definitiva sconfitta per mano dei Francesi (Battaglia di Ponte Novu del 1769). Ben poteva dirsi, dunque, che Camogli avesse segnato l’inizio e la fine del rapporto tra Genova e la Corsica ed il Convegno non poteva che intendersi quale luogo ideale (certo non solo simbolico) per il suo rinnovarsi.

Veniva il turno del secondo relatore. Matteo Filidori, storico nazionalista corso, iniziava una lunga dissertazione che sarebbe terminata solo due ore più tardi. Il pubblico era trascinato indietro nel tempo sino all’anno 1000 ed ai primi rapporti tra Genova e la Corsica. Apprendeva delle vicende della cd. Terra del Comune (l’attuale piana orientale) e delle reali motivazioni all’origine dei contrasti tra l’isola e Genova. La nobiltà corsa (che preesisteva all’arrivo dei Genovesi) mal tollerava il mancato riconoscimento da parte di questi e vieppiù lo rivendicava (con quanto ne conseguiva in termini di accesso alle più alte cariche politiche ed amministrative). La nobiltà genovese non ammetteva tali rivendicazioni, pretendendo di perpetuare il proprio esclusivo accesso a tali cariche. La Corsica non era povera. Proliferava l’agricoltura e la coltura del castagno (sviluppata grazie ai Genovesi). Il malcontento conseguiva alla mancanza di rappresentatività, al legittimo desiderio dei corsi di governare se stessi (senza che ciò dovesse necessariamente intendere il respingimento dei Genovesi). Le rivolte figlie del malcontento impensierivano Genova che, già sulla via del declino, non aveva la forza di reagire autonomamente, ma doveva richiedere l’ausilio delle potenze straniere e, segnatamente, della Francia.

La Francia aveva così l’occasione di consolidare la propria presenza in Corsica e di indurre nei suoi abitanti la convinzione di avere a che fare con un contraddittore ben più affidabile di Genova, persuasa, al contempo, dell’indispensabilità dei Francesci per la definitiva sottomissione dell’isola. Il consolidarsi di tale situazione, tra ribellioni sull’isola ed ottusità ed immobilismo a Genova (il motto della nobiltà al potere era “non innovare”) portava alle estreme conseguenze. Mettendo Genova all’angolo, i Francesi posero l’alternativa: o cedete il dominio dell’isola o noi ce ne andiamo. La decisione fu così assunta dal cd. Minor Consiglio, dopo che, consapevoli di non avere la maggioranza sufficiente (molti a Genova confidavano in un rapporto diverso con l’isola, che potesse garantire un nuovo e condiviso predominio marittimo e mercantile), i notabili al potere avevano degradato la questione al rango di deliberazione ordinaria (per la cui assunzione era sufficiente la formazione di un consenso minore). Ma non di vera cessione si trattò, poichè il Trattato di Versailles realizzò un rapporto di cd. deposito indefinito, con facoltà di riscatto da parte di Genova a fronte del pagamento ai Francesi delle spese della conquista e di almeno vent’anni di presidio sull’isola. In effetti, allorquando la Francia deliberò l’appartenenza formale della Corsica al proprio territorio (conseguenza della Rivoluzione Francese), Genova protestò formalmente con il proprio ambasciatore, ricordando il vero contenuto del patto. A quel punto, il Consigliere del Re riconobbe la validità delle rimostranze e la nullità del provvedimento di annessione, offrendosi di restituire l’isola a fronte del pagamento di tutto quanto pattuito. A quella proposta economica insostenibile, Genova, stretta da una crisi irreversibile (che ne segnò di lì a poco la fine come potenza internazionale), abbandonò definitivamente ogni velleità.

Nel frattempo i Francesi tessevano la tela dei rapporti con la Corsica, proponendo la sua spartizione e rivendicando per loro il Capocorso e la roccaforte di Bastia. Pasquale Paoli, comprendendo che ciò avrebbe compromesso ogni anelito di libertà (e solo anticipato la presa definitiva dell’isola da parte degli avversari), rifiutò seccamente. Fu l’inizio del conflitto: 12.000 corsi (per lo più contadini) contro 30.000 soldati dell’esercito più potente del mondo. Eppure lo scontro di Borgu si risolse a favore dei Corsi e quasi determinò i Francesi alla definitiva ritirata. Solo la volontà di evitare uno smacco nel consesso europeo, indusse i Francesi a persistere nella conquista, intensificando gli sforzi di uomini e mezzi. Fu questa la premessa alla battaglia di Ponte Novu, che (non ultima in ordine di tempo) fu però decisiva per assegnare la vittoria agli occupanti.

Saccheggi e deportazioni sedarono gli ultimi aneliti di ribellione: tantissimi corsi furono rinchiusi in carceri francesi addirittura realizzate sotto il livello del mare (Matteo Filidori, chiudendo il proprio intervento, lo ripeteva all’uditorio commosso per ben cinque volte).
L’emozione scatenata da questa seconda relazione sfociava in un applauso lungo e partecipato e la chiosa, dedicata alla costituzione corsa, anticipatrice dell’età dei lumi, della rivoluzione americana e, significativamente, di quella francese, contribuiva ad elevare la considerazione per un uomo, che aveva saputo rendere nelle parole, nelle pause, negli sguardi, nella palese sofferenza dell’esposizione tutta la fierezza di un popolo (oggi praticamente sconosciuto, soprattutto tra i ragazzi, a poco più di 200 km di distanza).
“Storia dimenticata”, si direbbe, quella narrata da Matteo Filidori, ma meglio sarebbe definirla “storia mai scritta”, nè in Italia, nè in Francia: motivo di curiosità per i ragazzi presenti, di stupore e riflessione per gli adulti.

Era la volta del Prof. Paolo Colombani, docente di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Nantes. A lui toccava il compito di far conoscere ai presenti le caratteristiche basilari dell’idioma corso e le sue evidenti affinità con quello italiano. Detto della radice italo-romanza del corso, il Prof. Colombani disquisiva a lungo sulla possibilità di definirlo una “lingua” piuttosto che un “dialetto”, giungendo alla conclusione che la distinzione costituisse un inutile formalismo. Più interessante era il riferimento alla natura di “lingua polinomica” ossia frutto del tentativo di conciliare le varie parlate presenti sull’isola. Il Prof. Colombani segnalava, sul punto, il rischio dell’artificiosità insito in tale operazione ed insisteva per l’utilità di “liberare” le varie parlate (entusiasmante la segnalazione del bonifacino quale dialetto ligure antico e di una – pressochè scomparsa – forma greca nella città di Cargese), affinchè il confronto fornisse “naturalmente” la possibilità di una comune espressione. Altrettanto interessante era il riferimento alla codificazione del corso scritto (altra operazione a forte rischio di “artificiosità”), con la segnalazione che, in realtà, il corso costituisse da sempre una lingua orale, da sempre supportato, nello scritto, dall’italiano (o “toscano” che dir si voglia). Il Prof. Colombani ricordava poi come il corso venga oggi insegnato nelle scuole dell’isola (benchè come materia facoltativa) e come più della metà degli studenti (e non solo quelli di autentico ceppo corso) optino per il suo apprendimento. Ciò colpiva parecchio il pubblico presente, per il naturale confronto con il genovese, che pian piano scompare (senza che alcuno si sogni di immaginarne l’insegnamento nelle scuole). Ciononostante il rischio del disuso definitivo dell’idioma resta assai forte, per il peso soverchiante del francese (ormai unanimente riconosciuto quale “lingua del pane”). I rimedi per fugare questo rischio erano così indicati: -nell’introduzione del corso quale lingua ufficiale al pari del francese (da utilizzarsi cioè nella pubblica amministrazione e/o per la redazione degli atti notarili); -nell’intensificazione ed ufficializzazione dello studio della lingua italiana (quale supporto indispensabile per la reintroduzione nella quotidianità della parlata corsa e per il suo rinnovarsi con particolare riferimento a tutta la terminologia di etimo moderno). Il Prof. Colombani teneva a precisare che ciò non significasse abdicare al corso in favore dell’italiano (rischio pure evidenziato a livello universitario), ma soltanto usare l’italiano quale testa di ponte per il ritorno alla quotidianità della parlata corsa (obiettivo finale di tutta la metodologia suggerita). Alcune espressioni in corso, che confermavano all’uditorio la rivendicata affinità con la lingua italiana, chiudevano l’intevento del docente (di elevata ed apprezzata tecnicità).

I profumi dei prodotti corsi, che giungevano dalla terrazza circostante, ricordavano a tutti che fosse l’ora del pranzo. La gente si riversava così all’aperto e, godendo della magnifica giornata (e del panorama non da meno), poteva apprezzare tutti i prodotti che la delegazione di Ghisonaccia aveva offerto per la degustazione. Si trattava di una vera scoperta: olio, salumi, formaggi, marmellate, biscotti e vino a profusione. Delizie sconosciute provenienti da non più di 200 km di distanza. Il titolare del caseificio Ottavi, vicesindaco di Ghisonaccia, aveva infatti modo di spiegare che i propri prodotti fossero esportati in Francia, Germania, Olanda, Belgio e pochissimo in Italia (Valle d’Aosta e Piemonte), senza darsi una spiegazione plausibile. Ciò forniva lo spunto perchè la giornata costituisse l’inizio di una collaborazione anche a livello economico. L’abbinamento con la focaccia genovese era il degno coronamento del pranzo (al termine del quale tutti gli astanti si dichiaravano – e si mostravano! – assai soddisfatti).

Era dunque il momento di riprendere i lavori, con l’intervento conclusivo dell’Avv. Massimo A. Chiocca proprio in tema di cucina. Il relatore prendeva le mosse da un’introduzione di carattere culturale che definiva il cibo “arte della trasformazione” e non semplice “sostentamento”, in ossequio alle teorie del Prof. Carlo Rebora, docente universitario genovese recentemente scomparso, raccolte nel volume “La Civiltà della Forchetta”. L’Avvocato passava quindi ad analizzare le influenze che accomunano le cucine del Mediterraneo (evidenziando l’utilizzo delle spezie di matrice araba ed orientale) e giungeva quindi all’esplicazione del ricettario corso, con particolare riferimento: alla lavorazione della castagna ed alle modalità di preparazione della cd. pulenda; alla preparazione e cottura dei cd. brilluli o granaghjoli in Pumonte (si face coce a farina pisticcina in l’acqua bullente appena salita è si manghjanu caldi cù u latte frescu, sia a matina pè sdighjunu, sia a sera senza nunda altru); alla realizzazione della conserva di pomodoro e della marmellata di pomodori verdi; all’essiccazione di molti alimenti come carne, frutta, verdura, sementi ed altro (il cibo degli inverni freddi); alla lavorazione del brocciu, formaggio cremoso prodotto con latte di pecora o capra (il primo formaggio ottenuto dal siero di latte a detenere la certificazione AOC dell’Unione Europea). La minuziosa descrizione di ogni procedimento appassionava l’uditorio e, in particolare, i componenti dellla delegazione di Ghisonaccia, che prendevano a confrontarsi sulle diverse tradizioni per la lavorazione dello stesso prodotto (a seconda della zona di provenienza di ciascuno). Ma l’Avvocato Chiocca serbava per la conclusione del proprio intervento una vera e propria provocazione (che racchiudeva in sè il senso dell’incontro di Camogli). Dimostrate le affinità della storia, della lingua e della cultura (addirittura nella sua più popolare espressione della cucina), il relatore si rivolgeva a tutti i corsi presenti e domandava loro: “perchè ci avete dimenticati? perchè ci avete abbandonati?”.

La domanda ad effetto sortiva gli esiti sperati ed induceva il Sindaco di Ghisonaccia, Francis Giudici, a prendere la parola per il proprio intervento.

Ringraziato il Comune di Camogli per l’apprezzatissimo invito, il Sindaco rispondeva all’Avvocato Chiocca che, se davvero i corsi avessero dimenticato/abbandonato i liguri/italiani, neppure avrebbero risposto all’invito: “simu quicci!” è stata l’affermazione perentoria del Sindaco, cui ha fatto da interessante corollario la spiegazione delle effettive intenzioni dei due comuni (Ghisonaccia e Camogli) di dar vita ad un rapporto molto intenso per scambi culturali (particolarmente a livello scolastico, con gite e soggiorni degli alunni corsi in Camogli e di quelli camoglini in Corsica), sportivi (con la reciproca partecipazione a tornei di calcio a livello giovanile ed il sogno di un quadrangolare amichevole Genoa, Sampdoria, Bastia ed Ajaccio) e financo economici (prodotti camoglini da esportare in Corsica e prodotto della Ghisonaccia da esportare in Camogli).

I lavori terminavano quindi con l’intervento dell’assessore alla cultura del Comune di Ghisonaccia, Saveriu Luciani, che, esprimendosi in lingua corsa (perfettamente intesa da tutti i presenti), teneva a ricordare che il corso fosse oggetto di insegnamento nelle scuole, ma fosse altresì il mezzo stesso del suo insegnamento (a testimonianza di un impegno alla diffusione del corso come “lingua dell’uso comune”).

Un applauso caloroso e la promessa di un nuovo incontro (u prossimu veranu) in Ghisonaccia chiudevano definitivamente il convegno.
La cena della sera, graziosamente offerta dal Comune di Camogli, vedeva la presenza di Pippo Maggioni (storico sindaco camoglino) e di Massimo Stasio (Presidente dell’Associazione Commercianti di Camogli), che, raccogliendo la sfida dell’Avv. Luca Berengan (il primo) e garantendo un utilissimo contributo materiale (il secondo), ben possono definirsi artefici assoluti dell’evento (appena distanziati dalla passione e disponibilità della Dott.ssa Elisabetta Caviglia).

La cena scivolava veloce nel segno della convivialità tra liguri e corsi. Aneddoti, battute, ricordi, intese per il futuro, indirizzi scambiati, letture confrontate, libri promessi e la voglia, alla mattina della domenica, di fare un salto a Genova, “a vede u Palazzu di u Bancu di San Ghjorghju”…

Poi il definitivo commiato, con l’impegno a stampare gli atti del Convegno, e l’arrivederci in Ghisonaccia.
Non credo che mi spettino commenti, ma un pensiero me lo concedo. Rientrando a casa a tarda notte, guidando con al fianco l’amico Massimo Chiocca, una parola ci frullava per la testa. Allunaggio, è stato come l’allunaggio…

Luca Berengan (Associu Giraglia)