Abbiamo Letto

Amor di Corsica

Per fortuna, tutti non sono così ciechi o in malafede. Ci duole però che spesso gli altri abbiano una visione della nostra situazione più chiara di quella dei figli degeneri della nostra terra. Uno di loro, il giornalista italiano Stefano Tomassini, ci consegna il suo
amore per la nostra isola in un libro pubblicato di recente.1 Egli spiega che venne per la prima volta da noi nel 1978 con l’intenzione di scrivere una tesi di laurea sull’autonomismo còrso, ma quello d’anteguerra. Lo aveva incoraggiato in tal senso il grande storico ormai scomparso, Renzo De Felice. Tomassini racconta che quando, recatosi ad Aiaccio, andò in archivio, vide arrivare un insegnante locale che gli era stato spedito per controllare ciò che quell’italiano stava facendo su un argomento così scottante. Stranemente fece amicizia con il “controllore” e nacque un sodalizio che proseguì per anni. Ora non si può dire che i giudizi di Tomassini siano sempre molto originali, però, essendo italiano almeno alcune fesserie ce le risparmia. Vogliamo dire tutto, forse ha capito più di quanto voglia lasciare vedere. In un’occasione almeno egli riesce a toccare col dito un problema essenziale, quando, trattandosi della lingua in una conversazione con l’editore Firroloni, dice che ciò che stanno tentando i còrsi, creare una lingua moderna, lo è stato a sua conoscenza due volte, dagli israeliani e dagli irlandesi, gli israeliani sono riusciti nel loro intento, gli irlandesi invece sono falliti. E aggiunge: forse sarebbe il caso di rifarvi all’italiano. Allora Firroloni gli porge il numero de La Messagera di cui ci siamo occupati a suo tempo, mentre “il controllore” fa un ghigno: a quanto abbiamo capito si tratta di un superfrancese, più francese dello stesso Voltaire.2 Non insiste Tomassini. Anzi, si tira in dietro dando ragione un po’ a tutti. E così, alla fin fine troppa cautela uccide l’interesse dell’opera.
 

Di ben altra levatura un libro recentemente pubblicato in Italia da una persona ignota che si firma con lo pseudonimo dantesco di Corso Donati.3 L’editore dice di aver ricevuto il manoscritto per posta, anonimo, cosa difficile da credere, ma ovviamente se l’autore ha richiesto il segreto, comprendiamo benissimo che egli lo mantenga.
 

Quindi l’autore asserisce di essere còrso, nipote di uno zio deceduto di recente che avrebbe partecipato nel ’75 al famoso episodio della cantina Depeille ad Aleria. Solo che finora le nostre ricerche in questa direzione non hanno prodotto risultati. Passiamo alla critica interna dell’opera. L’autore conosce benissimo la Corsica contemporanea e anche l’Italia. Però ci sembra più facile che sia un italiano informatissimo delle cose còrse piuttosto che il contrario. E’ difficile immaginare un còrso in grado di citare con questa facilità Delio Tessa e Michaelstadter, peraltro l’opera dimostra un’ottima conoscenza delle vicende quotidiane dell’Italia contemporanea che non è propria in genere dei còrsi attuali, o allora si tratta di uno specialista, per esempio un insegnante d’italiano. Ovviamente possiamo sbagliarci, ma allora invitiamo l’autore a farsi conoscere. L’impatto del suo libro sarà in gran parte funzione della sua personalità.
 

Comunque l’opera è interessante di per sé e possiamo condividerne molti giudizi. Bella la definizione del còrso come “un italiano triste”. Azzeccato il riassunto della storia di Corsica con le varie interpretazioni di parte, con le divisioni che riproducono in modo speculare le divisioni della vicina penisola, interessante, anche se un po’ scontato, il raffronto tra la Corsica del nord e quella del sud, giusto il giudizio secondo il quale la storia della Corsica fu travolta dal secolo dei nazionalismi, con l’argomento che se una volta non era importante sapere di chi si era sùdditi, re di Francia, imperatore dei Francesi, o altri, senza strazi sulla propria identità, con l’arrivo dei nazionalismi il fragile equilibrio impostosi in Corsica fu travolto. Allora incominciarono a insegnare cosa si doveva pensare, come si doveva parlare. “Corso Donati” dà anche una descrizione dello stato disastrato della cultura in Corsica, addebitandone la responsabilità all’abbandono della vecchia lingua di cultura che secondo lui, come secondo noi, deve sempre affiancare il còrso. Ma sta lontano da ogni grettezza di mente: egli difende la lingua francese “grande lingua di cultura”, e anche, sebbene questo ci sembri più sorprendente, date le premesse, Napoleone.
 

Non manca un accenno a un passato difficile: il libro è corredato da bellissime illustrazioni di Francesco Giammari ed ogni capitolo inizia con versi di Anton Francesco Filippini, ma è da sottolineare che egli non riesuma polemiche e rivendicazioni d’altri tempi.
 

Abbiamo parlato della necessità di insegnare la storia della nostra isola. Un altro libro di recente pubblicazione viene a rafforzare questo nostro convincimento.4 Perché si sta facendo attualmente un importante lavoro storiografico in Corsica e spesso sono storici non di professione a farlo. E’ il caso della storia dei Servi di Maria in Corsica., scritta sotto la direzione di Jean-Christophe Liccia da un gruppo di studiosi còrsi con la collaborazione di storici dell’Ordine.
 

Ovviamente l’opera offre di per sé un grandissimo interesse storico, un’abbondante messe d’informazioni riguardanti la storia non solo religiosa della Corsica dal ‘400 all’epoca della Rivoluzione francese.5 Credenze, vita religiosa, relazioni con la società, ci dà uno spaccato della vecchia Corsica. Del massimo interesse sono le biografie dei numerosi religiosi còrsi, tra i quali il padre Bonfigliuolo Guelfucci, il segretario di Paoli, e il padre Stefano Antommarchi, priore generale dell’Ordine.
 

Soprattutto essa contribuisce a far piazza pulita di alcuni pregiudizi ancora vivaci nelle menti dei nostri conterranei. Il quadro complessivo della Corsica del ‘600 e del ‘700 che emerge da questo libro è molto diverso da quello immaginato da molti dei nostri connazionali di una Corsica isolata, analfabeta, fuori del mondo, nella quale soltanto alcune rare persone istruite erano in grado di scrivere la lingua dell'”occupante”. Tutte balle. Infatti c’erano molto più persone alfabetizzate di quanto si creda (come d’altronde durante l’800, solo che molte lo erano in italiano), l’italiano veniva usato naturalmente dai còrsi che chiedevano scuole per impararlo, non era specialmente legato a Genova, e per quanto riguarda i Servi di Maria, appena dovevano fare gli studi superiori venivano spediti in Italia dove trovavano spesso insegnanti còrsi tra le persone di rilievo. C’era infatti una importante circolazione di persone e di idee in un’Italia (e anche in un’Europa) che rispondeva a criteri molto diversi da quelli che abbiamo conosciuti dopo. Forse adesso, grazie alla costruzione europea stiamo fortunatamente tornando ad una circolazione simile a quella che ha preceduto l’età dei nazionalismi. Dobbiamo ringraziare gli autori che sia nel testo che nei corposi ed interessantissimi allegati non hanno (o pochissimo) tradotto i testi italiani. E’ una prassi che andrebbe generalizzata: chi non conosce l’italiano non può pretendere di capire la Corsica. Tanto vale che se ne stia in una poltrona a leggere storie ufficiali all’acqua di rose.
 

Interessante anche la biografia di Sampiero scritta da Vergé Franceschi e Graziani.6 Infatti il sottotitolo dell’opera pone in luce l’esatta personalità dell’eroe di Bastelica. A lungo (talvolta ancora adesso) Sampiero è stato presentato come il primo ad aver avvertito il destino immancabilmente francese della Corsica. Anzi, la versione che veniva propinata ai còrsi insomma (e molto spesso da “storici”, ahimè! còrsi”) era quella di una Corsica che da Pippino il Breve anelava a diventar francese, poi per una serie di incresciose circostanze storiche questa felicità purtroppo si allontanava. Questa però era un po’ grossa e Sampiero veniva quindi considerato il primo vero còrso profrancese della storia.
 

Ovviamente quest’approccio della storia della Corsica del Cinquencento peccava di anacronismo. Gli autori della biografia fanno piazza pulita di questa interpretazione ritraendo un Sampiero quale veramente fu: un condottiero legato ai Medici fiorentini che intraprende la carriera militare al seguito di Giovanni de’ Medici, detto Giovanni delle Bande Nere. Dopo alterne vicende, seguendo Caterina de’ Medici quando sposa Enrico di Valois, si ritrova in Francia. D’altronde ben sappiamo che nell’Italia di allora si doveva scegliere: “O Francia, o Spagna” e c’era anche chi aggiungeva “purché si magna”. Anche Pietro Strozzi seguì la stessa strada. Siamo noi che proiettiamo nell’Italia e nell’Europa di allora le nostre idee, i nostri desideri, i nostri rancori.
 

Dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559), Sampiero, come tanti altri condottieri, pensò di crearsi un principato. E’ anche da notare che preferì tentare quella strada difficile a quella più ovvia di rimanere un grande alla corte di Francia. E quindi ci provò nel suo paese, in Corsica. Già in passato vi aveva guidato imprese guerresche conducendo truppe francesi (o al soldo della Francia) e anche, ahimè, turche. Perché si suole essere molto indulgenti con queste alleanze turche della Francia e di Sampiero ed è vero che i Francesi sono assuefatti dai loro manuali di storia a vedere presentare questa alleanza come un capolavoro di realismo politico, e così fanno i còrsi, seguendo le stesse orme, ma sinceramente non mi sento di condividere questo entusiasmo. Si era nel periodo di maggiore spinta dell’imperialismo ottomano ai danni dell’Europa, quello dell’assedio di Malta (1565), e poi di Lepanto (1571). Che sarebbe successo se avessero vinto in franco-turchi? E quando Sampiero, dopo Cateau-Cambrésis, riprende i contatti con la Porta, se fosse riuscito nella sua impresa, che ne sarebbe stato della Corsica e magari dell’Italia e dell’Europa. Il personaggio, sfrondato da quanto gli storici còrsi e francesi gli hanno costruito intorno, sembra essere stato abbastanza (anzi è poco dire) sprovvisto di scrupoli. Magari si sarebbe fatto pascià agli ordini del Commendatore dei Credenti. E non si dica che tutti allora ragionavano così; come fa vedere Vergé Franceschi, Pietro Strozzi non ha accettato questo pericoloso indirizzo politico e sembra che la stessa Vannina abbia conosciuto dubbi che forse le costarono la vita.
 

D’altronde, debbo dire che nonostante gli autori si diano da fare non per scagionare Sampiero dalla morte della moglie (compito impossibile) ma per concedergli le attenuanti (la sua morte sarebbe stata decisa dalla regina Caterina de’ Medici per motivi di ragione di stato) questo suo inginocchiarsi davanti alla moglie, chiamarla “ma maîtresse” (in quale lingua lo avrà detto?) per poi strozzarla, ci sembra di dubbio gusto. Va bene che allora si ragionava diversamente, si pensava alla famiglia, al lignaggio, però dubito che Vannina abbia condiviso fino in fondo questo modo di vedere. E non mancano esempi di persone che, anche allora, hanno messo a repentaglio la carriera e la vita contravvenendo a simili ordini. Lo stesso Strozzi che rinuncia alla sua carriera in Francia per motivi religiosi ce ne sembra un esempio. Quindi la tenerezza di Sampiero per Vannina sembra un po’ troppo simile a quella della volpe per la gallina. Dio ce ne scampi dagli affetti “bastelicacci”.7 Dunque Sampiero rimarrà nella nostra memoria come un grande guerriero, un personaggio fuori del comune, ma il politico, soprattutto dal punto di vista còrso, sembra piuttosto discutibile.

 

Paul Colombani

 

1 Stefano TOMASSINI, Amor di Corsica, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 145. 

2 D’altronde, a detta dello stesso Tomassini, la sopravvivenza del còrso non sembra interessare molto questo signore.

3 Corso DONATI, Corsica Amara, ASEFI, Via San Sempliciano 2, 20121 Milano, 2000, pp.98.

4 Les Servites de Marie en Corse, Alain Piazzola, Ajaccio, 2000, pp.1158.

5 La Santissima Annunziata di Centuri e Morsiglia, nel 1479, rappresenta per gli autori la prima delle fondazioni durevoli dei Servi di Maria in Corsica, le fondazioni precedenti essendo controverse o saltuarie. L’ordine dei Servi di Maria è definitivamente soppresso in Corsica nel 1797 (alla fine del Regno anglo-còrso) e, a differenza di altri ordini, non torneranno mai.

6 Michel VERGE FRANCESCHI, Antoine Marie GRAZIANI Sampiero Corso.14981567. Un mercenaire européen au XVIème siècle, Alain Piazzola, Ajaccio, 1999, pp.551.

7 E’ una battuta, non se l’abbiano a male i nostri connazionali di Bastelica.