La Regione Puglia, nel sud Italia, attende entro il 2019 il responso dell’UNESCO affinchè annoveri nel patrimonio dell’ Umanità i muri a secco della val d’ Itri.
Questa iniziativa ci invita a viaggiare nel bacino del Mediterraneo per rilevare e sottolineare che i muri a secco hanno caratterizzato la civiltà del Castellieri e le attività pastorali ed agricole.
Inizio dall’arcipelago del Quarnero (Golfo dell’ Adriatico nord orientale) dove dal 1945 le antiche consuetudini sono state violate importando metodi “innovativi”. Secondo il programma sono stati importati i cinghiali per favorire la caccia ed alcune scenografiche famiglie di grifoni, che hanno proliferato nutrendosi di agnellini. La mancanza di manutenzione e gli ovini, che per tradizione venivano chiusi nelle “seraie” , divenuti vago pascenti, hanno contribuito a distruggere il millenario sistema dei preziosissimi muri a secco denominati “masiere”.
Il territorio aspro e sassoso aveva indotto gli isolani di Cherso e Ossero (dall’ ‘800 Lussino) a dedicarsi principalmente alla marineria ma anche all’allevamento ovino.
Gli agnelli vivevano rinchiusi nelle stationes o stanzie, estesi latifondi che assicuravano loro il foraggio fresco, più o meno abbondante, secondo le stagioni. La stanzia era divisa in seraie, di solito dieci che, secondo le norme consuetudinarie dell’alternanza dei pascoli, salvaguardavano i fondi dalla sterilità. Le chiuse erano delimitate da masiere, muri a secco orditi a sacco, se doppi. Ai muri aderivano degli impenetrabili cespugli spinosi denominati umbrie, ripari sicuri per le pecore che vivevano tutto l’anno all’aperto. Gli ovini venivano riuniti per essere tosati o munti nei labirintici margheri chiusi con dei cancelli a listelli di legno detti lesse.
Le greggi erano governate dai lavorieri o lavoranti, salariati stagionali o a giornata, sottoposti a due pastori, sottoposti al bravèr con mansioni simili al massaro o al fattore. Alla lavorazione dei prodotti caseari erano addette le salarize e le consorti dei bravèri.
I latifondi più importanti erano siti nella giurisdizione di Cherso e venivano denominati stanzie o incanti de Comun, accanto a queste quelle delle Confraternite
costituite da Consorti (membri di una stessa famiglia aventi un progenitore in comune) o da Vicini (accomunati dalla vicinia).
In seguito alle risoluzioni del Congresso di Vienna, i territori appartenenti al territorio della ex Repubblica di Venezia venivano assegnati all’ impero Asburgico. Una potenza continentale era riuscita a raggiungere il mare ed a venire in contatto con gente dagli usi e costumi completamente diversi. Nel 1819 il Governo Austriaco avevano inviato al Comune di Cherso un questionario ricognitivo che comprendeva anche lo stato del patrimonio agrario e zootecnico. Nei paragrafi n.i 3 e 8 si legge: Li pascoli sono abbandonati alla natura, ma però si coltivano mediante l’erezione di muri a secco con spini, ginepri secchi, o frasche, oppure mediante siepi, onde preservare il bestiame il foraggio pella stagione invernale e massime di febbraio, marzo, ed aprile, ne’ quali è in maggior pericolo. Questi muri si rinnovano nel periodo di anni 40, e la spinatura ogni secondo anno. Il prezzo di questi muri è vario secondo se li pascoli sono più o meno sassosi e seminati di grosse pietre (Kustenland – Provincia del Litorale, Kreis – Circolo Fiume, Bezirk – Distretto di Cherso col suo Suburbio).
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Articolo di Gianna Duda Marinelli
Gianna Duda Marinelli
Autrice triestina, nota studiosa esule dall'isola di Cherso (Cres), da lungo tempo s'interessa ai temi dell'Istria, di Fiume, della Dalmazia, e ha favorito di persona incontri e amicizie tra persone di queste terre.